Pasquale Squitieri non c’è più. Un vero raccontatore per immagini luoghi e scelte. Un vero regista. L’ho conosciuto bene. Molto bene. Da Sartana a al Prefetto Mori, da Claretta a Carmine Crocco. Dal cinema alle nostre discussioni notturne a Roma a Napoli a Bari a Taranto. Personalità eclettica, complessa, profonda nelle sue radicali discussioni sia politiche che culturali. Aperta alle diverse discussioni ma, nello stesso tempo, fermo nelle sue posizioni.
Grande scavatore del legame tra storia e letteratura, ha sempre saputo offrire una chiave di lettura ai fenomeni di una società che ha vissuto di transizione in un terzo Novecento che ha cercato di comprendere i processi politici di una Nazione molto contraddittoria. L’ho amato nei miei anni antichi.
Ho visto i suoi film degli anni Sessanta e primissimi anni Settanta in un cinema di periferia della mia Calabria, ovvero di un paese che raccoglieva tutte le comunità intorno, e ho cominciato ad amare alcuni personaggi e i lunghi campi di un immaginario ricco di metafore e fantasie. Già nel 1969 quel film, che rividi più volte, “Io e Dio” che era stato prodotto da Vittorio De Sica mi colpì immediatamente come iter narrativo.
L’anno successivo il mio preferito di quel periodo, sino al 1984, che aveva un titolo per me attraente “Django sfida Sartana”. Io mi identificavo in Djanco. Una musica che faceva tremare la voce. È ancora cucita nei miei echi. Questo come il successivo, “La vendetta è un piatto che si serve freddo”, era firmato con uno pseudonimo, ovvero William Redford. Ma non finisce qui la mia passione per un regista che è riuscito ad essere sempre coraggioso e anticonformista.
Un regista coraggioso per film come “I guappi” del 1974 e prima “Camorra” del 1972 e poi saltando qualche altro film lo straordinario “Il prefetto di ferro” del 1977 con un magistrale Franco Nero. La realtà e la storia qui si intrecciano e diventano non più metafora ma vera e propria trasformazione di una cronaca in dura realtà. Napoli, la sua Napoli, è scenario non solo di una città ma di un Sud che si ritrova in un film molto discusso, e anche ritirato dalle sale, che ha scritto una pagina importante della questione del brigantaggio.
Mi riferisco a “Li chiamarono… briganti”. Un film che apre un forte dialettica, anzi uno scontro sia storico che politico, che pone al centro la figura di Carmine Crocco e del brigantaggio postunitario. Fui io a presentarlo, insieme a Pino Tosca, a Modugno di Bari in una piazza gremita e con Pasquale che si aggirava tra la gente con un impermeabile chiaro e lo sguardo attento anche se sembrava rude o smarrito. Discutemmo fino a tarda notte. Noi briganti postunitari guardavamo a questo film come un vero e proprio manifesto. Ma, con questo film, siamo già a due stagioni oltre rispetto al film sul prefetto Mori e il fascismo.
Nel 1978 escono addirittura due film nelle sale cinematografiche: “L’arma” e “Corleone”. A questo filone si legano “Il pentito” del 1985 e “Gli invisibili” del 1988 anche se questo ha come filo conduttore il terrorismo. Verranno i film sulla droga, (“Atto di dolore” 1990), sull’immigrazione, sulle morti bianche: “L’avvocato De Gregorio” del 2003. Intanto nel 1986 realizza per la Tv “Naso di cane” in tre puntate. Al 2014 risale “L’altro Adamo”. Un film nella novità delle intelligenze artificiali.
Interessante è il film, con cinque episodi, “Corsica” del 1991, il cui primo episodio è dedicato a Seneca, in cui si racconta la leggenda del filosofo che venne esiliato in Corsica per la sua condotta e punito con una ortica che cresce solo in quest’isola, si parla, appunto, del concetto di esilio: Seneca e l’esilio, o meglio l’esiliato Seneca in Corsica.
Il film che, comunque, resta nella mia storia personale, tra vita cinema e letteratura e amicizia, è “Claretta” del 1984, con una splendida e sublime Claudia Cardinale. È la storia di Claretta Petacci, l’amante di Benito Mussolini, la donna che si lascia morire per amore e soltanto per amore. Per amore si vive e per amore si muore. Una storia che resta per la sua unicità nonostante le diverse interpretazioni. Ma hanno senso le interpretazioni davanti alla morte di Claretta appesa a Piazzale Loreto insieme al suo Benito? Un film che per molti aspetti diventa coraggioso e rivelante.
Mi è molto servito questo film e le discussioni con Pasquale per i miei romanzi su Claretta e Benito. Resto fortemente, ancora oggi, attraversato da come è riuscito a coinvolgermi con il fascino di una donna Claretta – Claudia il cui senso del sublime è marcato. Qui la nostra amicizia divenne impeccabile sino alla nottata di Modugno su Carmine Crocco.
Insomma Pasquale Squitieri è nella mia formazione ma soprattutto tra le mie amicizie belle che hanno segnato testimonianze significative. Un uomo intelligente che ha sempre saputo scegliere. Da Djanco sino a Carmine Crocco. Passando per Seneca: un episodio che sembra di nicchia ma resta necessario elemento per comprendere la filosofia e l’esilio (un tratteggio che non dimentico).
Un vissuto nella storia ma anche nel raccontare un genere che è cinematografico ma è chiaramente anche suppletivo di un vuoto letterario a cominciare proprio dal film del 1969. Pasquale Squitieri era nato a Napoli il 27 novembre del 1938 e morto a Roma oggi 18 febbraio 2017. Un grande regista. Un grande narratore per immagini.
Pierfranco Bruni