I ritrovamenti
Non è una novità il fatto che luoghi di culto cristiani siano edificati in aree precedentemente caratterizzate dalla presenza di culti pagani, specialmente in contesti ove l’attaccamento delle genti all’antico culto e ai luoghi che lo celebravano era difficile da sradicare.
Sul litorale di Maruggio (Ta), in zona denominata Capoccia Scorcialupi, più comunemente conosciuta come La Madonnina, La Madonnina dell’Altomare, o Stella Maris, sorge un tempietto dedicato alla Madonna, sulle rovine di un antico luogo di culto dedicato ad Artemis Bendis.
Storici e archeologi hanno identificato questa località come facente parte del tracciato dei santuari di frontiera della Magna Grecia, nel periodo in cui la colonizzazione si espanse fino ad abbracciare parte del territorio cosiddetto alto-salentino, ovvero la zona che dalla costa risale verso le attuali Monacizzo (sede in antichità di un tempio dedicato a Minerva), Agliano in agro di Sava (con un santuario di confine dedicato a Demetra e Kore), e altre località viciniori. Pare, tuttavia, che questi siti fossero stati luoghi di culto e/o di insediamento già in precedenza, poi rivitalizzati dalla occupazione magno-greca che estese sin là il suo dominio.
Ritornando alla Madonnina dell’ Altomare, nei paraggi vi sono tracce di frequentazione e insediamenti sin da epoca neolitica.
Nel 1964 l’archeologo Peter Throckmorton scopre il relitto di una nave greca nel mare antistante la località Capoccia-Scorcialupi. L’esplorazione del relitto si compie l’anno successivo: la nave trasportava un carico di anfore corinzie insieme ad altre di Soli (Cipro).1 Le terrecotte furono datate tra il V e il IV secolo a. C. e furono conservate presso il Castello Aragonese di Taranto.
Il naufragio della nave presso le coste de La Madonnina è stato riferito al periodo precedente alla conquista di Roma di queste zone, intorno alla metà del quarto secolo a.C., Quando Tarentum era ancora un importante e potente centro commerciale.
Tra i vari oggetti e frammenti, gli archeologi subacquei ritrovano, tra il giugno e il luglio del 1965, tre grosse ancore di pietra simili a quelle appartenenti a navi greche ritrovate in precedenza nel porto del Pireo. Vengono ritrovati inoltre frammenti di ceramiche di Gnathia, una lucerna in terracotta databile intorno al 350 a.C., e alcuni attrezzi tipici da pesca.
Risale sempre al periodo delle indagini del Throckmorton, inoltre, la notizia del ritrovamento sulle dune, presso La Madonnina, di blocchi di un antico edificio, e di frammenti di ceramica che vanno dal 600 a.C. all’età ellenistica.
Nel 1968 riprendono le ricerche, e sul piccolo promontorio costiero ove è ubicato il tempietto della Madonnina dell’Altomare, viene individuata e rinvenuta una antica area sacra caratterizzata da un saccello e una stipe votiva, che conteneva numerose terrecotte raffiguranti Artemis Bendis2 con leontè e cerbiatto.3
Il tempietto di Artemide viene individuato come un Santuario di Confine, posto sul limite del territorio magno-greco e al confine con quello messapico.4 Il culto di Artemis Bendis in questa località risalirebbe, come già si è accennato, al V e al IV sec. a.C., ma è possibile che la località sia stata un’area cultuale anche nei secoli precedenti, se ad esso devono essere riferite anche delle epigrafi votive ritrovate a Torricella, a 5 km dal sito, ove si pensa fossero state trafugate o comunque trasportate in un periodo successivo all’epoca del culto.5
Il culto di Artemis Bendis è stato individuato in diversi siti dell’area di Taranto e della Lucania, e tutti i reperti votivi in terracotta caratterizzati da una divinità con copricapo leonino, calzari ed altri accessori specifici, sono stati identificati come appartenenti a questa divinità che ha origini trace.
