mercoledì 25 Dicembre, 2024 - 15:20:08

La parola come storia dei processi linguistici e del dialetto

La parola come storia della lingua è un attraversamento di identità di linguaggi all’interno di un processo costante compiuto (e che compiono) dalle civiltà, dai popoli, dalle genti attraverso le contaminazioni. Si è contaminati nello stesso orizzonte in cui si vive la contaminazione. Il primo dato di contaminazione non sta soltanto nei costumi, negli intrecci delle tradizioni, nella cultura gastronomica bensì nelle “parole”, che diventano “parlate”. Non si contamina soltanto con le lingue ufficiali. Si contamina anche con i dialetti usati dai diversi popoli. Il dialetto è diventato ormai una lingua dentro le lingue.

La lingua contaminata e i linguaggi delle minoranze storiche creano un rapporto straordinario e fondamentale che ha come modello centrale la funzione delle etnie presenti nei tessuti territoriali.

La Lingua contaminata è chiaramente quella italiana, perché i linguaggi territoriali, ovvero quelli con una marcata derivazione etno-antropologica, restano dentro un processo di identità e di eredità di koiné di appartenenza e autoctone.

Il valore dei linguaggi delle minoranze storiche ha una ricchezza di un patrimonio culturale che si sottolinea come demoetnoantropologia. Ha bisogno di conservare soprattutto una letteratura con la quale si difende la storie dei popoli e delle civiltà in una comparazione tra uso e costumi che formano la tradizione. La Lingua italiana, chiaramente, è una lingua contaminata da fattori eterogenei. I Linguaggi minoritari non vengono contaminati sia per fattori territoriali che per una compattezza unitaria identitaria. Portano una loro metafisica che si traduce in estetica del vocabolario.

Un altro fattore è che scarsamente i linguaggi minoritari hanno forme dialettali. Anzi non hanno dialetti. La lingua ha le sue diverse evoluzioni e interazione non solo nei confronti di lingue altre ufficiali ma anche nei vari dialetti. Si abitano sia la lingua che i linguaggi in una decodificazione di forme che hanno uno sviluppo antropologico. Non solo di una antropologia rivolta al passato – memoria, bensì ad una antropologia che sappia guardare con attenzione alle civiltà ma al paesaggio.

Senza il paesaggio come conoscenza non avrebbe senso una archeologia ricostruita. La saggezza che infonde la antropologia è la conoscenza della nostalgia che però deve saper guardare ad una attenzione ad una archeologia del futuro. Sul piano di una estetica della conoscenza il dialogo tra antropologi e archeologia e arti deve essere costante. Così si misura tra l’altro una omogeneità di saperi modulati sulle appartenenze territoriali. Sempre più il concetto di Tradizione assume la valenza di archetipo. Il mito e i riti sono valutazioni filosofiche e archeo-antropos.

I linguaggi sono la base primaria nella bellezza dei paesaggi un cui la memoria resta fondamentale e il futuro prioritario. Per tentare di capire il presente la antropologia deve saper leggere i dettagli. La Lingua è contaminata. I linguaggi contaminano. Non una dissonanza, ma una creatività che è nella storicità del patrimonio linguistico inteso come bene culturale. I dialetti sono tradizione. È sempre il valore di tradizione che prende il sopravvento sulle diverse forme di bene culturale.

La tradizione stessa è un bene culturale da non accostare soltanto alle antropologie, le quali restano il portato storico di un vissuto di uomini e di territorio. Tutto si vive e si abita nel territorio. Il territorio è fondamentale perché in esso coesistono il passato, il presente e il futuro, ovvero una memoria ciclica in un presente che costruisce con forme profetiche il futuro.

Il futuro non è altro che una elaborazione profetica dell’incontro tra memoria e presente. Anche nella lingua si assiste ad un tale percorso. Inevitabile percorso che si solca grazie alla forza dei radicamenti. Noi siamo radicamento.

Ogni radicamento si porta il proprio DNA che equivale a ciò che una civiltà manifesta. Gli uomini, e quindi i popoli, sono e restano un viaggio di tutto ciò che una testimonianza di identità esprime. In fondo la parola la considero come storia dei processi linguistici e del dialetto. Proprio in virtù di ciò la lingua proviene dalla storia delle parole.

Piefranco Bruni
Direttore archeologo e Responsabile Demoetnoantropologia Sabap-Le – Mibac

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Notizie su Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni
E' nato in Calabria. Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", "Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem", "Ulisse è ripartito", "Ti amero' fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", "Claretta e Ben", "L'ultima primavera", "E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi", "Il mare e la conchiglia") La seconda fase ha tracciato importanti percorsi letterari come "La bicicletta di mio padre", "Asma' e Shadi", "Che il Dio del Sole sia con te", "La pietra d'Oriente ". Si è occupato del Novecento letterario italiano, europeo e mediterraneo. Dei suoi libri alcuni restano e continuano a raccontare. Altri sono diventati cronaca. Il mito è la chiave di lettura, secondo Pierfranco Bruni, che permette di sfogliare la margherita del tempo e della vita. Il suo saggio dal titolo “Mediterraneo. Percorsi di civiltà nella letteratura contemporanea” è una testimonianza emblematica del suo pensiero. È presidente del Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”. Ricopre incarichi istituzionali inerenti la promozione della cultura e della letteratura. Ha ricevuto diversi riconoscimenti come il Premio Alla Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ben tre volte. Candidato al Nobel per la Letteratura. Presidente Commissione Conferimento del titolo “Capitale italiana del Libro 2024“, con decreto del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano del 28 Novembre 2023.

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