Le scoperte archeologiche
Monte Maciulo (detto anche Masciulo) si trova nei pressi della provinciale Maruggio-Torricella, a circa 300 mt. dalla strada, tra le masserie Le Fabbriche e Tremola Vecchia, e raggiunge una altezza di circa 53 metri sul livello del mare.
In uno studio degli anni ’70 pubblicato sul Notiziario Topografico Pugliese, Cosimo Desantis vi scorge i resti di una torre classica, e di strutture medievali. Vi ritrova, inoltre, “numerosi frammenti di ceramica a vernice nera, acroma, d’impasto, ceramica da fuoco, tegole e coppi frammentati”. Fornisce poi documentazione fotografica, oltre che dei blocchi tufacei identificati come resti della torre, di un “frammento di parete di un vaso a figure rosse, sul quale si riconoscono una mano e un’ala”.[1]
Dalla parte Nord-Ovest della collina, scrive il Desantis, “lungo il declivo, vi è un tratturo molto stretto, che porta alla masseria Tremola Vecchia distante circa km.1. Questo tratturo è fiancheggiato da due muri a secco; quello a sinistra di chi scende in alcuni punti (per una lunghezza complessiva di m. 30) è largo circa m. 4,50. Questo «paretone» presenta due paramenti di massi contenenti un riempimento di pietrame”.[2]
Verosimilmente, il “paretone a sinistra” “largo circa m. 4,50” che scende verso Tremola di cui parla il Desantis, è proprio quel Paretone identificato dapprima, da alcuni studiosi del passato come limite tra Magna Grecia e Messapia, da altri in seguito come Limes Bizantino e poi ancora, e di sicuro, come facente parte della linea di confine tra Principato di Taranto e Foresta Oritana (da altri come un confine riutilizzato più volte nel corso della storia): in seguito, accenneremo al tracciato. Anticipiamo intanto che Monte Maciulo è espressamente citato in una serie di antichi documenti come facente parte, con il suo “paretone”, della suddetta linea di confine bassomedievale del territorio della città di Taranto.[3]
Tornando al Desantis, lo studioso locale conclude il suo breve trattato su Monte Maciulo desumendo che “il sito, probabilmente, ebbe funzioni di avvistamento tra il VI ed il IV sec. a.C.”.[4]
Altri studiosi confermano l’esistenza su Monte Maciulo di un villaggio fortificato, che desumono dai ritrovamenti di frammenti fittili, e di “blocchi tufacei e resti di strutture tra cui muratura con doppia cortina e riempimento di pietrame”.[5]
Lo stesso Tarentini, nel descrivere il sito afferma che “la funzione di controllo e di avvistamento del sito è evidente, confermata, vieppiù, dalla non eccessiva estensione dell’area archeologica e dalla natura alquanto impervia del luogo, pco adatto, invero, allo sviluppo di insediamenti agricoli. Le stesse colture odierne si limitano ad alcuni alberi di olivo che si contendono un suolo molto povero, caratterizzato da ampi tratti di roccia circostante”.[6]
Sul confine tra Magna Grecia e Messapia
Secondo alcune interpretazioni storico-archeologiche, presso gli stessi siti che molto più tardi faranno parte del limite orientale della diocesi medievale di Taranto, durante la terza fase di espansione della Chora tarantina (VI sec. a.C.) si assiste alla comparsa di una serie di siti rurali (abitazioni, fattorie), luoghi di culto e villaggi fortificati. Lungo questa “linea di confine” tra il territorio tarantino e quello messapico si situano perciò il tempietto di Artemide presso la Madonna dell’Altomare, e un villaggio fortificato sul Monte Masciulo.[7]
In località Pezza della Torre presso Torricella, a 4 km di distanza da questi due siti, vengono ritrovate due iscrizioni votive arcaiche, reimpiegate in una struttura tardo-romana. La prima iscrizione risale al VI secolo a.C., la seconda al V secolo, ed entrambe sono riferite al culto di Artemide: una interpretazione degli archeologi è che da uno di questi due siti (Madonna dell’Altomare o Monte Masciulo) o da altro luogo di culto vicino non identificato possano pervenire tali iscrizioni[8] (altre interpretazioni le vogliono autoctone di località Pezza della Torre).[9] La prima iscrizione è stata interpretata come un elenco di oggetti collegati al luogo di culto, la seconda reca la scritta Artámitos Hagratéras (Artemide Agrotera). Ἀγροτέρα è un epiteto di Artemide e sta per “la cacciatrice”.
