L’origine degli “Osanna”
Molti studiosi ricollegano le colonne degli “Osanna” (dial. Sannai) ai preistorici Menhir. La tesi è la seguente: gli antichi Menhir sarebbero stati cristianizzati, riutilizzandoli come monumenti cristiani ed inserendovi il simbolo della croce (oppure e d’altro canto, l’usanza della costruzione della colonna dell’ Osanna sarebbe un retaggio dell’antica devozione ai Menhir).
Sulla scia di questa tesi, nel momento della “conversione” in “Sannai” alcuni menhir avrebbero subito modifiche, altri sarebbero stati lasciati più o meno come in antichità con l’aggiunta del simbolo cristiano, altri ancora sarebbero stati sostituiti, nel medesimo luogo, da una nuova “colonna”.
Lo studioso Paul Arthur rivede criticamente queste tesi e classifica come colonne costruite in epoca medievale molti monumenti identificati come menhir.[1]
L’abitudine di innalzare pilastri in pietra a scopi cultuali, comunque, è antichissima e, se ha nei menhir e nei betili preistorici i precursori dei successivi monumenti cristiani, c’è anche un periodo intermedio che testimonia una continuità nell’utilizzo cultuale delle pietrefitte. Difatti, era abitudine di diversi popoli che hanno occupato nel tempo il Salento, innalzare questo genere di strutture litiche: dai cretesi, ai magno-greci, sino ai romani.
Greci e Romani innalzavano lungo le pubbliche strade colonne e pilastri in pietra detti Enodii, sui quali erano scolpite le teste di divinità come Mercurio, Apollo, Ercole, Diana:
“Enodi […] colonne o pilastri, da Plauto chiamate Viales e da Varrone Viacos, che lungo le strade innalzavano i superstiziosi Greci e Romani, imponendovi le teste di Mercurio, di Apollo, di Bacco o d’Ercole, perciò detti Enodii, cioè custodi e protettori delle vie. A questi, prima d’intraprender viaggi, solevano porgere sacrifici e voti. Indi Enodia fu soprannominata Diana dai Greci, e Trivia dai latini, perchè né trivii e quadrivii additava all’incerto viandante la via” [2]
L’enodio romano, detto anche Erma, deriva a sua volta dalle erme ( ἑρμαῖ ) greche, dei pilastri dell’altezza variabile tra un metro e un metro e mezzo, sormontati da una testa (spesso “estraibile”)[3] che raffigurava Hermes, ma anche altre divinità legate ai crocicchi, ai viaggi e alle partenze. Specialmente alla fine dell’era arcaica, se ne trovano diverse testimonianze: tali “colonne” erano collocate lungo le strade (“viales”), ai crocevia, ai confini delle proprietà e ai loro ingressi, per invocare la protezione della divinità che era considerata anche protettrice specifica dei viandanti.
L’erma deriva a sua volta dal Betile posto in era arcaica a protezione delle vie e delle soglie: dimora ed emblema della divinità, era anche simbolo di fertilità. I Betile più rozzi ed antichi sono delle colonne informi in pietra o in legno e hanno un loro corrispettivo ancora più rozzo e antico in dei semplici cumuli di pietre posti ai bordi delle strade, agli incroci o ai confini dei terreni.
Menhir e Osanna nella ricerca del De Giorgi
Scrive Cosimo De Giorgi :
“Innanzitutto una parola sulla nomenclatura locale di questi monumenti megalitici.
In Terra D’Otranto non ho mai udito dalla bocca del popolo dare ai Menhir i nomi di pietrefitte o di pietre ritte – che hanno un sapore spiccatamente letterario – ma bensì quello di Sannà (Osanna) o di Culonne. […]. L’origine del nome Sannà risale a tempo non troppo remoto. E’ costume delle nostre popolazioni, specie di quelle che vivono nei paesi costituenti la cosiddetta Grecìa di Terra d’ Otranto, di innalzare all’ingresso nell’abitato dei pilastri o colonne sormontati da croce lapidea, o da una statuetta della Vergine, o di qualche santo. A questi pilastri si dà il nome di Sannà perchè nella domenica delle Palme il popolo va col clero in processione sino a quel punto e vi pianta un ramo di ulivo benedetto. In tutti i paesi della parte meridionale di Terra d’Otranto si trovano questi monumenti religiosi; ma non si possono né si debbono confondere con i veri Menhir pet alcuni caratteri speciali degni di nota.
