sabato 23 Novembre, 2024 - 3:57:11

Nel centenario della nascita di Violeta Parra e a 50 anni dal suo suicidio per rendere grazie alla vita in un canto sciamano

violeta-bruni

Violeta Parra Sandoval ha accompagnata, con la solitudine che mi sono tracciato per i fatti importanti che tracciano la mia vidas e che nessuno ancora è riuscita ad entrarci perché aluno è riuscito a capire e penetrare il sottosuolo e mai nessuno entrerà, e accompagna tutto il mio viaggio. È un giorno, questo, in cui rivelo i miei veri tracciatori di destini.
Violeta mi ha formato ascoltandola, leggendola, osservandola, vedendola, e il suo suono e canto meta – andino non può che condurmi in quella civiltà che non è mistero, ma magia (http://pierfrancobruni.weebly.com/ti-scrivo-dal-miosuicidio.html). Io e Violeta. Il suo viaggio dalla morte è il viaggio in una aurora che porta le luci alle ombre.
È lei che mi ha preso per mano nelle notti buie e mi ha condotto nella magia degli sciamani. Continuo ad ascoltarla perché credo che il mondo sciamano ha in lei una interprete fondamentale di un percorso che è fatto di “intenzioni” e di percezioni. Viverle, le sue parole, è come esistere nelle sue parole.
Era nata a San Carlos il 4 ottobre del 1917. Siamo, tra poco, ad un centenario tondo. I suoi testi non smettono di camminare nelle culture, soprattutto in quelle culture che hanno una visione antropologica ed etnica. Soltanto le civiltà che esprimono un forte canto etnico e geo – antropologico conoscono il senso della libertà.

violeta-parra1Violeta Parra ha sempre amato la libertà e l’assurdo delle democrazie che nulla hanno a che fare con il senso della libertà. La libertà è altra cosa. Il suo canto “Gracias a la vida” credo che sia il canto sciamano, nell’età moderna, in modo straordinariamente sublime e tocca le corde dell’anima e le ali dell’aquila.
Gli studi antropologici riferiti al canto, sul quale sto cercando di lavorare in un intreccio con le letterature sciamane, mi portano proprio su queste strade. Un testo che risale al 1966 inserito nell’album “Las últimas composiciones” (https://www.youtube.com/watch?v=UW3IgDs-NnA) e che è stato affidato alle voci incantevoli, dopo la scomparsa di Violeta, di Mercedes Sosa, che regala un’interpretazione scavante proprio in un pensiero castanediano – zambraniano, di Joan Baez, degli Inti-Illimani, di Herber Pagani, di Gabriella Ferri, (inquieta cantautrice suicida), di Andrea Parodi ed Elena Ledda. Sigla, e colonna sonora, di molti film che hanno come profondo il misterioso (penso alle Fate ignoranti” del 2001.

Ma chi è stata per me Violeta Parra Sandoval? Già il secondo cognome, Sandoval, mi porta alle mie radici “castellane”. Mi riporta a Diego Sandoval e a Isabella Morra. Sandoval era l’amante della poetessa lucana, la bella Isabella, la quale, per il suo amore nei confronti di Diego Sandoval, viene pugnalata dai fratelli e Isabella portava negli occhi il tempo lunare delle curandere.
Violeta mi ha insegnato non solo ad amare la vita attraversandola, ma anche a cantarla, a recitarla e a mettere insieme il dolore con l’allegria in un naufragio tanto amato dal mediterraneo Ungaretti e dall’andaluso Garcia Lorca. Una cantante. Una poetessa nel tempo della magia. Grazie alla vita. Un inno solare che supera ogni teologia delle ubbidienze, perché la letteratura è disubbidienza. Anzi è religiosa disubbidienza e non può essere teologia delle regole.
Il dato antropologico è la centralità della civiltà e del popolo come eredità di una tradizione. “Grazie alla vita che mi ha dato tanto/Mi ha dato il suono e l’alfabeto/Con esso, le parole che penso e dichiaro/ Madre, amico, fratello, e luce che illumina/L’itinerario per l’anima di colui che sto amando”. “Gracias a la vida, que me ha dado tanto/Me ha dado el oído, que en todo su ancho/Graba noche y día, grillos y canarios/Martillos, turbinas, ladridos, chubascos/Y la voz tan tierna, de mi bien amado”.