La cosa certa, è che Monte Masciulo come tutta l’area circostante fa parte di un più vasto territorio denso di presenze insediative a partire dal neolitico e che poi si protraggono in epoca arcaica, classica, ellenistica, romana, medievale. Nel caso di Monte Maciulo, si danno per certe presenze di epoca classica e/o ellenistica.
Tutti questi siti, nel periodo di massima espansione della Magna Grecia tarantina, erano dislocati, secondo gli archeologi tarantini, al confine con il territorio messapico e, nel caso dei santuari, svolgevano la funzione di “marcatore ideologico” nei confronti delle popolazioni indigene: luoghi in cui avvenivano contrattazioni diplomatiche e scambi in tempo di pace.[10] Il fatto che questi luoghi fossero caratterizzati dalla presenza di divinità di frontiera[11], che in effetti si trattasse di divinità molto venerate anche dalla popolazione messapica e che vi fosse la compresenza di elementi, sia votivi (terrecotte, vasellame) che architettonici rapportabili sia ad area magnogreca che messapica (o, appunto, frutto di influenze, interazioni e scambi), può far pensare anche ad un dominio e possesso del territorio costantemente messapico e non già, a un dato momento storico, magnogreco, cosa della quale ad esempio è convinto lo studioso francavillese Teofilato, che intravede in Agliano, altro sito sacro di confine (e situato anch’esso lungo un asse confinario individuato dai vari studiosi prima come zona di demarcazione tra Tarantini e Messapi, poi tra Longobardi e Bizantini e poi tra Principato di Taranto e Foresta Oritana), una cittadella messapica.[12]
Benchè alcuni studiosi siano propensi per una caratterizzazione magnogreca di questi siti, altri vanno difatti più cauti, o li identificano, come fa il Teofilato, all’interno del confine messapico, e, proprio a causa del fatto che sono situati sul limite, caratterizzati da influenze tarantine: “al culmine della massima espansione, il territorio dei Greci di Taranto, comprendeva una zona greco-tarantina e una zona a influenza tarantina. Al territorio strettamente greco-tarantino, sulla base delle testimonianze, appartenevano con necropoli a ceramica greca, i punti da S. Vito sino a Statte e Crispiano; al territorio a influenza tarantina, con necropoli a ceramica indigena e ceramica greca appartenevano Monacizzo, Torricella (sulla costa), Grottaglie e Montemesola nel territorio collinare” (G. B. Mancarella).[13] Tra le interpretazioni più caute quella delo Stazio, che scrive: “si ha l’impressione, in queste località, di essere in una zona di confine tra l’ambiente greco e quello indigeno e questa impressione è confermata dalla presenza di numerose cinte murarie relative a piccoli, ma ben fortificati centri, di cui però la mancata esplorazione non consente di precisare a quale dei due ambienti appartenessero”.[14] Del resto, i manufatti ritrovati presso Monte Papalucio a Oria, così come quelli manduriani (e di altre località delle attuali provincie di TA e BR), ovvero in territori indiscutibilmente riconosciuti come messapici, risentono di influenze tarantine,[15] ed è soprendente la somiglianza di molti ritrovamenti di queste zone con quelli di Monacizzo, Samia, Agliano, Madonna dell’Altomare, Torre Ovo.
