La Chiesa ha un compito preciso tra i valori delle famiglie vere e l’etica del rispetto della tradizione ma deve avere coraggio. Di Pierfranco Bruni
È vero che la tradizione non è un obbligo. È vero che con le società in transizione, come si osservava nelle antiche articolazioni sociologiche, sono mutevole nei fatti e nei valori. È vero che il familismo amorale, di cui si parlava al tempo in cui mi sono laureato ed è stato elemento di discussione nei miei esami di antropologia culturale, non può legarsi soltanto ad una civiltà contadina ma va esteso.
È vero che, in questi decenni, è cresciuto un mondo sparso, non solo tra gli intellettuali, di credenti in Cristo ma distanti dagli apparati della “Chiesa – Potere”. È vero che molti cristiani si sono allontanati dal cattolicesimo. È vero anche che le relazioni tra cristianesimo e buddismo, se non ufficialmente, hanno stretto legami di straordinaria convivenza nel nome dell’amore e della pace.
Tutto questo abilita o meno ad una discussione, a tutto tondo, su valori, famiglia, visioni etiche e religiosità? Credo di sì. Le affermazioni recenti del Santo Pontefice Francesco fanno chiaramente discutere, ovvero quelle legati al concetto di “famiglia” o coppia gay e ad una nuova metodologia educativa nei confronti dei figli.
La Chiesa può o non deve entrare in tali questioni? Ma certamente sì. Forse, in un tempo allo sbando come è quello che stiamo vivendo, la Chiesa deve poter giocare un ruolo importante. Ma questo non abilita però a sollevare contraddizioni che animano, come è accaduto, le vicende politiche ed ideologiche di questi giorni.
La Chiesa entra direttamente nella vita degli uomini, ovvero nella coscienza degli uomini: sia essi cristiani o meno. Non abilita però le “ideologie” e la politica di virgolettare una frase e impastire un posizionamento sui valori cristiani nei confronti di modelli etici.
Da questo punto di vista c’è da dire, comunque, che la Chiesa deve stare molto attenta. Anzi deve essere accorta, e lo stesso Papa Francesco deve misurare il rapporto tra codici esistenziali e codici spirituali, ovvero tra codici dell’anima (Hillman) e prassi, nelle posizioni ed equilibrata e precisa negli indirizzi. Le frasi pronunciate dal Papa non possono essere, il giorno successivo, “corrette” o precisate o spiegate dal portavoce del Vaticano.
Non è una bella immagine. Credetemi. Non lo dico per spirito di polemica. Bisogna annunciare Cristo in una società che cambia. Su questo non ci sono dubbi. Ma una società che cambia non può accettare le cosiddette famiglie gay sul piano di una visione etica. Mi tirerò gli strali degli omosessuali. Ben vengano. Io non ho nulla in contrario nei loro confronti, porgo loro il mio rispetto senza nulla contraddire. Ma come valore e come principio non esistono le “famiglie” gay. Possono esistere coppie gay, ma, attenzione, non cominciamo ad usare termini non consoni alla religiosità della famiglia.
Io sì che sono un tradizionalista, ma sono anche un innovatore. Ma definire due maschi o due femmine, con l’adozione di un figlio, una famiglia gay non è possibile ontologicamente e geneticamente. I valori da qui cominciano.
La Chiesa ha un compito preciso che è quello di far conoscere, di far capire, di vivere la “distinzione” tra una coppia e la famiglia. La famiglia nasce nella unione di una Tradizione che, pur nella fragilità di questa nostra società, non può essere messa in discussione. La centralità della famiglia tradizionale è l’impalcatura di una società con forti valori.
Fa riflettere l’affermazione del Papa: “Ricordo il caso di una bambina molto triste la quale confidò alla maestra che la fidanzata della sua mamma non le voleva bene”. È un dato inconfutabile, ma bisogna avere il coraggio che non esiste, nei valori consolidati, “la fidanzata della mamma”. C’è bisogno di coraggio.