Violeta non contesta con il suo canto e con la sua vita, e non voglio entrare nel suo privato, ma disubbidisce. La disubbidienza è la linea orizzontale e verticale anche della mia vita. Non solo la rivolta camusiona e la ribellione del ragazzo terribile di Molnar, ma soprattutto la disubbidienza. La disubbidienza ci rende liberi. L’arte ha un compito preciso che è quello di non accettare e di non consolidare il mestiere della prassi e della teologia.

Scriveva Violeta: “Ogni artista ha l’obbligo di mettere la sua creatività al servizio degli uomini. Oggi non si deve cantare più di ruscelletti e di fiorellini. Oggi la vita e’ più dura e la sofferenza del popolo non può essere disattesa dall’artista”.
Cosa potrà salvarci ci si chiedeva epoche fa? Il canto sciamano resta una preghiera nell’incanto del sogno. Violeta Parra: “En los jardines humanos/que adornan toda la tierra/pretendo de hacer un ramo/de amor y condescendencia”. Ovvero: “ Nei giardini umani/che adornano tutta la terra/mi sforzo di comporre un bouquet/d’amore e di condiscendenza” (Violeta Parra, “Es una barca de amores”).
Perché tutto ciò? Bisogna sempre accettare, accogliere e condividere i silenzi le urla i dolori l’infinito e il finito della vita. Noi non siamo intramontabili. Il crepuscolo è parte del nostro viaggio. L’importante è restare sempre con se stessi e mai vedere i passanti passare. Non mi sono mai affacciato alla finestra per guardare gli altri. Io rispondo sempre in prima persona dei miei sbagli dei miei successi del mio sorriso della mia allegria e dei miei naufragi. Gli amori sono nella luce dell’alba.
La solitudine è il pensiero dei meriggi. Non ti rattristare se ciò che accade ti accade e non dire mai proprio a me doveva accadere. Sei nella vita e la vita è in te. Mai dimenticarlo. Dimenticare è perdersi. Sembra ancora dirmi il canto sciamano andino.
Violeta Parra è sostanzialmente l’autrice del canto delle montagne, dei deserti, del mare e porta con sé il sogno mai perso di una vita con la gratitudine del vissuto.
È come se mi avesse detto: Fai tutto ciò che occorre per restare sempre nella vita e non camminare mai sui passi dei mercenari. Viaggia per restare nella contemplazione e nella illuminazione degli uomini del deserto e della luna.
C’è l’insegnamento delle curandere in me: Ama perché solo amando puoi vedere ciò che chi non sa amare non potrà mai vedere. Non contare le ore dell’orologio ma quelle del tuo cuore e poniti sempre alla luce del Sole.
Il dio del Sole sarà sempre con te e ti impedirà anche nelle disperazioni di non venderti l’anima. Devi puoi amare fino al punto in cui qualcuno non ti chiederà di venderti l’anima. Non è amore. Allora osserva il silenzio e ascolta la pietra d’Oriente. Andrai dove le aquile sanno cosa è il vento. Prega senza mai lasciarti pregare. Si tratta dunque di una antropologia del vivere. Ma lei muore sucida. Come il mio Pavese.
Grazie alla vita (https://danielarubinosite.wordpress.com/2016/08/28/ti-scrivo-dalla-mia-morte-ci-ritroveremo-mio-caro-cesare-nella-sera-con-i-versi-di-gracias-a-la-vida-un-racconto-di-pierfranco-bruni-ricordando-cesare-pavese/).
Il suo suicidio. Io non mai creduto che i suicidi possano trovare una motivazione e tanto meno una giustificazione. È il vento del destino che porta la morte. Aveva 50 anni quando si suicida. Era il 5 febbraio del 1967. A Santiago del Cile. Un altro anniversario tondo. A 50 anni dalla morte.
Ebbe a dire Víctor Jara: “La presencia di Violeta Parra e’ come una stella che non si estinguera’ mai. Violeta, che purtroppo non può più vedere il frutto del suo lavoro, ci ha indicato il cammino; noi non facciamo che continuarlo e dargli, ovviamente, il segno del presente”.
Nel segno del presente io ritrovo ancora il suo canto. Quel suo canto che mi accompagnava nelle giornate dell’Università in una Roma terribile e magica. Ma avevo cominciato a studiare Violeta negli anni ultimi del mio Liceo, quando ho conosciuto l’ignoranza della scuola e di alcuni docenti e la saggezza di mio padre e di mia madre.