Ad ogni modo, quel che è certo è che Monte Masciulo si trova in una zona di antico confinamento in diverse epoche storiche, a partire dalla divisione del territorio tra magnogreci e messapi, ed è attraversato dal famoso “Paretone”.
La tesi che il Paretone esistesse ai tempi di messapi e magnogreci, è riportata da studiosi del XVI secolo e a seguire, sin quando non si affaccia, ad opera di autori ottocenteschi, l’ipotesi dell’origine bizantina. Anche qui, nel caso della ipotesi di manifattura più antica del Paretone, non mancano le attribuzioni contrastanti, ovvero di chi lo vuole costruito dai Tarantini e chi dai Messapi: “nel XVI secolo, infatti, alcuni paretoni siti tra Sava e Martina Franca sono indicati come i resti di una muraglia eretta dai Tarentini a protezione della chôra. In seguito, gli stessi ed altri paretoni saranno identificati con «la muraglia confinaria messapica» – disposta su una “linea ideale” tracciata dalla costa a sud di Taranto a quella a nord di Brindisi – che gli indigeni avrebbero eretto per difendersi dagli attacchi della colonia greca”.[16]
I siti antichi di monte S. Petronilla (1), monte Celidonia (2), monte Magalastro (3), monte Masciulo (4), Monacizzo (5), Casabianca (6), nel contesto degli avamposti fortificati (phrouria) di epoca greca (qudrato pieno) ipotizzati a confine della chora tarantina (pianta rielaborata da P. TARENTINI, in “Monacizzo, un antico centro magno-greco e medievale a sud-est di taranto, rEG. pUGLIA, 2006, pag. 113, e tratta da F.G. LO PORTO, “Testimonianze archeologiche della’espansione tarantina in età arcaica”, in “Taras”, X, 1, 1990, tav. XXXV
Sul confine tra Longobardi e Bizantini
Recentemente, opinando che prima dell’Ottocento in nessun documento e da nessuna fonte si sia avuta notizia dell’esistenza di un “Limes bizantino” (e che il primo a “inventarselo” sia stato il Profilo con un suo scritto del 1875), uno studio dello Stranieri mette in discussione l’esistenza stessa di tale opera muraria e/o la sua attribuzione ai bizantini.
Il Profilo fa iniziare il “Limitone” da Otranto per proseguire, costeggiando la via Traiana, verso Valesio, poi attraversare il territorio di Mesagne, poi ancora quello di Oria per passare da Sava (dove erano e sono ancora visibile resti di questo “paretone”) e giungere sino a Taranto dove aveva termine.[17] Più tardi, il De Giorgi intravede resti del Limitone tra Oria e Cellino San Marco.[18] Del Limitone parla anche il Coco, specificando che da Pasano continua verso il feudo di Magalastro per poi finire verso il mare.[19]
Il Pichierri, attingendo dal Profilo e dal Coco, traccia un tragitto che parte da Otranto, costeggia la via Appia Traiana, si protrae nelle vicinanze di Valesio, solca il territorio di Mesagne, quello di Oria e l’agro di Francavilla Fontana, per toccare poi la contrada savese Le Monache e poi ancora Agliano, Pasano, Magalastro, l’ agro di Maruggio, e finire in riva al mare nei pressi di San Pietro in Bevagna.[20]
Il “cammino” del paretone lo delineano diversi altri autori, e per rendere omogenee tutte le varie “scoperte di paretoni”, che non hanno un tracciato identico nelle diverse spiegazioni dei vari studiosi, si diffonde l’ipotesi di ben quattro paretoni bizantini, eretti nella prima fase dell’avanzata longobarda, creando un sistema difensivo a pettine. Successivamente, perso il controllo dell’Appia, le difese si sarebbero assestate su un Limitone a sud di Mesagne, e in questa fase sarebbero stati eretti un saliente adriatico e uno ionico (di cui avrebbe fatto parte la zona in prossimità di Sava, quidi Agliano, Pasano, Magalastro etc.).
