A cosa è servita quella foto con l’americano bendato? A deviare l’attenzione dei media dal feroce delitto, a delegittimare il lavoro dei carabinieri e a dare argomenti agli americani per chiedere l’estradizione. Se fossimo dietrologi sospettosi diremmo che una foto del genere sembra scattata al servizio degli Usa. Un risultato gravissimo, cento volte più grave di bendare l’americano. Ma non solo: la foto infame è riuscita a dividere e radicalizzare i social su bande opposte, anche su questa vicenda. Resta comunque la domanda: ma davvero la gente si è incattivita, è diventata forcaiola e feroce? Davvero ci troviamo davanti a una reazione isterica e una regressione barbarica a livello popolare? Per cominciare distinguiamo gli umori di una fetta esigua di opinione pubblica dalla maggioranza dei cittadini. Centinaia di commenti sui social saranno pure un test di ferocia pubblica ma sono pur sempre un campione assai poco rappresentativo di un popolo. E l’onda emotiva è comunque momentanea.
Distinguiamo due forme opposte di barbarie: quella di chi torturerebbe i delinquenti e quella di chi esulta all’uccisione di un carabiniere o davanti a quella foto che li fa passare da vittime a carnefici. Cento manifestazioni di odio e sospetto verso le forze dell’ordine sono un campione estremo di un’opinione purtroppo serpeggiante, ma anche in questo caso si tratta di esigue minoranze.
La stragrande maggioranza degli italiani chiede pene esemplari, fino alla pena di morte per crimini particolarmente efferati o reiterati; ma aborre ogni tortura e ogni ferocia, è con i carabinieri e si stringe intorno alle ferite e alle perdite dell’Arma. La gente chiede il pugno di ferro e la tolleranza zero verso quelli che chiama bestie o bastardi. È comprensibile che la gente usi quelle espressioni forti; un po’ meno chi è al governo e deve reprimere questa delinquenza con gli atti e non con le parole, che servono solo a sintonizzarsi con l’emotività diffusa.
Però l’esasperazione della gente e la richiesta d’inasprire le difese deriva da due fattori che mi sembrano comprensibili e uno, in particolare, più che giustificabile. Il primo è la percezione d’insicurezza e d’assedio da parte della criminalità organizzata e diffusa. La percezione ingigantisce la realtà, ma la rilevanza mediatica e la tensione emotiva spingono a esagerare i pericoli. E poi la gente avverte che non si tratta di episodi isolati ma di un processo in corso e in via d’espansione, legato all’espandersi della criminalità, della droga e dei racket annessi e dei migranti clandestini, senza lavoro e senza dimora.
Però c’è una seconda e sacrosanta ragione che incita l’opinione pubblica a invocare soluzioni drastiche. È la comune e giustificata percezione d’impunità o inadeguatezza delle pene comminate ai delinquenti. Ovvero non si fida della magistratura e della giustizia italiana. Sfiducia aggravata da episodi (l’ultimo a Bergamo), sentenze, posizioni e comportamenti dei magistrati. Non è solo un luogo comune dire che le forze dell’ordine rischiano la vita per afferrare i delinquenti e la magistratura spesso vanifica la loro opera e li rimette in libertà, si trincera dietro un garantismo ideologico e una retorica dei diritti umani che mortifica la giustizia, offende le vittime e beffa poliziotti e carabinieri.
La delinquenza ha tre filoni diversi anche se non distinti. Uno, endemico, è la malavita organizzata, anche se parte dei crimini commessi dalle mafie sono regolamenti di conti tra gruppi malavitosi e guerre interne per l’egemonia. L’altro filone, in crescita, è la delinquenza generata da troppi clandestini vaganti e indigenti che provengono da mondi duri e violenti, vivono in contesti degradati e sono facile manovalanza per le reti criminali. Non hanno nulla da perdere, hanno poco da fare e hanno più consuetudine coi rischi e le violenze.
Ma c’è pure un terzo filone che ruota intorno alla diffusione della droga. La droga è il filo conduttore di vari aspetti della criminalità: per accaparrarsela o per mantenere il controllo del territorio; violenze diffuse, contro chi ostacola l’uso e lo spaccio ma anche contro la propria famiglia, i propri partner, i propri figli di tenerissima età. E ancora, l’alterazione prodotta dalla droga e dall’alcol è alle origini di incidenti stradali e sociali, furti nelle case, scippi, rapine per procacciarsela. Per troppi anni è stata sottovalutata l’incidenza della droga e la sua ricaduta in tanti ambiti; si è preferito confinare nel moralismo bacchettone ogni tentativo e ogni esortazione a combatterla senza sconti e senza quartiere. Un’ideologia permissiva, libertaria, radicale ha fornito il terreno per minimizzare l’impatto della droga e i suoi derivati tossici e criminali.
Spesso i tre filoni della violenza s’intrecciano e uno diventa imprenditore, esecutore e terminale dell’altro. Ma in questa quadro, aggravato da quella sfiducia nei confronti della giustizia italiana, è giustificabile la richiesta popolare di tolleranza zero e condanne esemplari, da scontare realmente. Insomma, prima di prendersela con la gente che inveisce sui social e si fa forcaiola, la priorità è affrontare la criminalità e la malagiustizia che ne sono poi la vera origine.
Marcello Veneziani – Pagina autorizzata 31 luglio 2019
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