MARUGGIO – La Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Puglia vuole vederci chiaro sulla vicenda delle statue sacre del XV secolo che il parroco di Maruggio, don Gregorio Mastrovito (in foto), aveva tentato di trasferire dalla chiesetta dell’ex convento Santa Maria delle Grazie, sede del municipio di Maruggio. Uno dei funzionari dell’ente di tutela barese ha chiamato ieri il dirigente degli Affari generali del Comune preannunciandogli una prossima ispezione nel luogo di culto oggetto della
contesa tra chiesa locale e amministratori pubblici. Il caso è venuto alla luce dopo la denuncia del consigliere delegato alla cultura Giovanni Quaranta, il quale ha sventato il trasferimento di due statue di Sant’Antonio e San Francesco. Di questo si è anche parlato ieri nel corso del Consiglio comunale. L’assemblea cittadina che doveva discutere altri punti all’ordine del giorno, ha approvato all’unanimità una mozione presentata dalla consigliera di opposizione Anna Molendini che prevede l’istituzione di una commissione d’indagine intercomunale con il compito di redigere un inventario dei beni pubblici gestiti dal clero. L’intenzione degli amministratori comunali è di arginare il possibile depauperamento del patrimonio artistico e storico conservato nei luoghi sacri gestiti dall’autorità ecclesiastica. Il sospetto che qualcosa sia mancato negli anni, infatti, è molto forte. A sostenerlo, tra gli altri, è lo storico locale, Tonino Filomena, i cui studi dimostrerebbero la scomparsa di cimeli come tele, oggetti sacri d’oro e d’argento e suppellettili antichissimi di un certo valore non solo storico. Persino di una fornitissima biblioteca la cui traccia è contenuta in un recente libro scritto da un’ex parroco di Maruggio, don Pietro Pesare. Il prelato nella sua opera «I frati dell’Osservanza di Santa Maria delle Grazie di Maruggio», » , parla di una biblioteca «francescana del Convento di Sava che potrebbe essere in tutto o in parte il nucleo della biblioteca maruggese» . Per lo storico Filomena sarebbe questa la prova della «razzia» di beni operata in passato grazie anche «alla scarsa attenzione per il patrimonio culturale e storico di chi ha amministrato negli anni.
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