Era il maggio del 1977, il 12 maggio, in una Roma di fuoco e di fiamme. La contestazione universitaria superava addirittura quella del ’68. Anni che porteranno a quel tragico 16 marzo del 1978 e poi al 9 maggio.
Io vivevo Roma, nella mia giovinezza e nella sempre consolidata convinzione e coerenza politica. Fu proprio in quei giorni che ebbi modo di conoscere Marco Pannella. Il Marco che mi parlò del mondo liberale di Pannunzio, dei radicali che si aprivano ad una condizione di valori ed ideali, che non erano e non sono i miei. Mi presentò Valiani.
Eppure la sua intelligenza sapeva leggere in modo profetico. Perché quella data del 12 maggio? Perché quel giorno vide la morte della bella giovanissima Giorgiana Masi (1958) che conoscevo. Tre anni più piccola di me.
Quella morte mi lacerò, mi creò una rilettura del mio viaggio politico, storico e culturale. Non si poteva morire in quel modo. E Marco Pannella era sempre in prima linea.
Di lei con Marco parlai più volte e anche durante la presentazione del mio libro “L’ultima notte di un magistrato”, anni primi Novanta, mi raccontò la sua chiave di lettura chiedendomi, spesso, come io, con la mia cultura alternativa ed eretica, potessi restare appiccicato ad una formazione oltre il liberale, io che seguivo, in quegli anni, con attenzione “Il Mondo”. Una rivista di cui conservo ancora alcuni numeri dove si parla di Marco.
Un uomo con le sue convinzioni, mai accettate da me, ma che sapeva dialogare con il contrario di sé. Questa era la sua intelligenza e la capacità di confrontarsi con una società costantemente in transizione. La mia visione della vita era ed è completamente diversa dalla sua, ma è stato un uomo leale.
Con la morte di Giorgiana Masi cominciammo un dialogo e parlammo anche di un altro giovane ucciso qualche mese prima a Bologna, nel marzo del 1977. Si tratta di Pierfrancesco Lorusso, morto per un colpo di pistola partita dalle nuvole, come nel caso di Giorgiana.
Erano i nostri temi dominanti in quei mesi. Poi non si è capito più nulla. Tempi di devastazione. Alla Casa dello Studente di Roma, la cosiddetta De Dominicis, si dibatteva e ci si scontrava. Come all’interno dell’Università, in quelle sale che sapevano di bianco e nero di fumo. Uno come me ascoltava, ma nel momento in cui chiedeva di parlare, alle prime battute, erano colpi sordi e pesanti al mio linguaggio.
Con lui si discuteva. A Giorgiana e anche a Pierfrancesco dedicai il mio libro di versi del 1978 nel quale si diceva: “Sparano/colpi di fuoco/mentre la pazzia/diventa una fuga/e le parole/hanno labbra di incenso”. Oppure: “La tua giovinezza è sfiorita/in una corsa/sul ponte/che custodisce il Tevere”. O ancora: “Si ammazza/come nelle trincee/dell’immaginario”.
Piacquero questi versi a Marco. La sua vita nel segno della dialettica e della laicità, ma mai rivoluzionario. Intorno a “Radio Radicale”, più volte intervistato, si creò un nucleo di ragazzi non radicali che discutevano. Si cercavano verità e Marco ha sempre saputo la mia appartenenza. Poi i “Quaderni radicali”, che idea straordinaria. Sino ad “Agenzia Radicale”. Una straordinaria avventura. I miei libri, soprattutto quelli ultimi, sono stati tutti recensiti, e ben recensiti, nelle agenzie radicali.
Pannella sapeva leggere il tempo oltre la storia. L’ultimo nostro incontro fu a Piazza Argentina, nei pressi della Feltrinelli. Lo accompagnai sino ad un Taxi lì di istanza. Ci salutammo con un abbraccio chiedendomi con una voce fioca e lenta: “Ripubblica quei ‘Momenti’ … perché lì c’è la tua giovinezza e una Roma che hai amato…”. “Momenti”, è appunto il mio libro del 1978 che racconta il 1977.
Seduto in Taxi mi risalutò con un cenno della mano. Le mie idee restano completamente contrarie alle sue. Ma questo non significa nulla. La coerenza di entrambi. La lealtà di entrambi.
Pierfranco Bruni