Vi rivelo una teoria esoterica sulle cozze che viene sussurrata nelle tavole del sud e nei mercati ittici per cenni allusivi. La cozza è sensitiva e percepisce se la ami o ne diffidi e si regola di conseguenza. Nuoce agli ostili e delizia gli affini, punisce il reato di cozzofobia con diarrea plurima e aggravata.
La teoria è sorretta sempre da un esempio: lui, lo sciupacozze, ne ha mangiate un centinaio e sta benone, invece l’avventizio ne mangiò impaurito una sola e passò una notte e un giorno in bagno. Il test-verità è ingerire la cozza nuda e cruda, consentita solo ai residenti; ai forestieri si addice quella cotta e vestita, di gratin o di spaghetti. Nemmeno i medici osano confutare questa dottrina ittico-mistica ma s’inchinano al verdetto della Tradizione. Sarà un pregiudizio etnico-gastrico, una forma di sciovinismo sottomarino, ma la legge della cozza è inesorabile. Come i cani, pure la cozza azzanna chi si mostra timoroso e ostile. Diventano invece affabili le cozze quando sono in comitiva. Per esempio quando entrano in tiella e in gruppo nella formula barese di riso patate e cozze. Lì diventano simpatiche, si riempiono di riso, si fregiano di pomodori, scherzano con le cipolle, e guazzano tra le patate, in un incrocio marino-terrestre.
A proposito, la teoria della cozza permalosa ha anche una versione terricola e si applica al lampascione, un rozzo cipollone d’altri tempi, amaro e indigesto per gli allogeni e gustoso per gli iniziati e gli habituè. Prima di mangiarlo, è bene seguire un corso di psicologia del lampascione per prenderlo dal verso giusto. Se entri in confidenza, il lampascione s’intenerisce e non fa male; così la cozza, se familiarizzi, lei si apre con te e ti dà il suo frutto.
Chiedete l’amicizia alla cozza o al lampascione per accedere a loro. Prima di aprire i loro gusci, aprite il vostro animo alle cozze.
Marcello Veneziani
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