lunedì 23 Dicembre, 2024 - 10:03:28

LA PARIETARIA (O “ERVA TI LU JENTU”) NEGLI USI POPOLARI

La Parietaria officinalis (“erva ti lu jentu” nei nostri dialetti) appartiene alla famiglia delle Urticaceae. Cresce prevalentemente nei pressi dei vecchi muri, da qui il suo nome. Oltre che lungo i muretti a secco e addossata alle vecchie case di campagna, è assai presente anche nelle aree urbane insinuandosi in fessure dei marciapiedi, negli orti, lungo aiuole abbandonate, nelle crepe delle vecchie abitazioni.

Ha proprietà diuretiche, antinfiammatorie, emollienti, sudorifere, depurative, espettoranti. Contiene sali minerali, flavonoidi, tannini.

Nella nostra tradizione, era utilizzata per ottenere cataplasmi per contusioni e distorsioni (veniva pestata e mescolata ad aceto e albume d’uovo).

L’impacco di erba pestata era utilizzato per essere applicato su piaghe ed emorroidi.

I vapori delle sommità fiorite bollite in acqua venivano fatti respirare a chi soffriva di raffreddore o allergie delle vie respiratorie.

Le foglie fresche erano utilizzate per curare orzaioli e congiuntiviti, strofinate sugli occhi.

Per sverminare i bambini si usavano spesso cataplasmi di foglie di parietaria miste a spicchi d’aglio, tritati insieme e impastati con olio d’oliva.

Nardone, Ditonno e Lamusta, nella loro ricerca sugli usi tradizionali salentini e pugliesi delle piante, riportano di proprietà magiche attribuite alla Parietaria e di un particolare rituale: doveva essere preparato infuso di parietaria strappando la pianta “con la mano sinistra da una parete esposta a levante in notti di luna piena o crescente”. L’intruglio doveva poi essere lasciato per una notte, senza asportare dall’acqua la pianta immersa in infusione, sul davanzale di una finestra. Non si evince, dallo scritto dei succitati autori, quale fosse lo scopo del procedimento.

Un utilizzo comune in tutta la penisola era quello di pulire, con le sue foglie, l’interno di fiaschi e bottiglie (per questo motivo è chiamata anche erba vetriola). Come alimento, le foglie giovani e tenere venivano lessate oppure utilizzate per ripieni, frittate, minestre. In medicina popolare, era usata anche per eliminare i calcoli renali. Veniva utilizzata inoltre come diuretico ingerendone il succo dopo averla pestata.

Un altro utilizzo era quello di lenire, strofinata sulla parte arrossata, il prurito causato dal contatto con l’ortica.

Plinio il Vecchio racconta di un servitore di Pericle, che nella rocca di un tempio, salì sulla cima e cadde. Fu guarito grazie all’impiego della Parietaria, che Minerva mostrò in sogno a Pericle.

Nel Dioscoride rivisto dal Mattioli, la parietaria è chiamata Elsine parietaria, e, scrive il medico senese, “ha virtù grande di consolidare le ferite fresche”, impiegata nel seguente modo: “mezza pesta, e legata sopra la ferita per tre dì continui”. In questo modo, racconta il Mattioli, la ferita “si salda talmente che non ha bisogno di alro medicamento”. Inoltre, “il succo delle foglie e dei gambi bevuto al peso di tre oncie, provoca mirabilmente l’orina”. Si impiega inoltre “nei clisteri, per i dolori colici e della matrice”. Ancora, “il succo tenuto in bocca caldo, mitiga il dolore dei denti”. Inoltre, anche secondo Galeno, questa erba, impiastrata, giova alla pelle, ai foruncoli, ai dolori d’orecchio, mentre il suo succo è efficace per combattere la tosse utilizzandolo con gargarismi.

La parietaria nelle tavole del Mattioli

Nell’ambito degli impieghi alimentari, anche moderni, la parietaria è utilizzata per ricavarne una “crema di patate e parietaria”. Si impiega inoltre come condimento per la pasta.

Tra gli usi erboristici, un infuso di 20 gr. di foglie è impiegato come depurativo. In decozione, è utilizzata contro nefrite e calcoli urinari. Esternamente, le foglie fresche pestate e ridotte in poltiglia si utilizzano (sull’esempio del Dioscoride) come cicatrizzante per ferite, foruncoli, irritazioni della pelle, emorroidi, ragadi. Come suffumigi per il raffreddore, le sue foglie (versate in acqua bollente) insieme a foglie di arancio e un rametto di edera

Gianfranco Mele

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012

Antonio Costantini, Marosa Marcucci Le erbe le pietre gli animali nei rimedi popolari del salento, Congedo Ed., 2006

Salvatore Pezzella, Magia delle erbe, vol. 1°, Edizioni Mediterranee, Roma, 1989

Andrea Mattioli, Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana da M. Pietro Andrea Matthiolo Sanese Medico, 1544

 

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Gianfranco Mele
Sociologo, studioso di tradizioni popolari, etnografia e storia locale, si è occupato anche di tematiche sociali, ambiente, biodiversità. Ha pubblicato ricerche, articoli e saggi su riviste a carattere scientifico e divulgativo, quotidiani, periodici, libri, testate online. Sono apparsi suoi contributi nella collana Salute e Società edita da Franco Angeli, sulla rivista Il Delfino e la Mezzaluna e sul portale della Fondazione Terra d'Otranto, sulla rivista Altrove edita da S:I.S.S.C., sulle riviste telematiche Psychomedia, Cultura Salentina, sul Bollettino per le Farmacodipendenze e l' Alcolismo edito da Ministero della Salute – U.N.I.C.R.I., sulla rivista Terre del Primitivo, su vari organi di stampa, blog e siti web. Ha collaborato ad attività, studi, convegni e ricerche con S.I.S.S.C. - Società Italiana per lo Studio sugli Stati di Coscienza, Gruppo S.I.M.S. (Studio e Intervento Malattie Sociali), e vari altri enti, società scientifiche, gruppi di studio ed associazioni.

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