Violeta+Parra+PNG-593x340Tutto ha un senso. Anche questa richiesta di ripensare Violeta dopo decenni. “….Gracias a la vida que me ha dado tanto me dio dos luceros que cuando los abro/ perfecto distingo lo negro del blanco /y en el alto cielo su fondo estrellado/ y en las multitudes el hombre que yo amo…”. Testo scritto nel 1965 e pubblicato l’anno successivo. Cosa resta dopo aver ritrovato i miei appunti su Violeta? Una considerazione forte.
Così: Ci sarà un tempo in cui il tempo finirà. Il mio tempo finirà. Quando il mio tempo smetterà di raccogliere le ore non vorrò rimpianti e neppure nostalgie. Troppe sono state le nostalgie che mi hanno abitato. Non vorrò altari e neppure prediche buie. Mi basterà un canto. Soltanto un canto sciamano e un rigo un rigo soltanto di lacrima per asciugare il vento che sarà attraversato dall’aquila. Non vorrò prediche buie e neppure parole che diranno “il Signore sia con te con voi”.
Solo un canto sciamano che avrà un silenzio e una voce che dirà grazie alla vita. Tutto il mio viaggio è stato una magia non interrompetela con i fiori dei morti ma ridatemi soltanto le rose blu dei miei deserti e le pietre di sale dei miei mari. Forse siamo oltre l’esistenzialismo. Ma l’antropologia ci permette di penetrare il sottosuolo della filosofia e con Violeta ciò è possibile nel suo canto puramente francescano. Il “Cantito delle Creature” è in “Gracias a la vida”.
Ella scrisse: “Non lo intendo come una sopravvivenza archeologica isolata che si sviluppa come cultura dominata nei confronti di una cultura dominante, ma come un fenomeno culturale vivo che corrisponde a determinate forme sociali e che si trasforma o si annulla in funzione di tale corrispondenza”.

La vera funzione di una antropologia che recupera nel presente la tradizione. Videro bene gli Inti – Illimani nel dire: “Violeta parlò, in forma di canzone, di cose che fanno parte della nostra sofferenza quotidiana. Delle belle canzoni. Per noi è un punto di riferimento costante. Crediamo che Violeta Parra sia un pilastro fondamentale della nostra storia, come lo sono Pablo Neruda e Gabriela Mistral”.
Il canto continua con i suoi versi. Il canto continua a cantare perché hanno colori e sembrano, le parole, formare un mosaico: “gli arazzi sono come canzoni dipinte”, in una intervista Violeta. Il gioco è un incastro in una metafisica dell’esistere: “Grazie alla vita che mi ha dato tanto/Mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto/Così io distinguo la felicità dal rimpianto”.

La felicità dal rimpianto continuerà ad accompagnarmi come una preghiera, come un suono, come una musica. Come un incanto. Come una Alchimia. Troverò altri appunti dalle mie cartelle liceali e degli anni universitari dedicati a Violeta. Il mio scavare nella religiosità antropologica degli sciamani parte dal suo canto e giunge sino ad oggi. Gracias a la vida!

“Yo no protesto por mí
porque soy muy poca cosa,
reclamo porque a la fosa
van las penas del mendigo.
A Dios pongo por testigo
que no me deje mentir,
no me hace falta salir
un metro fuera ‘e la casa
pa’ ver lo que aquí nos pasa
y el dolor que es el vivir”.

“Io non protesto per me / perche’ sono poca cosa. / Reclamo perché alla fossa / Van le pene del mandico. // Chiamo Iddio come/testimone / perché non mi faccia mentire; / Basta che metta il naso /Un metro fuori di casa / Per vedere quel che ci succede, qui, / E il dolore che e’ vivere”.
Accarezzo il sogno. Il sogno mi cammina nella vita. La vita mi scorre nei labirinti. Il labirinto traccia destini. il destino è nella magia. La magia è alchimia. L’alchimia è nella danza sciamana. Mi dedicherò a lei nelle prossime stagioni tra l’antropologia, la danza, il canto, la letteratura, la vita e il tempo che è sempre una scommessa e un rischio ed è comunque una uscita di sicurezza.

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