E’ d’uopo premettere che alcuni antichi e veri Menhir trovandosi poco lontani dai centri abitati furono trasformati in Osanna nel primo millennio dell’era volgare, e sulle loro facce vi furono scolpite o graffite le croci. Però un esame accurato basta a distinguere gli antichi dai moderni Sannà.
Un primo carattere è che i moderni sono dei prismi retti a base quadrata, o presentano una minima differenza nelle dimensioni delle due facce adiacenti, mentre i veri Menhir rassomigliano a tavole lapidee di sezione rettangolare, come è indicato dal loro nome. Non di rado i moderni ci presentano una sezione ottagonale prodotta con lo smussamento degli spigoli: e in tal caso, e quando sono cilindrici, prendono il nome volgare di Culonne.
Un altro carattere è che i Sannà non sono mai confitti nella roccia affiorante del sottosuolo, mentre i Menhir sono tutti incuneati nella roccia sino a 40 e anche 50 centimetri di profondità. Perciò i moderni sono sostenuti in posizione verticale da più pezzi, a mò di gradini che ne rinfiancano la base.
Il Nicolucci […] parlando dei nostri Menhir dice che sono quadrangolari, più stretti in alto che in basso. Ma anche su questo fu male informato. Nei veri Menhir non si scorge mai nessuna rastremazione all’estremità superiore, e le facce adiacenti sono sempre uguali da cima a fondo.
Un ultimo carattere che distingue i Sannà dai Menhir è la patina calcarea di incrostazione prodotta nel corso dei secoli su questi ultimi soltanto. E’ il fatto che ho riscontrato pure sui lastroni di copertura dei nostri Dolmen; e che ci dà la conferma della loro antichità.”[4]
il “Sannai della pioggia” sulla strada Sava-Pasano
A Sava si ha notizia di una processione per invocare la pioggia, praticata con una sosta davanti ad una colonnina degli Osanna. La processione, diretta da Sava verso il Santuario di Pasano,[5] prevedeva una “fermata” a metà strada, presso un “Sannai” situato in contrada Panareo: questo singolare rito è stato praticato sino ai primi anni ’60.[6] Mi soffermerò con un prossimo articolo sulla storia e sulla tradizione di questa processione: in questa sede, voglio soltanto evidenziare come a questo genere di strutture litiche siano sempre state attribuite qualità magiche, e, secondo alcune teorie interpretative dei Menhir, relazionate anche e addirittura ad una sorta di influenza nei confronti delle forze della natura e dei fenomeni atmosferici.
I ramoscelli d’ulivo sulla cima degli Osanna
Poche decine di anni or sono è stato deturpato, in Sava, il “Sannai” della attuale piazza Padre Pio (in precedenza piazza Sauro, e ancor più anticamente Largo Pozzi)[7], uno dei più suggestivi del paese e peraltro l’unico ancora esistente nel centro abitato, con la sciagurata idea di rivestirlo completamente in marmo e, per di più, di affiancarvi una cabina per il metano.
La piazzetta, oggi completamente ristrutturata, conserva ancora la sua antica forma triangolare, e la colonna (somigliante nell’aspetto e nelle caratteristiche a quelle che si possono ancora ammirare, nei paraggi, a Monacizzo e a Uggiano Montefusco) è posta al vertice del triangolo, ovvero in una posizione che la vede a “guardia” di un crocevia. Come più volte evidenziamo in questo scritto, il posizionamento di questo genere di strutture ai crocevia è una costante che si ripete sin dall’antichità più remota, e le caratterizza come protettive e augurali.
