Ha scritto Nino Borsellino nella Introduzione: “Il Principe si può leggere come un’autobiografia sublimata” (Introduzione a Il Principe, Newton Compton Editori, Roma 2013, p. 5).
Un concetto molto audace che pone Machiavelli al centro di un’ampia discussione, i cui parametri storici sono chiaramente focalizzati in una temperie qual è il Rinascimento, ma la visione complessiva è abbastanza articolata, tanto da inserirsi in un processo culturale ampio che va dalla grecizzazione al mondo romano sino a riflessioni che toccano il tardo Medioevo. Su questo argomentare ci siamo soffermati anhe nel libro Machiavelli. Un secolo di mezzo (da me curato), editore Pellegrini che verrà presentato ufficialmente a settembre prossimo.
Ma si tratta, in fondo, di una autobiografia? Borsellino osserva con attenzione l’opera nei suoi vari passaggi e attualizzandola tocca degli articolati momenti di un pensiero che è costantemente in itinere tanto che avrà modo di osservare: “Il Principe resta il ‘libro vivente’ dell’antiideologia, un breviario della coscienza pubblica non più del principe” (Op.cit. pag. 13).
I due capisaldi, secondo Borsellino, del Machiavelli che dedica le sue pagine alla realtà del mondo del principe, restano la libertà e la verità. È un dato storico fondamentale perché in esso ci sono delle eredità filosofiche che hanno caratterizzato i secoli successivi sino al dibattito sulla eticità e moralità nel pensiero politico e pedagogico di Gentile e di Gramsci. Ma il discorso parte ancora da lontano, e si tratta di un discorso sostanzialmente sull’antiideologia, per definirsi in alcuni elementi vichiani e alcuni richiami sulla libertà già definiti in Foscolo.
Il Principe resta l’opera che detta i valori fondanti alla dialettica sulla politica superando gli schemi dell’autorità dei poteri precostituiti. Dopo Il Principe non sarà possibile affrontare i temi della politica con le inquadrature e gli schemi descritti e condannati da Machiavelli. Questo è certo.
Borsellino pone ciò come cesellatura da non dimenticare: “Si è detto che Machiavelli mette allo scoperto le leggi della politica, ma l’arte del politico va appresa valutando le circostanze, misurandosi con le difficoltà della conquista, del dominio e del governo.
Da qui le conclusioni più radicali e gli aforismi più spietati: l’incapacità degli uomini di ubbidire per amore e la necessità del principe di farsi temere fino ad essere crudele, di simulare e dissimulare, ma anche di non farsi odiare togliendo ai sudditi i beni e l’onore” (Op. cit. pp. 10 – 11).
Una lezione che ha accompagnato l’immaginario di una politica vissuta come esercizio di potere pur all’interno delle democrazie. D’altronde la storia del diritto è ricca di tali testimonianze sul piano del rapporto tra giustizia e politica, diritto del cittadino, cittadinanza e politici, etica e morale.
Si ritorna, dunque, al presupposto che è kantiano ma che trova la strada in un Gentile che vive il diritto della politica non come egemonia (la valutazione gramsciana) ma come espressione della centralità dell’umanitas. È qui le fonti di una storia del diritto improntate sulla antiideologia della politica potrebbe raggiungere proprio quel legame a-prioristico tra libertà e verità.
Machiavelli sa che in questo legame si rischia l’utopia come fu in Dante perché, come evidenzia ancora Borsellino, non è possibile incamminarsi verso quelle “città” agostiniane o campanelliane che potrebbero definirsi come un estremo delle illusioni. Machiavelli incastona la sua opera al di fuori di una concezione utopica, e forse anche per questo è possibile leggerla come una “autobiografia”, in quanto l’esperienza di un uomo che è stato tra le maglie dei poteri si autodefinisce nella cimentata “volontà di potenza” che è l’espressione del principe. In realtà Machiavelli è come se non “postasse” dei giudizi ma delle meditazioni e delle constatazioni.
Tutto ciò è comunque il risultato di un vissuto che si proietta come delle considerazioni sulla base non di una memoria lontana, ma di una recente frequentazione di una stratigrafia politica che non è stata avulsa dall’esercitazione del potere. In fondo il rapporto tra esercitare potere e attuare un processo politico è praticamente vitale se si vuole attuare una amministrazione nei fatti attraverso gli atti.
Ecco perché l’attualismo gentiliano si innerva anche nella lettura di un Machiavelli come “profeta disarmato”. Machiavelli non si poneva il problema della “ragione” o del pensiero ragionante in politica perché puntava alla storia. Ed è ciò che afferma Gentile quando in una frase lapidaria sostiene: “Gli uomini che ragionano sempre non fanno la storia”. Perché, ancora secondo Gentile, “Lo stato non si restaura se non si restaurano le forze morali che nello stato trovano la loro forma concreta, organizzata, perfetta. Lo stato non si restaura se non si restaura la famiglia, e nella famiglia l’uomo, che è la sostanza della famiglia, della scuola, dello stato”.
Gentile attraversa Machiavelli e va oltre coinvolgendo non solo lo Stato e il diritto alla politica ma la società, in quando “agenzia” nel diritto alla storia e della storia. E questo è realismo. Ovvero il realismo machiavelliano che è una “verità effettuale”. Qui Machiavelli introduce una vera e propria dialettica intorno ai principi della politica, del diritto e del potere senza mai scendere nella retorica e nelle conclusioni demagogiche.
Quell’attualismo gentiliano è un punto cardine per capire quanta strada ha percorso Machiavelli partendo non da teorie astratte o soltanto da una valenza politica e filosofica. Così come resta un punto fermo la “verità effettuale” che è distante dall’immaginario ed è addirittura altra cosa.
Proprio in ciò c’è quel messaggio della “autobiografia sublimata” molto cara a Borsellino. Ma è una autobiografia rivelante in quanto sostando intorno al concetto di “biografia”, Machiavelli ha connotato di indirizzi un processo politico che avrebbe dovuto definirsi anche come modello antiideologico. Così nella storia della politica non è stato. Così nella storia del diritto alla politica si è cercato di fare utilizzando gli strumenti che Machiavelli ha definito.
In fondo, Il Principe nasce dalle fonti. La biografia utilizzata è una fonte certa. Ovvero resta “un breviario della coscienza pubblica” (Op. Cit. p. 13).
Micol Bruni