N.B.: le notizie, i preparati e le ricette inserite in questo articolo hanno unicamente valenza documentaria antropologico-folkloristica: non sono in alcun modo da considerarsi praticabili o sperimentabili.
Il nome di questa pianta deriva da quello di una ninfa, Mintha, che fu amata da Ade e che in seguito fu trasformata in creatura vegetale. Quando infatti Ade condusse Persefone negli inferi per farne la sua sposa, Mintha, che era la precedente amante di Ade, si ingelosì e iniziò a proferire minacce contro Persefone e a sostenere di essere più bella della sua rivale. Così, Persefone, incollerita, la smembrò: mosso a pietà, Ade la tenne in vita trasformandola in una pianta profumata, chiamata mìnthe o hedýosmos, la pianta “dal buon odore”. Del mito esistono altre versioni: una seconda versione racconta che fu Demetra a calpestare Mintha sotto i sandali riducendola in polvere, dalla quale la ninfa risorse come erba. Una ulteriore variante racconta che Ade avrebbe tentato di violare la ninfa, che fu salvata da Persefone e trasformata in un’erba profumata. In ogni caso, il mito associa la pianta a contenuti che richiamano la passione amorosa, così come nella tradizione essa ha avuto impieghi in ambito erotico, seppure, come vedremo, all’interno di una costante ambiguità che accompagna la sua “reputazione” e la sua simbologia.
Tisane di menta a dosi assai generose erano utilizzate in Salento come rimedio afrodisiaco.
La menta ha proprietà toniche, digestive, calmanti, disinfettanti, e viene usata sia nella medicina popolare che in erboristeria, anche come rimedio per cattive digestioni, nausea, alitosi.
E una delle erbe di San Giovanni, e, tra le sue virtù, si credeva avesse quella di mettere in fuga i serpenti. Era utilizzata anche come rimedio contro i veleni (sia l’infuso che la masticazione delle foglie). In alcune descrizioni che riguardano gli ambienti e la cura del tarantismo, la menta è citata tra le erbe presenti nello scenario del rito. La menta è considerata da alcuni autori come elemento decorativo, finalizzato, insieme ad altri vegetali, a ricostruire un più antico scenario arboreo tipico del tarantismo, ma anche come elemento “complementare” di cura a fini aromaterapici. Di fatto, insieme a ruta e basilico (altre piante presenti nei rituali del tarantismo) la menta era impiegata in antichità come rimedio agli avvelenamenti causati da punture e morsi di animali.
Si credeva che la menta potesse guarire dall’idrofobia se mescolata con il sale, e che costituiva rimedio anche alla sordità.
Si usava spargerla sui pavimenti delle abitazioni come rimedio anti-insetto e, in caso di assenza prolungata da casa, per eliminare l’odore di stantio provocato dal chiuso.
La menta è stata utilizzata anche come rimedio abortivo, e sembra che ad alte concentrazioni l’olio essenziale della Mentha pulegium possa indurre delirio e narcosi, mentre a dosaggi più bassi abbia azione lievemente analgesica e anti-nausea.
E’ stata utilizzata per la cura di cefalee, nevralgie, herpes simplex e zoster.
In ambito contadino le foglioline strofinate sulla pelle venivano utilizzate contro le punture di insetti, come analgesico e antisettico.
Veniva usata anche come vermifugo per i bambini e nella prevenzione del colera.
Rametti e foglie di menta posti nei magazzini, nei granai, nei sacchi di alimenti, erano utilizzati come deterrente per topi ed altri animali.
Si credeva anche che fosse utile a rafforzare la memoria, attribuendole spesso un etimo errato, da “mens” = “mente”.
Nel medioevo venne soprannominata “Herba sanctae Mariae”, “herba santa”, “herba buona”, perchè una leggenda instauratasi in quello stesso periodo narrava che la Sacra Famiglia, in fuga nel deserto e stremata dal calore, incontrò un cespuglio di menta sul suo cammino e la Madonna si fermò a sentirne il profumo ed esclamò: “se ci potesse dissetare!”. Così, le foglie di quella pianta iniziarono a sprigionare acqua profumata e la Madonna perciò la benedisse chiamandola “erba buona”. Per questo stesso motivo, in Abruzzo le contadine che trovano la mentuccia sul loro cammino ne colgono una fogliolina e la sfregano tra le mani, esclamando: “chi scontra la mentuccia e non l’addòra, non vede Gesù Cristo quando muore”.
