E’ una malinconia nei deserti dei miei viaggi
È morto lo scrittore che raccontava i sufi ma lo sguardo della sua amicizia scava solchi di esistenza
di Pierfranco Bruni
Nelle foto. Romano Battaglia (in piedi) Pierfranco Bruni e Claudia Gerini a “il Caffè de La Versiliana” durante la presentazione di un romanzo di Pierfranco Bruni, di qualche anno fa.Mi mancherà. Alla Versiliana. Con quel suo vestito bianco e la camicia celeste, la sua pazienza, il suo essere tra i libri e la vita. Qualche hanno fa in un incontro alla Versiliana, Marina di Pietrasanta, volle presentare il mio romanzo “Il mare e la conchiglia in un dialogare tra i luoghi dannunziani e il mare che dava echi di malinconia. Ricordo il suo affetto, la continuità, i Natali, e le grandi estati in quel verde de “il Caffè de La Versiliana”.
Con eleganza degli scrittori che conoscono l’eleganza e degli uomini che sanno ascoltare gli antichi detti sufi intravide il quel mio libro la via dello sciamano che camminava tra le mie parole. Ebbe ragione. Fu il libro che cambiò il mio correre tra gli intagli delle non storie. E poi andammo avanti in una Versilia in cui il sale e l’odore del mare avevano il frammento del sogno e con me, in quelle rarissime volte, c’era Rosaria ad ascoltare.
Parlarono a lungo Romano e Rosaria tra le ombre e le penombre del meriggio di agosto. Io ero lì e accanto a me c’era Claudia Gerini. Tanto tempo fa? No. Il tempo ora non ha la clessidra. E Romano mi parlava anticipandomi il libro che stava scrivendo o che avrebbe voluto scrivere. Mi parlava di silenzio, di sabbia, di un personaggio chiamato Annaluna, della strada di Sin, di amore nella docezza di sapere che esiste o che “tu esisti” rivolgendomi ad un amore.
Ricordo che mi parlò di Sufi come in un suo romanzo. Un antico detto Sufi dice: “Il cammino del fiume della vita è scritto nelle sabbie”. La sabbia può essere una metafora ma può anche raccogliere i segni di verità, di venità nascoste, di verità dimenticate e che misteriosamente e improvvisamente si rivelano, di angoli di verità che conservano frammenti di tempo. Ma la sabbia rimanda al deserto e il deserto ha bisogno del vento per catturare le onde della vita o per percepire il racconto della vita. Nel romanzo “Sabbia” come raccontare la sabbia?
Romano Battaglia è uno scrittore vero che riesce a vivere la parola, il sentimento, l’emozione non con le costruzioni sintattiche ma grazie al contatto con quella vita che muore e rinasce sempre.
Le parole portate dal vento. O sarà proprio il vento che porta le parole? Mi è tanto piaciuto un riferimento ad un libro e a un film che considero importanti: “Anonimo veneziano”. Una Venezia che muore nella storia di un amore frammentato e nell’attesa di lui che disperatamente aspetta di morire sulle note di un “veneziano” raccontato da Giuseppe Berto e portato sulla scena da Enrico Maria Salerno.
La vita e la morte. Quella vita e quella morte che si incontrano sempre sullo scenario di una quotidianità che sembra di non appartenerci ma che è, comunque, sempre dentro di noi. Così nel racconto di Battaglia che ci offre questi due personaggi: Fabio ed Eleonora. Ma anche qui gli intrecci sono dentro la vita più che essere manifestazione di un mero raccontare e il romanzo si forma proprio dentro le dune di un deserto che è metafora di esistenze.
Ancora il mondo dei Sufi: “Sotto la sabbia/è sepolto il mistero della vita,/fra le dune c’è il canto dell’universo./Chi non sa ascoltare,/chi non sa immaginare/è lontano dalla verità”.
Ed è vero ciò che dicono i vecchi tuareg (come si legge nel romanzo): “…dicono che Dio abita nel deserto./Per vederlo bisogna alzarsi all’alba/quando sorge il sole./Non tutti riescono a scorgerlo,/alcuni non sanno guardare”. Come nella storia tra il padre e il figlio in “La strada di Sin”. Ma non voglio citare titoli, attraversare poesie, racconti. Romano è nell’alchimia della parola.