Lo Stranieri, come abbiamo già detto, con il suo saggio Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del “limitone dei greci”,[21] mette fortemente in discussione queste teorie, osservando che prima delle ipotesi del Profilo non si rintraccia in nessun documento l’esistenza di tale Limes, e aggiungendo una serie di osservazioni che esulano dagli scopi di questo scritto e che sarebbero troppo lunghe da riportare (rimando al suo lavoro), e in effetti le “prove” della reale esistenza di un Limes Bizantino si rivelano labili, ma resta inconfutabile il fatto che i siti dei quali stiamo trattando sono situati all’interno di territori effettivamente occupati da presenze bizantine. Per quanto ci riguarda, e rispetto al territorio del quale ci stiamo occupando, dobbiamo citare il sito SS. Trinità nelle vicinanza (appunto) di Monte Maciulo, il sito di Pasano con le contrade viciniori (Camarda[22], Agliano etc.), e varie altre località nei dintorni (come Petrose, Bagnulu, etc.) dislocate a poca distanza dall’ipotetico “confine” .
Sul confine tra Principato di Taranto e Foresta Oritana, costeggiando il “Paretone”
Resta certa e indiscutibile la presenza di un confine, attraversato da muraglie, che spartiva in epoca bassomedievale il confine tarantino con quello della Foresta Oritana. Lo testimoniano una serie di ricognizioni che partono dal 1420 e che ricomprendono in questo confine il territorio del quale ci stiamo occupando. Alcuni di questi inventari sono molto sintetici, altri dettagliatissimi e indicano perciò ogni singola località che si ritrova sul confine.
In un inventario del 1669, uno appunto dei più dettagliati, è testualmente citato il Monte Masciulo. Giovan Battista Odierna, membro del Sacro Regio Consiglio (e commissario di una causa pendente tra la città di Taranto e le Università limitrofe), nell’aprile del 1669 è incaricato di redigere i confini del territorio della città di Taranto. Si reca dunque personalmente assieme ad altri testimoni e membri della commissione deputata a verificare detti confini. Dopo aver pernottato in Maruggio il 13 aprile, parte dunque, nel giorno seguente, per la verifica di cui era stato incaricato, che inizia dal “fiume Borraco, primo confine della città di Taranto con la città di Oria”: il territorio della città di Taranto inizia dunque “dal detto lido del mare dove entra detto fiume Borraco […] restando detto fiume in mezzo”. La deposizione prosegue dichiarando che dal fiume Borraco il confine prosegue verso Maruggio passando per la cappella detta San Nicola del Ginocchio, situata a tre miglia circa da Maruggio; passa dunque per la porta di Maruggio e dalla porta del paese va verso la località Le Fontanelle, sempre in agro di Maruggio. Da “Le Fontanelle”, che si trova “al principio del paritone” si previene alla chiesa detta Santa Maria dell’Olivaro. Il “paritone” dunque corre sopra il Monte Masciulo: “et continuando il camino verso il paretone da un terzo di miglia incirca, ritrovai il principio di detto paritone composto da pietre grosse e da piccole a secco, e paretone paretone verso sopra caminai da miglia quattro incirca per insino al Monte di Magalastro passando passando prima da un montetto chiamato Masciulo, quale paretone dimostra con chiarezza essere fatto a posta per dividere territori”. [23]
La testimonianza prosegue annotando alcuni particolari relativi alla configurazione e all’aspetto di questi luoghi, e, naturalmente, continuando a decrivere il confine che è contiguo al percorso del “paretone”: “et sequendo il camino per detto paretone machioso e parte interpellato, quale pare essere antichissimo e fatto a posta per terminare fini et confini fra dette due città di Taranto et d’Oria, giunsi nel casale nominato di Pasano”.[24]
Il viaggio per la verifica dei confini prosegue, sempre costeggiando il Paretone, da Pasano verso Agliano “fra il quale spatio si vede benchè interpellato il suddetto paritone”. Ad Agliano Giovan Battista Odierna nota che “… edificii pare habino guastato detto paritone, servendosi di quelle pietre, per la qual causa il detto paritone resta interpellato e dismesso in alcuni luochi”. [25]
Il cammino da Agliano continua per la ripa della Serra “dove appare anche continuare detto paritone”[26] e sale verso la “ripa della Serra”[27] alla “strada che va a San Marzano”, dove ancora “continuava il detto paritone” e saliva verso “il Castello Vecchio di San Marzano”. Ancora seguendo il “paritone”, dal Castello Vecchio di San Marzano si giungeva alle porte del casale di San Marzano.