Tuttavia, la menta gode di attribuzioni ambivalenti. Per gli antichi era un’erba infera che poteva essere dannosa, e poteva inoltre influenzare negativamente il coraggio e la virilità. Per Dioscoride è un eccitante sessuale ma può anche rendere le donne sterili. Presa in gran quantità, si credeva inoltre, può giungere ad impedire l’erezione e a raffreddare l’organismo. Rispetto alla credenza che potesse far diminuire coraggio e virilità e che fosse da sconsigliare in caso di guerra, però, un’altra interpretazione era che proprio a causa delle sue virtù afrodisiache, era da evitare in tempo di guerra in quanto avrebbe distolto il soldato dai suoi compiti, eccitandolo a libidine.
Per Castore Durante il succo bevuto con aceto serviva a far ristagnare il sangue, a togliere la nausea, ad ammazzare i vermi dell’intestino e a stimolare l’appetito venereo. Tre ramoscelli di menta bevuti con succo di melograno erano utili a frenare il singhiozzo, il vomito, la tensione nervosa.
Nell’antica Roma la menta veniva intrecciata nella Corona Veneris che si poneva in capo agli sposi per augurare loro un buon matrimonio.
Gli antichi chiamavano Mintha anche con l’appellativo di Íynx: in greco questo nome è attribuito anche ad una maga esperta in filtri amorosi, all’uccello detto “torcicollo” (Jynx torquilla) e ad uno strumento della magia sexualis. Il “torcicollo” è un uccellino che può fare un giro completo della testa lasciando immobile il corpo: uno strumento di incantesimo fabbricato da Afrodite per sedurre Medea e attirarla verso Giasone era un torcicollo fissato su una ruota che girava in continuazione. Un attrezzo equivalente utilizzato nella magia erotica era una piccola ruota con dei buchi che veniva messa in movimento da una cordicella infilata nei fori, emettendo così un fischio incantatore.
La maga Iynx è capace di potenti sortilegi amorosi, fino al punto da convincere anche Zeus ad unirsi a lei, ma in una versione del mito è anche traformata da Era (gelosa), nell’uccello torcicollo, e in un’altra versione in pietra. Così, la menta ha natura ambivalente come Mintha-Yinx: pianta afrodisiaca e al tempo stesso pianta dannata e simbolo (come la pietra immobile) di sterilità e passività.
La menta è presente come ingrediente anche nella preparazione del kikeon eleusino, la bevanda sacra somministrata agli iniziati ai misteri di Eleusi. Nell’ Inno Omerico a Demetra il kikeon è composto di acqua, farina d’orzo e menta. Gli studiosi dei misteri eleusini sono divisi in merito alla spiegazione di ciò che avrebbe potuto portare gli adepti alle visioni: secondo alcuni trattasi di rivelazioni filosofiche compiute dai sacerdoti, secondo altri di alterazioni degli stati di coscienza causate dal digiuno e facilitate dalla atmosfera particolarmente suggestiva del rito, secondo un’altra corrente di pensiero dall’influenza di sostanze psicoattive contenute nella bevanda sacra. In quest’ultimo caso, la menta avrebbe potuto avere un ruolo, secondo alcuni autori, mentre altri ancora rigettano una funzione determinante di questa pianta ai fini della produzione di stati di visionarietà. In particolare Kerényi, ha ipotizzato che il blechon citato nella composizione eleusina fosse la Mentha pulegium i cui oli essenziali avrebbero causato modificazioni degli stati di coscienza, come in effetti può avvenire assumendone alti dosaggi. Non si differenzia molto da questa interpretazione quella di chi ha sostenuto che le sostanze volatili contenute nell’olio essenziale di menta, aggiunte al contenuto alcolico del kikeon (raggiunto dopo la fermentazione della bevanda) e/o ai digiuni prolungati caratteristici del rito, potevano facilitare le visioni (Kerényi e altri negano però che la bevanda raggiungesse fermentazione). Secondo altre interpretazioni, il blechon è semplicemente un rametto di menta funzionale alla mescolanza degli ingredienti della bevanda, non tutti rivelati, e tra i quali si poteva celare una droga o l’estratto di una droga più specificamente psicoattiva (anche qui vi sono teorie contrastanti e disparate fra cui quella di Hofmann che individua nell’ ergot la responsabilità dell’induzione di visioni, le teorie di altri che individuano invece la presenza dell’agarico muscarico o di funghi psilocibinici, ma l’approfondimento della questione esula dagli scopi del presente scritto).
