Caro Ragazzo nato nel Duemila, pensavo a te nel Novecento come a una figura mitologica, una specie di marziano che avrebbe abitato altri mondi, si sarebbe alimentato in altri modi, avrebbe viaggiato per altre galassie. Era questa la promessa euforica che circolava negli anni sessanta del secolo scorso, a cavallo delle conquiste spaziali e non solo. Era il sogno di fuggire dal Novecento ideologico e bellicoso per entrare in un millennio né rosso né nero, ma latteo come la via omonima, e vitreo, come si addice al video trasparente.
Padre di due figli nati nel millennio scorso, sognavo di avere un terzo figlio nel terzo millennio e per scherzare con l’immortalità, promettevo anche un quarto figlio nel quarto millennio… Ma poi la vita ha preso un’altra piega.
Ora ti incontro in giro, ti sfioro per strada, ti incrocio mentre esci da scuola o vai all’università, e ti vedo fin troppo uguale a me, a noi, brontosauri del millennio passato. Ma sotto la buccia di una somiglianza, se poi mi affaccio nella tua vita, nel tuo lessico, nel tuo immaginario, nel tuo sapere, trovo un abisso di differenze. Alcune sono decisamente a tuo vantaggio: la capacità di abitare la tecnica e il globo, con una padronanza che noi non avevamo, la capacità di navigare nell’universo matematico, la tua refrattarietà ai sogni collettivi, salvo fiammate ambientaliste nel nome di Gretology, la nuova setta planetaria. Ma la sensazione che poi mi coglie è esattamente rovesciata rispetto a quella che ti fanno percepire media, scuola & agenzie globali: ti hanno fatto credere di avere una visuale più lunga, più larga, globale, rispetto alle generazioni precedenti.
Ma se ci pensi bene il tuo mondo è assai più piccolo dei provinciali di una volta, e provo a spiegartelo. Tu abiti su una fettina così sottile e così ristretta che si chiama Io, che si chiama Presente, che si chiama Display. Il paesano non conosceva il globo e non viaggiava né con Erasmus né con Ryanair né con lo smartphone. Però conosceva più mondi, più persone, più natura, più vita, più storia. Scendeva di casa, salutava cento persone e si fermava a parlare con dieci, conosceva la campagna, i suoi frutti e i suoi animali, non solo quelli domestici e umanizzati; leggeva libri di storia, conosceva più generazioni oltre la sua, frequentava i nonni e ci parlava pure, li lasciava raccontare, anche per rispetto dell’età grave. Aveva più dimestichezza con la morte, con l’aldilà, con la religione. Insomma, abitava più mondi. A te hanno sottratto il passato, l’avvenire, la trascendenza e una fetta d’interiorità che noi primitivi chiamavamo anima. E tutto questo accade non solo a livello psicologico ma anche a livello di formazione, di studi, di conoscenze. In principio fu la morte di Dio e la conseguente fine della religione. Seguì a sorpresa non lo sviluppo del pensiero e della filosofia, come avevano annunciato gli illuminati avversari delle fedi oscurantiste, ma la sconfitta del pensiero, la fine della stessa filosofia e la sua rinascita marginale nelle vesti micragnose di “scienze umane” anzi di humanities. E non solo. Da tempo nella vita corrente, nella scuola e nell’università è in atto una progressiva scomparsa della storia, sia come memoria che come studio e storiografia. E’ una forma di oblio collettivo che fa rima con la rimozione del passato, dei ricordi nella sfera personale. Una specie di lobotomia. Potrei proseguire e dirti del tramonto della politica; o la fine delle nazioni, delle famiglie naturali o tradizionali, e altro ancora.
Allora torno a te, ragazzo nato nel 2000, e ti vedo solo e sperduto nell’oceano del web e della tecnologia, sulla tua zattera in forma di display, disormeggiato da tutto e mi accorgo che non vivi – come mi avevano fatto pensare le fabbriche mediatiche di opinioni- in un mondo sconfinato e ricco; non sei un navigatore globale, ma al più naufraghi su un’isola deserta, interconnessa al mondo ma disabitata di vita reale, di storia, di natura, di pensiero, di fede, di cultura. E allora ti vedo più provinciale dei provinciali di una volta, chiuso in un mondo minuscolo, assai più piccolo del Mondo piccolo, vivace e magico di Guareschi, Peppone e don Camillo. E capisco le tue fragilità e le tue insofferenze, il timore di perderti nella fluttuazione di un vagare senza meta, senza punti fermi, eredità e prospettive, senza memoria né avvenire, perso nel presente, annegato nel momento. Ma di questo non te ne faccio una colpa, anzi ti considero una vittima; tu non hai termini di paragone, vivi nell’assoluto presente, ti dissero che la tua superiorità sulle generazioni precedenti era fondata proprio sulla tua estraneità al passato e alla tradizione, sulla liberazione da ogni radice e da ogni confine. La responsabilità semmai è nostra, di chi ti ha fatto trovare questo abitacolo globale, resettando ogni eredità o provenienza.
Ma non per questo ti compiango e ti considero perduto; anzi questa tua assoluta verginità di storia, di pensiero, di fede, di comunità può diventare a rovescio l’occasione per straordinarie scoperte. Scopri quei mondi negati, il coraggio di ricordare e di sperare, coltiva la nostalgia dell’avvenire, avvicinati con lo stupore di un bambino appena nato a quei continenti interdetti, proibiti, che si chiamano storia, filosofia, fede, arte, pensiero, politica. Farai una scoperta sensazionale. Capirai che il mondo non è nato con te e non finisce con te e non si risolve qui e ora. È fantastico, ragazzo, e per giunta è reale. Prova a cercare quel che noi non abbiamo saputo darti. Dacci questo smacco o questa soddisfazione. Arrivaci per conto tuo. Noi sognammo la conquista della luna e dei pianeti. Tu prova la conquista della terra, del cielo e della vita.
Marcelllo Veneziani, Panorama n.17 2019
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