Nei giorni scorsi, la Squadra Mobile e il Commissariato di Manduria hanno notificato a sei persone – 4 donne e 2 uomini – altrettanti avvisi di conclusione indagini e avvisi di garanzia, emessi dalla Procura della Repubblica di Taranto a firma della Dottoressa Daniela Putignano, per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, c.d. caporalato.
I fatti risalgono all’estate scorsa quando, durante gli specifici servizi svolti dalla “task force” creata dal Questore dr. Giuseppe Bellassai per contrastare il fenomeno del caporalato nella nostra provincia, il personale del Commissariato di Manduria ha proceduto al controllo di alcuni braccianti agricoli, 5 originari della Tunisia e due di nazionalità romena, trovati intenti a raccogliere angurie all’interno di un terreno posto lungo la strada che collega Maruggio a Sava.
Gli accertamenti eseguiti sul posto hanno evidenziato sin da subito che gli operatori si trovavano di fronte ad un palese caso di sfruttamento di manodopera.
Il sodalizio criminale poi identificato si è mostrato particolarmente scaltro in quanto il reclutamento, la gestione dei lavoratori e il controllo sugli stessi era stato delegato a due donne, entrambe di nazionalità romena.
Non solo, per simulare l’illecita attività avevano adibito un chiosco a vendita di angurie lungo la strada proprio in corrispondenza del campo di raccolta: l’agevole posizione era funzionale per l’osservazione costante di tutto il terreno e soprattutto dei braccianti, giustificando la loro presenza quali commercianti di frutta, seppure abusivi.
Le indagini hanno ricostruito la rete di persone che approfittavano dello stato di bisogno degli stranieri, per i quali il lavoro in agricoltura rappresentava l’unica fonte di sostentamento, in spregio a qualsiasi norma a tutela della loro salute e sicurezza.
I braccianti erano stati obbligati a trascorrere le prime tre notti all’interno del campo nei pressi di alcuni ruderi per poi essere collocati, tutti, all’interno del garage di uno degli indagati, luogo privo di infissi, di servizi igienici e di acqua potabile all’interno del quale erano stati creati dei giacigli di fortuna; luogo palesemente inidoneo ad ospitare persone.
Allo stesso modo, lo sfruttamento delle vittime si palesava anche dal mancato rispetto di tutte le prescrizioni in tema di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, tanto che i lavoratori operavano sprovvisti di dispositivi antinfortunistici, senza alcuna preventiva visita medica.
È stata anche contestata l’assoluta violazione della normativa sugli orari di lavoro atteso che i turni di lavoro avevano una durata di gran lunga superiore a quella prevista dalla contrattazione collettiva di settore, senza la previsione di alcun periodi di riposo.
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