Artemis Bendis è in genere raffigurata come una cacciatrice con leontè (copricapo con testa di leone) ed arco, accompagnata da un cerbiatto. Si tratta di una divinità spesso collegata alla sfera cultuale di Demetra, che ad Eleusi svolge la funzione di Propylaia, divinità “delle porte” e dei riti di passaggio, garante e protettrice del cambiamento di status religioso o sociale. E’ anche signora degli animali, e divinità dei boschi e dei luoghi incolti.
il sito e le leggende
Come in tanti altri luoghi ricchi di storia antica e di presenze cultuali, nel sito della Madonnina dell’ Altomare si sono sviluppate leggende che al di là del loro aspetto folkloristico e fantastico, sono da rapportare al mistero e alla sacralità antica dei luoghi e delle divinità in essi venerate.6 Bianca Capone, una scrittrice che aveva una casetta proprio dirimpetto alla Madonnina, ci racconta:
“… c’è una piccola altura e sopra alla altura una cappelletta: la Madonnina dell’Altomare. I vecchi di Maruggio, il comune da cui dipende questa collinetta, dicono che nelle viscere della collinetta sia nascosto un tesoro. La fantasia popolare ha ricamato una trama leggendaria, che riporto così come mi è stata raccontata. Un giorno un pastorello, che stava pascolando il gregge nei pressi della Madonnina, salito sulla sommità dell’altura, scorse di lontano un antro. Si avvicinò e vide una scalinata, scavata nella roccia che scendeva nell’interno. Spinto dalla curiosità scese i gradini e si trovò ben presto in un tempio sotterraneo dove c’era ogni ben di Dio: collane, anelli, pietre preziose e perle a bizzeffe. Ammaliato da tanto splendore, il pastorello si gettò dentro quel mare d’oro e d’argento. Ma sul più bello udì una voce dall’esterno che gridava: «al lupo!» Resosi conto del pericolo, risalì alla superficie, ma si avvide che il lupo non c’era e che le sue pecorelle pascolavano tranquillamente sulle pendici della collinetta. Allora corse nuovamente verso l’entrata della caverna, ma non la trovò: era sparita come per incanto!“7
La Capone, appassionata di esoterismo ma anche di tradizioni popolari, ci offre una descrizione antropologico-etnografica del sito, e ci fa ben comprendere come gli abitanti del luogo siano depositari, sia pure attraverso la leggenda e le modifiche apportate alla storia e alla caratteristica del sito, della storia e della mitologia legate ai luoghi, rivisitate dalla tradizione post-pagana. Il “diavolo” è messo in relazione con le antiche divinità venerate in quei luoghi, e ne costituisce una reinterpretazione, e il “tesoro” favoleggiato è da relazionare ad effettive presenze di elementi “preziosi”, sia dal punto di vista cultuale e mitologico, che da quello storico:
“nel 1968 arrivò una equipe di archeologi che iniziò a scavare davanti alla cappella. A poco a poco dalle viscere della collinetta vennero alla luce avanzi di muri, un forno, pietre focaie, oggetti sacri di rozza fattura e tanti, tanti cocci“.8
Ancora oggi, quella collinetta e la spiaggia sottostante sono zeppi di cocci, frammenti di terrecotte, e di pietre residue dell’antico tempio dedicato ad Artemide. Probabilmente il tempio era sorvegliato e gestito da una piccola comunità di pescatori che là era insediata, e che vi restò anche nel periodo della occupazione romana.
Le campagne di scavi, purtroppo, nonostante le affascinanti scoperte, non ebbero un seguito.
Curiosità e affinità
Come ho evidenziato in altro scritto, una leggenda analoga a quella del sito di Capoccia-Scorcialupi la si discontra in una località non molto distante, a Scerza in agro di Sava.9 Scerza nel dialetto locale significa “luogo incolto”, e ben si adatta ad una località del genere la figura di Artemis Bendis – Ἀγροτέρα, ossia dea campestre (mentre la Artemis di Maruggio è un tipico esempio di divinità del limina marittimo).10 L‘indagine archeologica su Scerza è nulla, ma ci sono dei tratti che possono mettere in relazione l’antico culto perpetratosi sulla collinetta della marina di Maruggio con questa località dell’entroterra (posta, peraltro, nei pressi della strada provinciale Sava-Maruggio): uno è senz’altro la leggenda curiosamente simile11, l’altro il fatto che la leggenda di Scerza ha come riferimento una grotta (in antichità spazio cultuale dedicato a diverse divinità) oggetto di evidenti modifiche da parte dell’uomo per renderla funzionale a finalità specifiche.
