Samir. Ha gli occhi della magia araba. Il sorriso della accoglienza. La danza nei passi. Mi racconta la notte della mezza luna delle mille notti nel canto della moschea. I nostri sguardi si sono incontrati. Città di Oriente. Qui sarà il mio approdo. Viaggio con l’erranza nell’anima. Specchio dei sufi. Samir ha l’attesa del mio tempo.
Non bisogna mai lasciarsi alle spalle la Moschea. Samir mi racconta. Il suo Oriente è nel mio Occidente. Non ci sono silenzi quando gli incontri sono vita. Ogni incontro è una vita. Cantano Samir le voci dei dervishi.
Bisogna cominciare il cammino. Ringrazio Dio per avermi dato il silenzio dell’ascolto e la forza della contemplazione.
Il vento spettina. Troppo vento nella mia vita tanto che non ho più un capello al suo posto
Ho visitato il Giardino di pace ed ho vissuto il tempo di un caffè turco.
Fu un sortilegio. Nella notte si svegliò l’alba e il vento prese il sopravvento sulla pioggia. Ci fermammo a raccontare il tempo delle pause. Fu un tempo infinito. Il gioco delle attese fu vano. Trovai le ombre in un vissuto dell’oltre. Mi scorri tra le dita come una profezia una appartenenza una maledizione. Anche la maledizione è un paesaggio di alchimie.
La geografia ha sempre di orizzonti il tempo. Il limite tra Illiria ed Epiro é una fantasia smarrita.
Nelle distanze i tamburi del Castello. Città del vento. Samir porta negli occhi il canto del vento. Lo sguardo sulla moschea gialla e il pensiero tra i serpenti di Egitto. Le mani stanche hanno malinconie nei gesti. Il sorriso largo e lento. Un’antica storia recita il destino del suo Oriente. Ha la bellezza della pazienza. Ha la saggezza delle donne di Illiria.
Qui trovo la mia dimensione perché il tempo ha il tocco della clessidra. Mi offri un caffè? Certo. Ma bisogna avvertire il senso. Siediti mi dici. Un caffè è un guardarsi parlando con il silenzio. Il serpente ha la paganitá della dolcezza del labirinto. Ha la sfida che non tradisce. Pensa.
Il serpente è un labirinto che diventa cerchio. Se si ha il coraggio di non fuggire lo si incanta. Il serpente è un incanto di salvezza. È un archetipo. Oh mia dea! Dopo l’età degli dei l’epoca del peccato ci distrugge. Il serpente aveva capito l’errore. Samir mi parla e legge le linee del vento sulla moschea gialla.
Si scrive per tentare di raccontare ciò che vorremmo non venisse dimenticato. Si viaggia lungo le parole. È storia che si decifra tra i segni e ciò che il vento porta via.
Indissolubile. Sulle pianure si combatte. Teuta è distante. Ogni giorno mi sveglio all’alba e trovo sul davanzale della finestra frammenti di voci nascosti nei ritagli del silenzio.
Il prossimo libro che scriverò? Una storia d’amore. La vita diventa sempre più una eredità e ogni eredità ha una sua tradizione. Bisogna perdere per ricominciare. Una storia d’amore riprende ad annotarsi dalla fine di tutto. Bisogna dimenticare.
Oltre la soglia della profezia. Aspettare. Attendere sul davanzale delle parole quelle parole che potrebbero vivere nel silenzio ovunque.
La moschea gialla ha riflessi di sole. Lo sguardo di Samir è Egitto. Sarà stata Cleopatra. Avrà vissuto il dolore di Didone. Si resta in attesa. Vivere è sapienza delle attese. È raccontare il deserto quando il deserto ha l’irrangiungibile.
Samir dove sei stata in tutti questi viaggi?
Samir ha la distanza del cerchio nel labirinto. Osservo il suo passo. Come il suo sguardo ha la pazienza della malinconia. Pause. Un camminare con il vento degli Orienti. La sua voce bassa. Lenta.
Ho raccontato il mito di Cleopatra e il tatuaggio di Teuta sul seno destro. Didone ha ancora la lama nel cuore e le fiamme nel silenzio. Qui il mito non ha voci. Soltanto simboli. Mi canta di mare Samir. Ha la profezia degli Adriatici negli occhi e la leggenda supera ogni realtà. Bisogna sempre andare oltre la realtà quando il vento soffia sui fogli dimenticati.