In questo luogo si svolgeva (all’incirca sino a fine anni ’60 – inizi ’70), nella domenica precedente la Pasqua, la benedizione dei rami e fasci di ulivo, con modalità che Annoscia in un suo scritto[8] ricorda simili a quelle descritte da C. Demitri in rapporto ai festeggiamenti maruggesi:
“La domenica delle palme era solennemente festeggiata dai contadini maruggesi. Poco prima della messa cantata, essi si recavano alla chiesa madre con fasci d’ulivo che , una volta benedetti, avrebbero fissati sui tetti delle case e conficcati nel terreno del proprio campo, oltre a conservarne alcuni da tenere per un anno sopra il capezzale, sotto il materasso o dietro la porta di casa.”[9]
Il fascio o il ramoscello d’ulivo aveva dunque anche una valenza apotropaica.
Nella cerimonia del “Sannai” un ramoscello era anche posizionato in cima alla “colonna” sino al suo disseccamento e alla sua sostituzione, l’anno appresso, con quello nuovo.
Questi rituali hanno radici ancor più antiche, ci riportano alle feste in onore di Apollo ed Helios durante le quali un ramo d’ulivo sacro veniva affisso sulla porta del tempio o all’ingresso delle case, dove sarebbe rimasto fino all’anno seguente, sostituito da quello nuovo. O ancora, alle processioni panatenaiche durante le quali i thalloporoi (“portatori di ramoscello”) recavano rami d’ulivo alla dea Athena (divinità collegata all’ulivo stesso).
Gianfranco Mele
- Arthur P., I Menhir del Salento, in: Puglia preromanica, a cura di G. Bertelli, Edipuglia, pp. 289-91 ↑
- Bazzarini A., Dizionario Enciclopedico delle Scienze, Lettere ed Arti – Vol. II Venezia, Andreola, 1830. L’autore riporta questo passo citando Berger, “De publ. Et militar. Romani Imperii” ↑
- “Non è inutile l’osservare sul propositi degli ermeti, che i greci e i romani faceano di sovente alcune statue, il cui capo staccavasi dal restante del corpo, sebbene l’uno l’altro fossero di una sola materia. In tal modo gli antichi, per fare una nuova statua, si contentavano talvolta di cambiare soltanto il capo, lasciando sussistere il resto del corpo” (Pozzoli G., Romani F., Peracchi A., Dizionario Storico – Mitologico di tutti i popoli del mondo, Livorno, Tip. Vignozzi, 1829, pag. 647) ↑
- De Giorgi C., I Menhir della Provincia di Lecce in Rivista storica Salentina, anno XI n. 4-5-6, nov.-dic. 1916, pp. 74-76 ↑
- Mele G., Sava (Taranto). L’antica chiesa di Pasano, Fondazione Terra d’Otranto, sito web, settembre 2016 ↑
- Annoscia M., SAVA – Schede di bibliografia ed immagini per una storia del territorio e della comunità, Ed. Del Grifo, Lecce, 1993, pp. 91-93 ↑
- Sino a fine anni ’70 la piazzetta era ancora priva di mattonatura, la sua pavimentazione consisteva di semplice terra battuta, e al centro, secondo le testimonianze degli anziani conoscitori del luogo, esisteva un pozzo sorgivo che probabilmente era in comunicazione con la falda sotterranea che attraversava anche la vicina Piazza San Giovanni, e con i cunicoli sotterranei dell’antico centro del paese (Cfr. Mele G., Sava – Castelli, la città sotterranea e la necropoli. Documenti, tracce e testimonianze di un antico centro abitato precedente la Sava del XV secolo in: Terre del Mesochorum, Archeoclub Carosino, 2015). L’antica denominazione di questa piazza, Largo Pozzi, lascia presupporre che esistessero diverse imboccature dalle quali si traeva l’acqua sorgiva. Questa denominazione è presente in una mappa delle vie di Sava inserita dal Coco nel suo libro “Cenni Storici di Sava”. La mappa del “Centro Urbano del Comune di Sava” raffigura le vie del centro nei primi del Novecento, periodo di uscita del testo. Da notare, infine, che secondo alcune teorie, i Menhir stessi venivano impiantati in luoghi in cui vi era presenza di corsi d’acqua sotterranei. ↑
- Annoscia, M., Il Santuario della Madonna di Pasano presso Sava, Del Grifo, LE, 1996, pag. 50 ↑
- Demitri, C., Feste, riti e tradizioni di Maruggio, Nuovi Orientamenti, Gallipoli, Taviano 1985, pag. 23 ↑