Santità,
mi rivolgo a Lei con molta devozione e con tanta serenità, anche se il mio cammino non è il Suo, anzi non si identifica in ciò che Lei cerca di esprimere nelle parole e nelle azioni.
Le dirò il perché.
In un tempo in cui le incertezze camminano lungo la via dell’anima, il cristiano, che è distante dalla Chiesa (mi deve concedere questa divagazione e questo mio vivere la cristianità senza chiesa come ha già sottolineato decenni fa Ignazio Silone), si trova a dover fare i conti con le lacerazioni che non sono soltanto esistenziali e spirituali, ma sono anche storiche e politiche (uso il termine politico senza alcuna derivazione o deviazione ideologica ma aristotelica).
Io non ho condiviso e non condivido, anche se ad ascoltare il Suo primo discorso mi era giunta una impennata di sorrisi, ma poi è scemata con il sopraggiungere di altre Sue considerazioni), la Sua apertura ad una modernità, che sembra calata in un “progressivo relativismo”, ed è come se la Tradizione si perdesse nella fragilità non del contemporaneo, ma di un relativismo che si razionalizza, “illuministicamente”, nel giungere quasi a patti con la modernità.
Non si tratta di essere conservatori o meno. Non mi considero tale se conservatore vuole significare soltanto custodire ciò che è stato e non avere la volontà o il coraggio di aprire le finestre che si affacciano alla realtà (avrebbe detto il cattolico Aldo Moro). Piuttosto sono nel solco della Tradizione e del messaggio cristocentrico e fortemente radicato nel Messaggio di San Paolo.
Santità,
Lei ha, sostanzialmente, una verità da trasmettere in un contesto di agguati alla cristianità e ai valori della cristianità. Ma occorre recuperare la cristianità proprio nel momento in cui i cristiani continuano ad essere massacrati, uccisi, derisi in tutto il mondo.
Il Suo linguaggio cattura il “gregge”, per usare un termine “evangelico”? Ma quale? C’è un popolo cattolico che continua ad essere detentore di un manierismo di vivere la cattolicità con all’interno una visione razionalista della vita. A Lei si sono avvicinati gli atei e i non credenti che resteranno sempre tali perché la cristianità non è una dialettica, come ben sa. A lei si sono avvicinati i progressisti che resteranno sempre nella trincee del razionalismo illuminista. Dal mondo cattolico si sono allontanati i cristiani della tradizione che hanno sempre creduto e credo alla spiritualità come devozione, mistero e fede. Lei li ha allontanati con il Suo agire e i Suoi proclami.
Non mi ha convinto, sono molto distante dalle parole che ha usato, e mi ha “urtato” la posizione del filosofo Vittorio Hosle da Lei. Già anni fa, nominato alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Continua a non convincermi la Sua posizione su Lutero. Non mi convince la Sua distinzione anche dal punto di vista dei processi di civiltà e non solo religiosi tra il Cristianesimo e l’Islam.
Non può esserci fede in una tradizione razionalista; non sul piano teologico soltanto, ma soprattutto su quello filosofico: non siamo sulla riva del positivismo o addirittura del marxismo. Qui, dobbiamo restare in trincea per difendere e comunicare l’Umanesimo della cristianità, altro che diffondere la “tradizione razionalista”. È proprio questa tradizione che ha condotto il mondo al relativismo.
Santità,
la posizione sulla famiglia, il rapporto tra valori e nuova società in transizione, la questione sulll’aborto, i matrimoni tra omosessuali, (ora anche Roma insegna, sic!) le ricchezze tra antichi capitali e capitalismo internazionale sono inquadrature nella storia, che si pone, tale inquadratura, come problematica nell’attualità; ed è giusto che sia una riconsiderazione in una temperie alla quale è stato concesso tutto, ma non Le sembra che una Sua posizione autorevole, basata sul ritorno al messaggio della Tradizione, possa far affrontare tali questioni, in una società cangiante ma con dei valori mai mutevoli, con una forza marcatamente metafisica?
La Chiesa deve potersi aprire alle nuove istanze, ma Cristo, nel nostro tempo, deve dialogare non con un messaggio mediatico che dia il senso della accettazione o della resa nei confronti del moderno che ha allontanato gli uomini dalla Tradizione, bensì centralizzando una questione non teologica della “ragion pratica” soltanto, ma del rispetto di una reciprocità del diritto alla Tradizione.
Altrimenti sarebbe più giusto aprire una importante dialettica sulla rilettura del Nuovo testamento, a partire dalle Lettere di San Paolo. San Paolo non è moderno. Cosa può dire alle generazioni che vivono una società in transizione? San Paolo parla un linguaggio sì teologico, ma profondamente filosofico ed inquietantemente esistenziale. Lo stesso Seneca cercò di dialogare con Paolo per capire non la teologia ma la civiltà che trasporta le società verso il senso della fede o verso gli orizzonti del relativo. D’altronde Benedetto XVI nei suoi tre testi sulla Vita di Gesù e sul testo dedicato a San Paolo pone una questione che va oltre la teologia e si innesca in una metafisica dell’anima. Fa un’apertura notevole con gli strumenti del Pensiero della Tradizione.