Ci sono. I fogli dimenticati sono la dispersione della superstizione. Passerà. Anche questo tempo andrà via.
Si vive di tempo in fuga tra il rosa della primavera e la Moschea. Abbiamo fermato un sorriso per non dimenticare le cinque della sera e la cantilena del muezzin. La mia terra non ha rimorsi ed io ho ancorato le vele al porto della sera nelle bandiere di seta che sfiorano il viso di Samir.
La mezza luna ha la solitudine delle macerie della memoria persa tra i miei occhiali neri. Sono un errante e mai un viaggiatore. Ipazia mi ha insegnato che morire per un amore è vivere tre volte in più. Tre volte per restare dentro le rovine di una civiltà stanca.
Samir ha gli Orienti della pazienza. Le aquile hanno il sortilegio illirico e portano la fuga nel vento. Come la leggenda di Teuta pirata e regina dei mari dell’est. Siamo eredi. Testimoni di viaggi
Fu un sortilegio. Nella notte si svegliò l’alba e il vento prese il sopravvento sulla pioggia. Ci fermammo a raccontare il tempo delle pause. Fu un tempo infinito. Il gioco delle attese fu vano. Trovai le ombre in un vissuto dell’oltre. Mi scorri tra le dita come una profezia una appartenenza una maledizione. Anche la maledizione è un paesaggio di alchimie.
Non so se Samir conobbe la storia di Teuta. Gli Orienti sono frammenti di universo. Insondabili. Anche se a volte la parola diventa indissolubile Dio diventa un tempo che compare e scompare dai viaggi. Ho raccontato a Samir di una regina che diventò pirata per difendere il suo amore e la sua terra. Le moschee di notte sono soltanto un bianco che lacera il buio. Eppure il canto è indelebile e le lune sono tagli squarci di mondo che si perdono nel vento.
La separazione degli sguardi è simile agli occhi di una donna che senza alcuna parola si allontana una volta che ha toccato l’orizzonte della malinconia. La moschea di Samir ha il silenzio del tacere d’improvviso. Questa terra è terra di pazienza che intreccia il suono illirico con quello greco.
Il tempo è una clessidra. Di notte mi giunge la voce di Samir. Ha la misura del silenzio.
Dopo la notte l’alba. L’alba a Tirana ha le ombre perse nella sera. In un gioco di vento i cammini sono passi di un Oriente che ascolta. Samir mi attende con lo sguardo appeso ad un filo di malinconia. Vivrò dei suoi silenzi. Conosco. Ogni parola si annuncia con lunghe pause. Ma la vita è un frammento di coriandoli che vive soltanto di provvidenze. Se la pazienza non salva tutto finisce prima della partenza.
Samir mi ha insegnato che bisogna non avere mai fretta. Ogni attimo giunge quando è necessario che quell’attimo possa avere un senso. Tutto si compie perché tutto ciò che accade ha la sua profezia e il suo destino.
Vivrò nel paese delle aquile. Per scrivere il tempo della clessidra. L’esilio è una condizione dell’attesa ma ci impedisce di pensare alla morte. Ci impedisce di andare oltre la presunzione della pazienza. Ci obbliga a viaggiare per superare la malinconia.
Le aquile hanno il sortilegio illirico e portano la fuga nel vento. Come la leggenda di Teuta pirata e regina dei mari dell’est. Siamo eredi. Testimoni di viaggio.
Ora finisce il viaggio che ricomincia. Si scrive per tentare di raccontare ciò che vorremmo non venisse dimenticato. Si viaggia lungo le parole. È storia che si decifra tra i segni e ciò che il vento porta via. Indissolubile. Sulle pianure si combatte. Teuta è distante. Ogni giorno mi sveglio all’alba e trovo sul davanzale della finestra frammenti di voci nascosti nei ritagli del silenzio. Il prossimo libro che scriverò? Una storia d’amore.
La vita diventa sempre più una eredità e ogni eredità ha una sua tradizione. Bisogna perdere per ricominciare. Una storia d’amore riprende ad annotarsi dalla fine di tutto. Bisogna dimenticare. Oltre la soglia della profezia. Aspettare. Attendere sul davanzale delle parole quelle parole che potrebbero vivere nel silenzio ovunque.
La moschea di Samir mi attende.
Pierfranco Bruni