Curiosità: Pasquale Squitieri gira il film “Io e Dio” sul monte Masciulo
Nel 1969 il regista Pasquale Squitieri gira tra Manduria, Sava e Maruggio il film “Io e Dio”, prodotto da Vittorio De Sica, reclutando anche comparse dei luoghi. Gran parte del film è girata proprio sul monte Masciulo. Nel abbiamo parlato nel febbraio 2019 su “La Voce di Maruggio” nell’articolo “Pasquale Squitieri nel 1969 girò sul monte Maciulo il film Io e Dio”.[28] L’articolo, disponibile nel sito del giornale online, contiene il link al film completo.
Gianfranco Mele
- C. DESANTIS, Sava, Monte Masciulo – Torre classica e strutture medievali (F. 203, III SO, Sava), in “Notiziario Topografico Pugliese- Contributi per la carta archeologica e per il censimento dei benmi culturali”, a cura di G. Uggeri, Brindisi, 1978, I, pp. 148-150 ↑
- C. DESANTIS, op. cit., pp. 150-151 ↑
- G. CARDUCCI, I confini del territorio di Taranto tra basso medioevo ed età moderna, Mandese Editore, 1993, pp. 59-60 ↑
- Ibidem (pag. 151) ↑
- A. ALESSIO, P.G. GUZZO, Santuari e fattorie ad est di Taranto. Elementi archeologici per un modello di interpretazione, in “Scienze dell’Antichità, Storia Archeologia Antropologia (Atti del Convegno Anathema. Regime delle offerte votive ed economia dei santuari nel mediterraneo antico, Roma, 19-22 giugno 1989)”, 3-4, pag. 395 ↑
- P. TARENTINI, Maruggio. Presenze antiche sul territorio, Filo Editore, 2000, pag. 96 ↑
- L. FINOCCHIETTI, Il distretto tarantino in età greca, in “Workshop di archeologia classica. Paesaggi, costruzioni, reperti”, Annuario internazionale, Serra Editore, 6, 2009, pp. 68-69 ↑
- F. G. LO PORTO, Due iscrizioni votive arcaiche dai dintorni di Taranto, in “La Parola del passato”, XLII (1987), pag. 50 ↑
- M. NAFISSI, Mageirikè Skeué e sacrificio nel territorio di Taranto. L’iscrizione arcaica di Torricella, in “Parola del Passato”, XLVIII (1992), pag. 145; F. AVERSA, Contributo agli studi sule epigrafi arcaiche da Torricella (Taranto), in “St. Ant.”, 8 (1995), 1, pag. 50 ↑
- Vedi: PERIEGHESIS. VIAGGIO NELLA STORIA DEL PAESAGGIO AGRARIO DEL TARANTINO http://www.perieghesis.it/templi.htm ↑
- Ibidem ↑
- C. TEOFILATO, Segnalazioni archeologiche pugliesi – ALLIANUM Il Gazzettino – Eco di Foggia e della Provincia – Anno (24) 7- n. 38, sabato, 21 settembre 1935 Anno XIII ↑
- G.B. MANCARELLA, Storia linguistica del Salento, in “L’Idomeneo”, n. 19, 2015, pag. 21; vedi anche A. STAZIO, La documentazione archeologica in Puglia, in “La città e il suo territorio”, Atti del VII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, 1969, pp. 265-285 ↑
- A. STAZIO, op. cit., pag. 272 ↑