Santità,
mi aspetterei da Lei un atto di coraggio che è quello di aprire una articolata dialettica sul pensiero di Paolo, ponendo in discussione tre elementi:
- la sua fortezza nell’essere conservatore e moderno per i suoi tempi;
- cosa è possibile non toccare del suo insegnamento e della sua missione oltre il concetto di carità e amore;
- quali sono gli elementi che non possono più essere condivisi nella società di oggi, ma Paolo viene letto e riletto, ambiguamente, nelle Chiese durante la Santa Messa?
Dico questo perché mi sembra che si stia demolendo non una impalcatura o una struttura obsoleta della Chiesa come “Stato” o come Apparato, ma si stia trasformando il rapporto tra la religiosità paolina e il bisogno di una cristocentricità, che deve essere riferimento forte e autorevole, carismatico nella contemporaneità.
Non si tratta né di attualizzare un messaggio che non può essere attualizzato (la fede?) né di rendere moderno ciò che non è moderno. Altrimenti tutti i Suoi sforzi, il suo linguaggio “popolare”, scisso tra conoscenze forti e Fede e linguaggio resteranno vani.
Tutti sappiamo che il concetto di famiglia è mutato, ma non possiamo predicare un’idea di famiglia e poi innovare il concetto di famiglia nella attualità senza rispondere alle cosiddette “famiglie allargate”. O si fa una discussione complessa e completa tra teologia e filosofia, tra Tradizione nel messaggio dei Padri e Tradizione posta in discussione nella contemporaneità, o altrimenti Lei raccoglierà folli applaudenti (ma non so fino a che punto), ma i dubbi, gli equivoci, le contraddizioni non solo resteranno, in una Chiesa enigmatica e ormai kafkiana, ma cresceranno e non saranno dubbi pascaliani, ma esasperanti.
Lei deve parlare a chi cristiano non è, a chi cattolico non è. Questo è certo, ma deve poterlo fare non con il loro linguaggio, ma con il linguaggio dei Padri della Cristianità, altrimenti correrà il rischio di trovarsi in un viaggio cristiano senza più mondo cattolico e viceversa. Ma deve avere la forza , il coraggio e la coerenza anche di confrontarsi con chi cristiano è e non trova più riferimenti nel mondo cattolico.
Santità,
Le sono sincero e sereno, come sempre. Avevo posto in Lei tanta speranza. Le Sue parole riferite al fatto di non perdere la speranza hanno una forte incisività. Ma mi lasci dire, con beneficio di inventario, che ascolto ciò come se fossero degli slogan. Mi perdoni per ciò.
Io vedrei un Progetto più ampio su un nuovo messaggio cristiano, su una nuova evangelizzazione, su un nuovo camminamento delle Chiese, perché Lei è solo, forse questo aspetto sfugge a molti, e non convince i cristiani che restano cristiani oltre la cattolicità relativista (come in molti incontri viene fuori) o “Templari contemporanei” quando si odono termini come “tradizione razionalista”. Può esistere una tradizione razionalista? La teologia non regge più senza la ontologia della fede, della filosofia e della antropologia dell’umanesimo.
Io ho fede. Ma sono distante, non è una contraddizione o un equivoco, molto distante, da una Chiesa che non riesce a proporsi come Progetto complessivo di una nuova evangelizzazione. Non si possono aggiungere tasselli dopo tasselli. Abbiamo bisogno di riflettere, condividere o meno, il mosaico complessivo non di un nuovo modello cristiano, perché non può esistere un nuovo modello cristiano, ma di un nuovo approccio tra il messaggio cristiano nel tempo devastante della modernità. Il nuovo cattolicesimo è dentro un relativismo degli equivoci ed io, come molti noi, non ci ritroviamo.
Santità,
Lei può fare tanto sia per la serenità che riesce a trasmettere sia per la scuola religiosa alla quale appartiene, ma l’incastro filosofico tra religione e razionalità (“razionalismo”) è una impalcatura culturale, la quale viene meno nel momento cui io, da cristiano, mi pongo un problema di fondo che è quello tra cristianità, mistero e fede e non mi trova in una condivisione della teologia del progresso e che può diventare cultura della prassi. In realtà Lei pratica proprio la religione della prassi, che è distante, perché qui non si tratta di innovare, dalla Cristianità e dalla ontologia della Fede.
Credo che occorre porsi una domanda per non essere omologante e omologato nel “gregge”: Perché il Cristiano della Tradizione è distante dal cattolicesimo relativista?
Paolo, Tommaso, Agostino, i Padri del deserto, Santa Teresa D’Avila, Benedetto XVI sono nel nostro cammino e a questa domanda hanno risposto con molta serenità.
In Cristo e in Paolo
Pierfranco Bruni