Conviviamo con un mondo pessimo. Anche noi siamo figli di questo mondo. Questo mondo pessimo è la legittima relazione tra la leggerezza e il relativismo. Semantiche che, a volte, possono avere un uguale significante. Se fossimo destinati a diventare stelle, tra le nuvole bianche o le malinconiche fiamme bruniane, danzeremmo (Nietzsche e D’Annunzio) nel vento, senza alcuna reticenza, per cercare di afferrare ciò che non può essere afferrato: il mistero.
La filosofia della ragione non conosce il mistero. Non ha la sensibilità perché è così radicato lo spazio del relativismo che non permette allo sguardo di penetrare l’indefinibile assoluto. Non si coglie il mistero. Si raccolgono i segreti che possono essere svelati per una verità forse non necessaria.
Le verità sono l’occasione per dare alla parola e al pensiero una certezza. In questo “mondo pessimo”, direbbe Manlio Sgalambro, non abbiamo alcun bisogno della leggerezza, ma di proporre un pensiero che abbia la robustezza del piangere pur adottando come ironia il riso. Eppure siamo dentro un processo di apprendimento che porta come principio il senso del leggero, ovvero è come se dovessimo affrontare i problemi e anche l’Essere come se fossero una piuma. Non è così.
Il Novecento filosofico è anche un Novecento delle agonie letterarie. Perché in entrambe le “categorie” il relativismo si insinua sino al punto di rendere non pesante persino il morire e la morte. Il morire non è relativismo. È la saggezza del mistero perché oltre il mistero esiste l’indefinibile. Potrebbe anche esistere il definibile ma non ci porterebbe alla saggezza della ragione, bensì al dubbio della ragione.
Noi siamo un sapere dell’anima (Maria Zambrano) e proprio in virtù di questa non ragione diventiamo metafisica. Ci sono mattini che tocco immediatamente l’alba e la vedo sorgere timidamente come se facesse tentativi per cominciare a sfogliare i suoi spazi. Anche noi siamo fatti di spazio perché nel tempo viviamo.
C’è un tempo Occidentale che conosce soltanto la necessità dell’orologio, e si avverte subito sin da quando il primo caffè è pronto. C’è un tempo che si percepisce abitando gli Orienti, ed ha la sua pazienza, la sua azione, il suo camminare. La metafora dell’Oriente è una metafora che ci spinge oltre lo spazio del tempo stesso. Ma non solo è una metafora. Ci sono percezioni che non si riescono a capire anche oltre averle vissute.
La nostra vita resta, comunque, una vita irrituale. Non virtuale, anche se compiamo costantemente azioni per una vita virtuale. Conoscerla è obbligatorio. Il resto è tutto imprevedibile. O forse scontato. Se fossimo destinati a diventare stelle non so cosa accadrebbe. Ma il mistero ci salvaguarda dai segreti. O viceversa? Perché noi diventiamo con il tempo che ci supera una frequentazione di segreti che provengono dal mistero.
Il mio “viaggio accanto” è un cercare nel labirinto non più Arianna, ma l’Itaca che pensavo persa ed è perduta per come io l’ho lasciata e per come io la immagino nelle notti di serena o nei mattini di tempesta. Tutto si perde. Se non ci fosse la memoria questo “tutto si perde” diventerebbe il relativismo per eccellenza,. Invece tutto resta. Si fa labirinto. Foresta. Caos. Deserto.
Come sarebbe pensabile penetrare questi mondi con la filosofia dello’ottimismo? Portiamo i segni di antiche civiltà, di paesi seppelliti nella nostra coscienza, di amori viaggianti, di terre desolate, e tutto questo il pensiero forte lo recepisce non con il senso del razionale, ma con il peso della metafisica.
Il Novecento resta l’epoca che intreccia inesorabilmente la filosofia del mondo pessimo (oltre la caverna e dentro Seneca) con la letteratura che pone al centro l’uomo distrutto ma non sconfitto.
Viaggiare accanto a questi percorsi ha significato e significa osservare con incanto e disincanto tutti i camminamenti. Quei camminamenti che ci permettono di essere Ulisse e di dimenticare anche di esserlo.
La filosofia del ritorno non è soltanto un nostos, è anche una profezia. Soltanto educando alla visione del metafisico viaggio è possibile catturare un’onda di metafisica. Purtroppo conviviamo con (in) un mondo pessimo frutto della leggerezza e del relativismo. Bisognerebbe rompere steccati per educare a pensare. La scuola propone il lievitare del pensiero debole. Il tragico del non pensare!
Il resto si chiude in un salto di rospo.
Pierfranco Bruni