Nel giugno e luglio del 1965, una squadra di archeologi subacquei, diretta da Peter Throckmorton indaga su diversi relitti provenienti da antichi naufragi nella costa tarantina. Le indagini vengono eseguite attraverso la collaborazione dell’Università della Pennsylvania, la British School di Roma e la Soprintendenza alle antichità per la Puglia, diretta da Attilio Stazio. Il progetto era finanziato dalla Fondazione Lucius N. Litauer (New York), dalla Edgar Fain Foundation (Boston), e da donatori privati.
In zona Madonnina dell’ Altomare, l’equipe di Throckmorton individua i resti di una antica nave naufragata. Il ritrovamento è caratterizzato da tre ancore in pietra e un tumulo di anfore greco-italiche. Sulla collinetta ove attualmente sorge la cappelletta della Madonnina, vengono raccolti inoltre cocci datati tra il 600 a.C. e il periodo ellenistico; vengono notati infine, blocchi appartenenti ad un antico edificio.
Il relitto viene individuato tra gli scogli a circa 600 metri dalla costa, a trenta metri di profondità. Le tre ancore in pietra hanno un’ altezza tra i 61 e i 69 cm., e 45-49 cm. di larghezza alla base, restringendosi in alto tra i 16 e i 25 cm., con una profondità di circa 40 cm. ognuna. Le ancore furono paragonate a quelle delle navi trireme greche ritrovate nel porto del Pireo. Ciò che entusiasmò i ricercatori, fu l’osservazione che quel tipo di ancore costituivano gli unici esemplari di quel genere, ritrovati al di fuori della Grecia.
Marguerite McCann riporta la descrizione di due tipi di anfore ritrovate nei fondali antistanti La Madonnina. Un primo tipo, con bordo piatto, reca impressi due caratteri greci: uno trapezoidale con un delta (Δ) e una lettera non identificata, l’altro rettangolare, con molto probabilmente un theta (Θ) e un epsilon (Ε). Secondo la McCann la forma di questa anfora è un adattamento locale di un tipico vaso attico del V secolo a.c. Un secondo tipo di anfora, pare derivare da una tipologia nota a Corinto dal sesto al quarto secolo a.C. Entrambi, benchè derivanti da forme greche, sono ritenuti dalla studiosa come di produzione locale.
Tra le altre ceramiche recuperate presso La Madonnina durante le indagini dell’ equipe del Throckmorton, una lucerna databile intorno al 350 a.C.
Sempre dalle indagini del Throckmorton, emerge inoltre un frammento di ceramica locale del tipo Gnathia, ritenuto dalla McCann come corrispondente ai tipi di un oinochoe Gnathiano decorato, conservato nel Museo di Taranto. Il frammento è databile tra la fine del quarto e gli inizi del III sec. a.C.
Altro ritrovamento dello studio archeologico del 1965 sono una serie di manufatti in terracotta che la McCann identifica come pesi per reti da pesca.
Gli studi successivi all’indagine archeologica individuarono il naufragio della nave come risalente alla metà del IV sec. a.C.: probabilmente, la nave, in partenza o di ritorno verso le coste tarantine, fu colpita da una violenta tempesta.
Nel 1968 vengono effettuati ulteriori studi nell’area de La Madonnina e viene stabilita l’esistenza di una antica area sacra caratterizzata da un saccello e una stipe votiva, che conteneva numerose terrecotte raffiguranti Artemis Bendis con leontè e cerbiatto.
BIBLIOGRAFIA
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R. Leone, Luoghi di culto extraurbani d’età arcaica in Magna Grecia, in Studi e materiali di archeologia, Ed. Le Lettere, Firenze, 1998, pag.14, 27, 32, 33
B. Capone, Il mare dai sette colori in: Attraverso l’Italia misteriosa, Longanesi, 1978, pp. 145-146
G. Mele, Maruggio: da Artemis Bendis alla Madonnina dell’Altomare. I resti di un antico tempio pagano, in La Voce di Maruggio, agosto 2018
Gianfranco Mele