Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Pierfranco Bruni. Dal contenuto ci pare che lo scrittore della Magna Grecia abbia dato inizio ad una nuova avventura politico – culturale che troverà molti consensi.
Siamo la generazione dell’esodo. Siamo la generazione che ha sempre avuto stima e riguardo per le Idee. Nella nobiltà per la libertà delle opinioni ci siamo formati. Nella consapevolezza di vivere la progettualità nella storia delle minoranze si sono sviluppati molti nostri modelli culturali. Nel rispetto e nella dignità. Sono sempre più dalla parte di Gianfranco Fini. Credo che questo sia il momento vero per ritornare alla politica. A quella politica che può avere un senso in una estetica del pensiero. A quella politica che possa finalmente avviarsi verso una dialettica al cui centro ci siano i problemi, le culture divergenti, l’idea del progetto in una alternativa di posizioni, il confronto con scuole di pensiero che abbiano una tradizione e una capacità di realizzare processi per il futuro.
Sempre più dalla parte di Gianfranco Fini perché diventano intollerabili le posizioni di intolleranza di un partito che si dice popolo della libertà. Ci sono libertà divergenti o ci sono libertà a senso unico? O si va verso un nuovo concetto di libertà?
È inconcepibile che il concetto di libertà possa avere delle definizioni personali e che il confronto e lo scontro dialettico all’interno di una coalizione possano essere vissuti come una partita unicamente contro il capo. È inconcepibile non accettare la dissidenza. Siamo un Paese di eretici? La dissidenza è una proposta di dialettica e di incontro delle nuove generazioni: un saper ascoltare e un saper vivere con disarmonia e armonia le stagioni sia politiche sia delle identità storiche che camminano lungo i percorsi dell’identità nazionale.
L’Italia è un Paese nella Tradizione degli eretici e dei confronti serrati. Ma qui non si tratta di essere eretici, piuttosto di ragionare sul termine di dissidenti o dissidenza. Cosa è la dissidenza in un gruppo politico? Dovremmo, soprattutto in questa fase, chiedercelo costantemente. Neppure nel partito di Togliatti, ai tempi della polemica tra Togliatti e Vittorini, si era giunto ad un momento di intolleranza così estrema da parte del leader. Persino negli anni mussoliniani e del Regime vi erano delle frange di dissidenza, per non parlare dei decenni democristiani dove la divisione tra “correnti” in molte occasioni costituiva l’anima della dialettica.
Questo Paese è andato avanti sempre in un confronto serrato tra scuole di pensiero e modelli politico – culturali. Campeggia, comunque, nel Pdl una mentalità stalinista che non fa onore al confronto, alla partecipazione, al dialogo e al conflitto. Siamo quasi alle purghe staliniste e alla venerazione del capo. Questa cultura non ci appartiene. Aziendalismo e stalinismo non ci appartengono.
Il Presidente della Camera è una personalità chiaramente istituzionale ma è anche un soggetto politico nella ragione aristotelica e non può assecondare o essere manovrabile. In virtù del suo carico e del suo incarico istituzionale diventa sempre più un arbitro chiaramente istituzionale in quanto soggetto pensante su un argomentare che riguarda la Nazione.
No, la politica non è impresa. La politica non si fa con le tre “I”. Slogan a perdere in un Paese costantemente in crisi. La vita non è una impresa e la politica stessa non si fa con la visione dei mercati.
Il Premier che dice di amare Erasmo di Rotterdam non ha ben definito nella sua strategia politica (che politica non è perché ha innescato nel suo dire e nel suo fare il concetto di managerialità e così non è e così non può essere e così non dovrà essere nella visione dei processi politici) cosa possa significare oggi il rapporto tra l’elogio alla follia e l’elogia alla utopia. La politica è anche una estetica dell’utopia. Ma questa è concepibile soltanto in una strategia del pensare a più voci e non in una attrazione nei confronti di un pensiero unico. Andiamo oltre Erasmo di Rotterdam e inseriamoci con serenità tra le due grandi “città”: quella di Tommaso Campanella e quella di Tommaso Moro.
La politica è la via di mezzo tra la realtà della follia discussa, pensata, confrontata con l’utopia dell’impossibile che può trasformarsi nella storia della fattibilità.
Non siamo alla resa dei conti. Siamo, comunque, alla morte di un fare politica e non siamo neppure agli orizzonti dell’elogio alla follia. La morte di questo fare politica che non accetta la dissidenza o un pensiero divergente può aprire un nuovo senso alla politica della ragione oltre che a quella coordinata intorno ai sentimenti innescati dai processi culturali.
Sempre più dalla parte di Gianfranco Fini perché nell’ora delle grandi decisioni il tempo della storia camminerà lungo i tracciati di una politica che sia pensiero, riflessione, prospettiva. Sì, ancora intorno ad alcuni valori chiave che devono naturalmente passare dentro la dimensione di una conoscenza e di una coscienza politica in cui la politica stessa non sia occupazioni di potere soltanto ma un spirale verso un umanesimo delle culture divergenti.
La politica è fatta di processi divergenti e non di sensi unici. Perché è intorno a questi processi che si costruiscono le vere democrazie e i veri partiti in un sistema di reale democrazia partecipata. La politica della ragione non può che passare nella ragione di un fare politica tra condivisioni e dialettiche. Anche in questa fase credo che la lezione politica di Aldo Moro sia di grande utilità e attualità. Il Moro delle divergenze e delle convergenze oltre il pensiero unico ma per un ragionamento unificante.
Sono ancora di più dalla parte di Gianfranco Fini perché sono le utopie, quelle che vivono la speranza e la prospettiva, che guidano le ragioni della politica e innescano processi innovativi in una società costantemente in transizione. Non ci appartiene la mentalità dell’accettazione stalinista. Non ci appartengono i pensieri unici.
Pierfranco Bruni
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