Note bibliografiche
1 A.M. Mc Cann, A fourth century B.C. Shipwreck near Taranto, in Archeology, XXV, 3 (june 1972), pp. 180-87; G. Uggeri, Notiziario Topografico Salentino, II, Brindisi, 1974, pag. 31
2 Tipologia nota nel tarantino e nella zona di Eraclea, ove è ancora più abbondante, cfr. M.R. Palumbo, Le terrecotte figurate in Daunia, Peucezia e Messapia, Congedo, 1986
3 E. De Julis, Taranto, Edipuglia, 2000, pag. 15
4 R. Leone, Luoghi di culto extraurbani d’età arcaica in Magna Grecia, in Studi e materiali di archeologia, Ed. Le Lettere, Firenze, 1998, pag.14, 27, 32, 33
5 R. Leone, op. cit., pag. 27, pag. 134
6 Fra i numerosi esempi di miti rielaborati, quello raccontatoci da Luigi Sada nel suo articolo “vestigia del mistero isiaco in una novelletta salentina”: l’autore spiega bene come la novella salentina sia una trasposizione del mito di Iside e Osiride. .: L. Sada, Vestigia del mistero isiaco in una novella salentina, in Archivo Storico Pugliese, Anno V, fasc. I-VI, dicembre 1952 (Atti del II Congresso Storico Pugliese e del Convegno Internazionale di Studi Salentini), Cressati, Bari, 1952
7 B. Capone, Il mare dai sette colori in: Attraverso l’Italia misteriosa, Longanesi, 1978, pp. 145-146
8 B. Capone, op. cit., pag. 146
9 G. Mele, Lu lupu alli pecuri: la leggenda della campana d’oro di Scerza in “Cultura Salentina”, ottobre 2015 https://culturasalentina.wordpress.com/2015/10/29/lu-lupu-alli-pecuri-la-leggenda-della-campana-d-oro-di-scerza/
10Cfr. G. P. Viscardi, Artemide Munichia: aspetti e funzioni rituali della dea del Pireo, Dialogues d’ historie ancienne 36/2 2010, pag. 40
11 G. Mele, Lu lupu alli pecuri … op.cit. La leggenda in entrambi i luoghi potrebbe anche riecheggiare, plasmata e distorta nel tempo, quella del sacrificio delle capre del tempio di Artemide ad Agrae, mentre una variante raccolta dal Caraccio (a proposito della grotta di Scerza) potrebbe riferirsi ad un altro mito legato ad Artemide, che narra di un sacrificio (non cruento, ma di bambine costrette a divenire servitrici di Artemide nel santuario-grotta e prendere il posto del suo antico custode ucciso, un orso). Una ulteriore variante rapportata al medesimo culto potrebbe essere la leggenda della Grotta delle Fate di Salve, che potrebbero corrispondere alle fanciulle danzanti servitrici di Artemide nel santuario di Braurone, le arktoi (orsette): “era notte. Alcuni contadini, dormienti nei campi, furono svegliati all’improvviso da un corteo di leggiadre fanciulle danzanti e di orrendi esseri che suonavano una dolce melodia di flauti. Con loro meraviglia il corteo scomparve in una voragine del vicino canale. L’indomani i contadini, dopo aver cercato inutilmente nella grotta le misteriose fate, riferirono l’accaduto in paese e da allora tutti ebbero paura di avvicinarsi all’oscuro antro. A lungo fantasticarono sulla magica visione e cercarono di identificare con ninfe e creature dei boschi le enigmatiche fate.”. Raccolgo questa leggenda salentina sul sito http://www.salveweb.it/fani.htm