Poesia nell’alchimia. Non è alchimia l’ondulare di immaginazione? Una poetica che è sempre segnata da un riflesso di immagini che giunge dal cuore. Il cuore non come testimonianza ma come esperienza di una costante e profonda spiritualità. Si racconta ma il raccontare è una terapia che sembra allontanarsi dal quotidiano dolore ma il dolore, sì questo è vero, si fa esperienza di vita nella speranza. Sono pagine di speranza nell’attesa che coinvolge.
La memoria è un groviglio di sensazioni e di immagini che intrecciati al tempo – vita si divertono nel labirinto. Si ha bisogno della luce. La luce essenziale. Il veliero che naviga. Il faro che illumina la nostalgia che è orizzonte. Quanti destini vivono dentro di noi? E quanti restano in attesa davanti alla nostra “caverna”.
“Silenzio”. Titolo metafora. E’ vero: “La felicità non si ascolta,/ma si impara”. Le voci e il silenzio sono una fede che ci porta per mano nella preghiera. Perché la parola cosa è se non preghiera e il tempo del silenzio che si intreccia costantemente con quello dell’attesa non è forse un incontro tra la fede e la preghiera? L’amore è una costante di questo viaggio.
Viaggio e amore. Vita e tempo. Così Romano Battaglia: “Mi sono chiesto se è il tempo che passa o è la gente a passare quando non ha saputo trattenere qualcosa di buono nel cuore./L’assenza di ricordi e di valori, infatti, conduce spesso all’annientamento di noi stessi o degli altri. Dietro lo specchio che ci riflette si cela un’immensa solitudine che avevamo sottovalutato”.
La fedeltà al cuore nello strazio del quotidiano perché nel quotidiano le cose si allontanano, si perdono, si allungano. “Mentre mi avvicino alla mia terra, sento una quiete profonda che mi dà la forza di riannodare il filo affettivo della mia vita”.
Si ritorna. Sempre. Perché il vero richiamo è nell’amore e nella pazienza. Come ci recitano i versi di Madre Teresa di Calcutta: “Fino a quando sei viva, sentiti viva…/Non vivere di foto ingiallite…/insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni”. Così in questo meraviglioso andare nella vita e nel sogno di “Com’è dolce sapere che esisti”.
In una delle ultime telefonata parlammo dei dervisci e dei sufi e poi della magia del vento e della solitudine. Non ci si comprende fino in fondo se non si ancorano le solitudini ai porti. E abbiamo bisogno di incanto per vivere perché i tradimenti sono nel viaggio.
Ma cosa c’è oltre l’amore? Forse c’è quell’uomo che si vendeva il cielo?
Cosa posso regalarti, Romano, amico mio? Un ramoscello della Versilia? Questa mia tristezza e questa malinconia che hanno il coraggio di non abbandonarti e ritornare al mondo sufi: “C’è sempre un filo d’erba o di luna che ti farà capire quando l’amore è verità o quando l’amore è soltanto un altro deserto oltre i deserti che ci abitano e che abitiamo”.
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Attraversata da queste parole che già si son fatte emozioni…Grazie…Il maestro ci mancherà tanto, ma possiamo trovarlo ovunque ora che è diventato Tutto.
Si è spento uno dei pochi scrittori sensibili che scriveva con l’anima.Su ALBOSUOLE,giornalino dedicato al giornalismo scolastico,ho dedicato la sua delicatissima e profonda poesia “Le parole degli angeli” ad una alunna che si è spenta prematuramente.
Ha fatto piangere molti con “…..Le parole di quei bambini, i loro sogni, i loro pensieri sono messaggi di verità:
li affido agli abitanti della terra, spesso stanca e malata,
affinché sappiano trarne un insegnamento.”
,ma allo stesso tempo ha trasmesso messaggi di verità e consolazione.
Con Romano,si è accesa una pagina profonda della poesia sensibile italiana.