C’era una volta una Balena Bianca, chiamata anche Democrazia Cristiana (o “mamma diccì”) che si mangiava tutti i pesci piccoli del mio paese (Maruggio). I teneri pesciolini (sardine comprese) erano giovani, belli e ribelli: socialisti, comunisti, neofascisti, repubblicani, liberali, eccetera, eccetera.
Gli anni ‘70 del secolo scorso volgevano al termine. La Balena Bianca di Maruggio aveva il suo sindaco, un anziano fascista-antifascista, il quale stava allevando con cura il suo successore, futuro sindaco anticomunista, un quasi fascista, che finì per mangiarsi le ultime sardine che si erano arenate sulla spiaggia di Campomarino. Quelli che si mangiavano le sardine e tutti gli altri pesciolini venivano chiamati democristiani. La loro Casa profuma ancora di incenso perché allora come ora i preti stavano e stanno dalla loro parte. Nelle stanze di quella Casa c’era di tutto e il contrario di tutto. Conviveva l’azione e la reazione, il passatismo e il parassitismo, l’onestà e la disonestà, la moralità e l’immoralità, la sensibilità e l’insensibilità, l’edilizia e la speculazione edilizia, il buon governo e il malgoverno, il bene e il male. Più in fondo, quasi in prossimità dell’orifizio del culo della Balena Bianca, c’era l’altro popolo, il popolo delle sardine e, quindi, di tutti gli altri pesci piccoli: gli esclusi, gli eretici, i contestatori, i ribelli, i senzadio. Erano queste le giovani sardine di allora. Giovani idealisti che giocavano alla rivoluzione: socialisti, comunisti e missini (detti anche neo-fascisti).
Erano anni carichi di una straordinaria vivacità giovanile, schizofrenici e complessi, ma anche di forze creative e spinte riformatrici. C’era tutto un universo giovanile che aveva voglia di esprimersi dentro e oltre la politica. C’era una gioventù variopinta. C’era la “meglio gioventù” in risposta alla “peggio gioventù” delle Brigate Rosse e Nere, ma anche delle Bianche. Mentre una parte di giovani marciava a passo di slogan verso la rivoluzione armata per cambiare il mondo, l’altra metà rivendicava il proprio diritto alla felicità.
Arrivarono gli anni ‘80. Il nuovo decennio nel mio paese scorreva lentamente. Si presentava a tinta unica e a forma di scudo: il bianco scudo crociato della Balena Bianca. Nel primo quinquennio di governo cittadino monocolore la grande “mamma pesce” riuscì a salvare una gran quantità di pesciolini dalla deriva degli estremismi di destra e di sinistra. La “mamma” aiutava le piccole sardine a non cadere nella facile trappola di coloro che volevano “cambiare il mondo”. Perché la “mamma” era saggia e buona. Perché la “mamma” capiva che le sardine, i polipi, i gattini, i pinguini che osavano (o che avrebbero osato) l’inosabile, per migliorare la loro vita e quella degli altri sulla scia della “rivoluzione impossibile” erano destinati a morire.
Ora come allora c’è sempre una Balena Bianca, una “mamma diccì”, che ti suggerisce di non inseguire i tuoi sogni, le tue speranze, i tuoi desideri. Ti dice di non ascoltare i cattivi maestri. A me capitò di ricevere “buoni consigli” quando, per la prima e unica volta, mi parlò quel sindaco fascista-antifascista: «Giovanotto» – mi disse – «vatti a confessare. Il nostro parroco è amico mio, potrà consigliarti per il meglio. Quando avrai voglia di parlare con la Balena Bianca, con “mamma diccì”, potrai trovarmi al municipio o al circolo cittadino dei Signori a farmi un poker. Chiedi e ti sarà aperto. A presto bello di mamma!»
Non ci andai. Continuai a inseguire i miei sogni.
Tonino Filomena