- Quando Attilio Stazio riferisce di questi centri li definisce “anch’essi poderosamente fortificati e ricchi nelle loro vaste necropoli di materiale caratteristicamente e prevalentemente indigeno, benché anche qui non manchino umerosi esemplari di ceramica greca” (A. STAZIO, op. cit., pag. 273). ↑
- G. STRANIERI, Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del “limitone dei greci”, in “Archeologia Medievale, XXVII, 2000, pag. 334. Qui lo Stranieri, nelle note (16) e (17) cita J. IUVENIS (Giovan Giovine), De Antiquitate et varia Tarentinorum fortuna, 1589, pp. 43-44; G. MARCIANO, Descrizione, origine e successi della Provincia di Otranto, Napoli, 1885, pag. 397. Lo stesso Profilo nel 1870 attribuisce inizialmente ai Messapi la costruzione del Paretone (A. PROFILO, La Messapografia ovvero memorie istoriche di Mesagne, I, 1870, pag. 116, citato da G. Stranieri alla nota (7) del lavoro di Stranieri), e, nel 1959, L SCODITTI con la sua opera Il Limitone dei Greci e la Muraglia Confinaria Messapica nel Salento, Mesagne, 1959 (cfr. ancora nota 7 del citato lavoro di Stranieri). ↑
- A. PROFILO, La Messapografia ovvero memorie istoriche di Mesagne, I, Lecce, 1870, paqg. 116 e II, Lecce, 1875, pp. 7-8 ↑
- C. DE GIORGI, Le Anticaglie, Muro Maurizio ed il Limitone dei Greci presso Mesagne, in “Rivisa storica salentina”, X, 1915, pp. 1-2, 5-19 ↑
- P. COCO, Cenni Storici di Sava, Stab. Tipografico Giurdignano, Le, 1915 – ried. Marzo Editore, Manduria, 1984, pp. 19-20 ↑
- G. PICHIERRI, Il Limitone dei greci nel territorio di Sava, in “Cenacolo”, V-VI, Società di Storia Patria per la Puglia, sez. di Taranto, pp. 23-29 ↑
- G. STRANIERI, op. cit. ↑
- Il toponimo “Camarda” etimologicamente è di derivazione greco-latina e sta ad indicare un accampamento bizantino ↑
- G. B. ODIERNA, scritture fine sec. XVII contenute in Archivio di Stato di Lecce e Archivio Privato Carducci di Taranto, trascritte in G. CARDUCCI, op. cit., pp. 140-163 ↑
- Ibidem ↑
- Ibidem ↑
- Ibidem ↑
- Secondo le ricostruzioni provenienti anche dal confronto con le varie altre ricognizioni, il tratto preciso che seguiva il “paretone” e dunque il confine, da Agliano al “Castello Vecchio” di San Marzano, è quello che, proseguendo in linea retta, attraversa le contrade savesi “La Zingara” e “Le Monache”; raggiunta la S.S. n. 7/ter, ovvero la strada Sava-San Marzano, in prossimità della attuale cappelletta di San Giuseppe piegava a sinistra in direzione di San Marzano, attraversando prima un “montetto” che anticamente aveva ospitato il “Castello Vecchio di S. Marzano” e poi giungeva alle porte del casale (cfr. G. CARDUCCI, op. cit., pag.71). ↑
- RED. VOCE DI MARUGGIO, Pasquale Squitieri nel 1969 girò sul monte Maciulo il film Io e Dio, La Voce di Maruggio, sito web, febbraio 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/pasquale-squitieri-nel-1969-giro-su-monte-maciulo-il-film-io-e-dio.html ↑