Cristo ha avuto coraggio sempre, ma è la Chiesa che non deve essere negligente nel portare il Vangelo come modello educativo, nel portare le parole delle Lettere di Paolo tra gli omosessuali. Se non si ha coraggio nella distinzione non si educa ai valori e Cristo rimane smarrito.
Non bisogna avere paura, diceva Giovanni Paolo II, di dire la verità. Le coppie gay sono “coppie” e non formano una famiglia. Se si fosse eretto un muro di valori, di significati, di linguaggi etici non ci sarebbe stata la voce triste di quella bambina citata dal Santo Padre. I valori necessari non sono contrattabili e neppure discutibili in qualsiasi società.
Dobbiamo necessariamente educare, ma non accettare condizioni innaturali. Ha sottolineato ancora Papa Francesco: “La percentuale di ragazzi che studia nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi dunque pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?”.
Non ci sono dubbi, ma non mettiamo sullo stesso piano la situazione di figli provenienti da genitori separati e ancora figli provenienti da coppie gay. Non fanno valore, in queste circostanze, le coppie gay, non fanno valore in quanto famiglia, in quanto legame di fede. Non possono rientrare nella giustificazione dei valori cristiani, o meglio, diciamola tutta, non sono e non possono essere matrimoniabili. Bisognerebbe ristabilire, allora, i limiti del concetto di misericordia e della visione di peccato.
Chi sta nella grazia della chiesa accetta il peccato. È peccato o no stabilire un rapporto di coppia gay? Su questo deve pronunciarsi la Chiesa. Se decide che non è peccato cambiano le regole complessivamente a cominciare dall’interpretazione e dalla lettura di San Paolo. Se invece sostiene il peccato nelle coppie gay deve essere coerente e smettere le vesti dell’ambiguiità.
La Chiesa e il Papa sono chiamati anche a questa sfida, che è una sfida non solo di valori, ma di significati ontologici, metafisici, genetici, etici. Io che vivo la mia cristianità in solitudine e in silenzio ho sempre affermato di essere un assertore convinto del pre-Concilio II. Sono un tradizionalista, ma è la tradizione che diventa rivoluzione in una civiltà relativista che punta al liberalismo, al materialismo, all’economicismo.
Facciamo un passo indietro sui diritti per farne tre passi avanti sui valori. Noi verremo salvati dalla tradizione. La fede ha un senso se pone dei problemi e riesce, nel rischiare, nelle scelte che sembrano impopolari, ma che saranno vincente per l’uomo che ha bisogno nuovamente di radicarsi.
Il Papa non è un testimone. È il Rappresentante della cristianità cattolica, romana, apostolica. Incarna un potere, ma incarna i valori che non sono cangianti. Deve restare riferimento nella certezza del Testamento, altrimenti si ponga mano alla struttura testamentaria e si facciano delle scelte in riferimento alle società nelle quali si vive. Ma se il Vangelo e il Nuovo Testamento restano capisaldi non bisogna inventarsi un’interpretazione per ogni epoca.
La sfida si vince se con i valori si superano gli sradicamenti, lo smarrimento, la caduta nel fatto che tutto è relativo. Diamo forza a Papa Francesco invitandolo a non sfidare i tempi con valori nuovi e con metodologie educative dettate da una società progressista.
Invitiamolo a sfidare il tempo del vuoto con i valori di sempre, l’uomo e il suo umanesimo, la famiglia nella sua tradizione, il rispetto nel dovere, e con l’educazione, che egli sa, all’amore nella distinzione.
Se la famiglia deve avere un senso la famiglia è l’ontologia di una società retta sul rispetto, sul dovere, sulla Natura, sulla fede (sia Cristiana sia della Ragione). Invitiamolo a non avere paura a fare delle scelte rigorose soprattutto dando indicazioni sulla genetica, sull’etica, sulla morale.
La fede ha un senso nella Grazia. La religiosità ha un senso nella filosofia della cristianità. Il tempo moderno nasce nella contemporaneità non attraverso il relativismo, ma grazie alla forza della centralità dei valori che Cristo ha dettato, Paolo ha portato avanti, Agostino ha praticato nella funzione che la tradizione possa essere la verità nel quotidiano.
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