In ambito magico-medico popolare la menta è stata spesso utilizzata come fortificante, eccitante del sistema sessuale, e al tempo stesso ingrediente depurativo per numerose ricette; parimenti, in ambito esoterico.
Da una raccolta di antichi ricettari magici curata da Enrico Malizia, ricercatore e tossicologo, apprendiamo che una antica polvere afrodisiaca è ottenuta con la mescolanza di menta, origano, verbena, e altri ingredienti di origine vegetale e animale. In questo caso, la menta è utilizzata per la sua azione rinfrescante sugli organi sessuali. La ricetta di un antico infuso per combattere l’impotenza e la frigidità comprende: sei pizzichi di santoreggia, due pizzichi di rosmarino, due pizzichi di menta, due pizzichi di verbena, un cucchiaino di pepe nero, una ventina di semi di senape, un pugno di petali di girasole, in due pinte d’acqua. Ancora, la menta appare in una ricetta che comprende una lunghissima lista di ingredienti animali e vegetali finalizzati alla preparazione di un elettuario contro la sterilità femminile.
la tradizione stregonesca medievale comprende numerose ricette per “trasformare gli uomini in bestie”: l’ estratto di menta mescolato insieme ad altri ingredienti è uno degli antidoti a tale incantesimo e serve pertanto a far riprendere ai soggetti così affatturati sembianze naturali.
Un elettuario contro le doglie del parto e altri spasmi si compone di menta, cannella, noce moscata.
la Nepetella (Clinopodium nepeta; sin.: Calamintha nepeta, Satureja calamintha), detta anche Nepitella, Mentuccia, Calaminta, gode di proprietà analoghe a quelle della Mentha pulegium, Mentha viridis, Mentha piperita, e veniva utilizzata nella medicina popolare salentina contro i ronzii delle orecchie, gli erutti, il singhiozzo, e contro gli spasmi di origine nervosa. Era usata anche in cucina per aromatizzare il vino, che poi veniva bevuto come afrodisiaco. Si riteneva inoltre che questa pianta guarisse coloro che erano stati punti dal morso dello scorpione. Le foglie venivano masticate per alleviare mal di denti e mal di stomaco; il decotto di nepetella era utilizzato per stimolare le mestruazioni e favorire il parto. Inoltre, veniva utilizzata per tenere lontani, a causa del suo odore forte e penetrante, pulci, scarafaggi e insetti vari. Le erano attribuite proprietà vermifughe (si pensava che potesse liberare i bambini dai parassiti intestinali al solo odore).
La mentuccia era utilizzata anche come erotizzante a causa del suo profumo inebriante e le si attribuiva la proprietà di proteggere dai tradimenti d’amore.
Nella ricetta stregonesca di una mistura per sedurre una donna, sono impiegati: mentuccia, fiori di lavanda, fiori di pesco bolliti, piselli bolliti, frutti di sambuco aggiunti a: cuore di rondine, di colomba e di passero tritati e mescolati con il sangue mestruale della stessa donna bramata, da procurarsi tramite un qualche espediente e/o tramite qualcuno a lei vicino. L’insieme di questi componenti doveva essere pestato e amalgamato con miele e una pinta di sciroppo di eringio.
Per far sì che una donna non cessi di amarlo e gli sia sempre legata, un uomo deve ungere le narici della donna con una pomata ricavata da: mentuccia, fiori di giglio bianco, fiori di ciclamino, succo di albicocca, liquirizia, polvere di Cipro, ambra grigia, grasso di cane, midollo del piede sinistro di un bue.
Nella raccolta curata dal Malizia compare anche una antica pozione per impedire incontri amorosi all’amato in cui è presente la mentuccia. Con il nome di Calaminta, è indicata nella preparazione di un elisir uterino per far concepire le donne frigide che comprende anche bacche di alloro e svariati altri ingredienti.
Gianfranco Mele
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Károly Kerényi, Die Mysterien von Eleusis, 1962