Siamo uomini in un tempo di barbarie. Restiamo uomini nelle barbarie del tempo. Sempre le sofferenze sono lunghe e le gioie appartengono allo spazio del fiorire e sfiorire di una rosa. Chi ha abitato la vera cristianità conosce le strade e sa la grande diversità tra i cattolici e gli ortodossi, tra l’eresia che è verità in Cristo e la problematica teologia della maschera. Sono davanti ad uno specchio.
Nella vita di ognuno di noi non so se ci sia ordine o disordine. E poi non mi interessa. Sono arrivato però al punto di percepire che il disordine ha la capacità di far durare il tempo un minuto un più rispetto a quello della lancetta. E questo mi basta. Cerco di testimoniarmi sempre. Di non fingere. Di mostrare sempre il mio nome e cognome. La mia faccia. Quella di mio padre e di mia madre. Grande dignità. Coraggio. Lealtà.
Sono convinto che la religione non è necessaria. Anzi essere religioso non ci cambia la vita. Ma non avere riferimenti è come non aver mai pianto e mai sorriso. Essere credenti non è la stessa manifestazione della religiosità. Ma vivere in Cristo è già vivere accanto e non da solo.
Vivere nella contemplazione è credere nel Dio illuminante e sapersi raccogliere nel canto del Namaste. Non mi interessa la religione ma la religione ha interesse per me. E questo non è poco. Io vivo di religiosità e le vie del Credo sono i miei intrecci pur in una filosofica ed estetica articolazione che è la disubbidienza ai canoni prestabiliti. Sono anche convinto in questo tempo di falsari che la parola è più altisonante del pensiero, ma la parola è soltanto una lingua e non sempre trova una empatica con il pensiero.
Il pensiero è tutto. E il tutto del pensiero è la vita. Ma con il pensiero soltanto non si Crede. Per credere occorra affidarsi completamente al mistero. È il mistero che risolve il vero problema tra fede e ragione. Molti temono il mistero. Bisogna affidarsi senza timore tra le mani di chi ha accettato i chiodi rendendoci testimoni di un vissuto che è passato alla storia. La storia è certamente meno del tempo. Quando il tuo tempo è finito non tutto il tempo finisce. Ma il tuo sì. L’orologio non sposta la storia, ma è la storia che cronometra lo spazio dell’assenza e ogni ricordo misura un vuoto una mancanza un tentativo di ricerca. È qui che l’impossibile diventa non più il possibile che si pensava fattibile infinito.
Cerco le lontananze. Le lontananze sono sempre un rischio. Giocano costantemente con il tempo e con l’anima o il cuore. Quando pensi che tutto sia risolto proprio in riferimento alle distanze c’è sempre una nuova porta che si apre (o si chiude) e davanti hai una stanza dentro l’altra ma ciò non permette di misurare il vero distacco creatosi dalla iniziale lontananza. Una scatola cinese. Le solite bambole russe. La verità è che cerchiamo di trovare una giustificazione a tutto pur sapendo che non è possibile. Mi soffermerò in un prossimo libro sul deserto e sul cammello. Ognuno di noi compie il viaggio del cammello e va oltre ogni deserto. È facile impossessarsi di tutto ciò che trovi lungo il viaggio. Meno facile è cercare ciò di cui si ha realmente bisogno. Meno facile ancora è capire cosa si cerca.
Per nulla facile è comprendere se ciò che hai cercato corrisponde a ciò che realmente hai trovato. Cercare e trovare sono due vie. Il cammello dopo aver attraversato il deserto e dopo aver superato il viaggio lungo la cruna dell’ago si ferma e con pazienza ripercorre ciò che ha già percorso. E lo fa sino a quando un granello di sabbia non diventa un seme. In ogni puntino di luce che compone il giorno ha il suo mistero, la sua eredità, la sua speranza e la sua attesa. In noi convivono l’alba e il vespro.
Il camminare tra le acque e il navigare nella sabbia. Non siamo noi ad attraversare il dolore o la gioia. Non siamo neppure complici. Non siamo neanche semplici spettatori. Siamo protagonisti e viviamo la scena come se fossimo primi attori sia sul palco sia dietro le quinte. Ma sempre ci viene data una possibilità. Sta a noi individuarla percepirla abitarla. Restiamo nella vita fino a quando la vita resta in noi. Poi si aprono orizzonti che sono fatti di certezza di dubbi di maschere. Ognuno di noi pensa di possedere il proprio segno e il proprio senso. Ma la verità del segno non ci è data saperla. Neppure il senso. Ma io vorrei che il viaggio andasse oltre la muraglia della notte. Per capire qualcosa. Semplicemente. Per capire.
Si coltivano sempre desideri. Ma i desideri sono altro rispetto alle aspettative alle quali guardiamo con un senso di realtà maggiore. Eppure c’è un filo sottile che lega la nostra vita a queste due necessità che hanno inizialmente un valore metaforico. Noi viviamo di abitudini ma ben navighiamo in ciò che vorremmo che si realizzasse anche oltre la vita reale, oltre il quotidiano. Vivere di abitudini significa anche avere il timore di spezzare ciò che si è consolidato.
Siamo groviglio di esistenze e di viaggi inseparabili. Pur molte volte ignorando ciò ci sentiamo sorpresi. Ci sentiamo unici. Per vincere le terre desertiche della nostra coscienza aspettiamo sempre che giunga qualcuno a farci superare le solitudini con le quali conviviamo. Si convive! Purtroppo non realizzandosi i desideri e lasciando le aspettative nei loro luoghi veniamo attraversati da un disegno che chiamiamo destino. E da esso ci lasciamo condizionare. La vita è una girandola.
Le assenze sono tante le partenze necessarie i ritorni passione assopite. Ad una certa età si ama per paura di non essere più amati! Perché? Perché anche la solitudine è una disabitudine alle consolidate abitudini. Si hanno memorie. Ma non so se i vuoti che abitiamo possano contenere tutte le memorie che sono nella nostra vita. Io ormai viaggio per dimenticare cosa è il viaggiare. C’è una sola forma di viaggio salvifico. Ed io so qual è. In una temperie come la nostra non c’è dignità senza lealtà. Perché la religione non è necessaria? Perché è finzione. Cristo è fede ed ereticamente non religioso.