Analisi o interpretazione? I limiti e le misure. A distanza di epoche c’e’ molto ancora da capire e da catturare nell’opera di Luigi Pirandello. Certo, uno scrittore come lui non smette mai di rivelarsi.
Lo si può leggere ed è facile e anche raccapricciante trovare una schematica incollatura tra i suoi scritti elaborando, a volte, un pensiero che risulti con gli anni un non pensiero.
A Pirandello non è possibile applicare una indagine critica storicista sia di natura positivista naturalista che liberale.
Croce e Luigi Russo sono quelli che meno hanno compreso Pirandello. Gramsci lo ha soltanto spolverato basandosi soprattutto sul suo iter teatrale.
Pirandello resta un costruttore di una nuova forma di teatro. Di filosofia del teatro. Da Eduardo De Filippo a Totò, alla maschera dell’enigma e a Troisi le idee ci sono: occorre intrecciare la ribalta alla scena comunque.
Costruisce il teatro moderno in un Occidente che per Pirandello, pur avendo studiato in Germania, ha bisogno dei riti e simboli dell’Oriente e della cultura greca. Inventa la novella in un narrativo poetico che è racconto. Spezza i generi tutti frantumandoli. Parla di romanzo quando il linguaggio è dialogante. Scrive le poesie come se fossero canti di una grecità soffusa in una ricordanza costante e colloquiando. Si occupa di cinema anticipando il ruolo scenico ma traghettando sulla scena stessa il personaggio sul quale uno storico della letteratura come Debenedetti ha realizzato il suo pensare critico.
Il dato, comunque, fondamentale è che pur avendo scritto in molti di e su Pirandello soltanto pochissimi hanno focalizzato il vero incastro, in modo originale, tra l’esistente dell’esistere e il personaggio nella vita che diventa opera.
Pirandello non va proposto come uno scrittore tra gli scrittori. Lui come D’Annunzio non sono soltanto il Novecento letterario. Sono la spaccatura con un secolo romantico e risorgimentale e gli iniziatori di una decadentismo che non è soltanto un fattore letterario. Ecco perché a non averlo capito sono quelli che hanno applicato gli strumenti letterari di una pagina scavata nella storia, ma non nel destino. Pirandello è altro rispetto alle ideologie come lo è D’Annunzio.
Vita e forma in Adriano Tilgher sono un percorso significativo nel segno della Esistenza e della Morte. Sono gli scrittori che maggiormente sono riusciti ad entrare nel vissuto labirintico e rocambolesco degli scritti di Pirandello. Originalità e autenticità.
Tra questi Massimo Bontempelli e Corrado Alvaro. Il critico puro è sempre ostico e freddo e tratta Pirandello, secondo un copia e incolla, come se fosse un soggetto sotto esame. Tranne nel caso di Marziano Guglielminetti e di Nino Borsellino che hanno scritto pagine lungimiranti. E in parte Barilli.
Perché Bontempelli e Alvaro?
Il primo in un suo splendido approccio annota che il dramma pirandelliano è nella “smania per cui basta che tu getti un po’ d’acqua sopra un po’ di terra, e in breve ecco un brulicare di vite vegetali e animali che stavano ansiose in un angolo dell’intreccio ad aspettare”.
L’attesa di tutto è l’inquieto del necessario per comprendere come il linguaggio è l’insieme del vocabolario della vita.
In Alvaro, Pirandello è “colpito dagli stessi pregiudizi che tessono il destino degli eroi dei drammi antichi e che fanno il fondo della psicologia popolare della sua giustizia e delle due leggi oscure. L’uomo s’inventa e di scopre parlando”.
Da questo punto di vista Pirandello diventa anche quell’uomo del labirinto raccontato da Alvaro. Come l’Ulisse di Joyce o l’uomo musiliano.
Ci sono idee fisse nel grande scrittore, cesellava lo stesso Alvaro. Ciò allontana lo scrittore stesso dalla visione dal rappresentare il reale fittizio e dal considerare i suoi scritti come una indagine da sottopporre al critico oltre che al lettore.
Ogni contraddizione diventa un enigma.
In letteratura è così quando si ha la provata testimonianza di uno scrittore che vive le antropologie delle forme e del destino e non le ideologie come strumenti di occasione.
Il primo punto di riflessione è proprio ciò che cesella Alvaro. Tra Pirandello e Alvaro non c’è soltanto il labirinto. C’è anche lo scritto di Alvaro dal titolo, Quasi una vita. Il diario come in‘l’uomo fortificato alvariano’ o ‘ribellato’ come in Camus.
Pirandello in sostanza non ha bisogno del critico letterario. Come in D’Annunzio.
Questo significa però che si apre una stagione in cui l’analisi del testo non ha più senso e si invitano i lettori ad autoanalizzare il testo stesso, leggendo direttamente gli scrittori. Autoanalizzare forse anche per autoanalizzarsi.
La letterarura della grandezza qui sta e non nelle analisi o spiegazioni di chi pensa di possedere strumenti falce e rasoi.
Allora. Il mio compito qui finisce. Certo. Ma Pirandello resta. Restano non le analisi del testo ma la capacità di far diventare il testo una confessione.
La letteratura è confessione. Altrimenti è descrizione.
La confessione può diventare e diventa così un genere letterario. Ma bisogna immaginarsi un viaggiatore tra le parole per superare la supponenza di analizzare ciò che avrebbe potuto pensare Pirandello nel momento in cui i pensieri stavano per trasformarsi in parola.
Ciò non ha metodologia bensì mistero.
Pierfranco Bruni