Per recuperare ed esporre al pubblico la straordinaria tomba Messapica con le pareti intonacate e dipinte, ritrovata qualche giorno fa a Manduria durante gli scavi per il metano, non sono bastati gli oltre mille like e 655 condivisioni ottenuti poche ore dopo la pubblicazione delle foto sul profilo ufficiale della Soprintendenza archeologica. «Lo straordinario reperto», definito tale dagli stessi addetti ai lavori, sarà ricoperto e asfaltato. A niente è valsa neanche la volontà espressa da numerosi manduriani, associazioni e uomini e donne di cultura, che chiedevano a gran voce il suo recupero e l’esposizione nel museo cittadino della cultura Messapica. Inutile anche l’esito di un sondaggio lanciato sul social dove l’89% dei votanti, su 632 che vi hanno partecipato, supplicava gli enti preposti a salvare dall’oblio l’ultima dimora di una ricca famiglia Messapica così come è toccato ad altri ritrovamenti che il generoso sottosuolo manduriano ha inutilmente regalato nel tempo. L’amara verità è un’altra: per mancanza di fondi, la sorte del sepolcreto decorato ai bordi con «un motivo a meandro continuo realizzato nei colori rosso e blu, di finissima fattura», lo descrive la Sopraintendenza, è destinato a tornare dove è rimasto per 700 anni, da quando cioè è stato profanato e svuotato di chissà quali tesori contenuti e dopo la prima sepoltura risalente al III – IV secolo avanti Cristo.
I lavori di canalizzazione del metano di cui si occupa la Italgas, devono andare avanti e l’unica possibilità per fermarli viene oscurata dalla mancanza di risorse della Soprintendenza e dal disinteresse delle istituzioni locali, gli unici rimasti indifferenti alla bellezza del ritrovamento e alla richiesta di studiosi e cittadini.
L’unico riguardo concesso all’antenato Messapico, o antenata (i predatori hanno fatto sparire anche i suoi resti), è la copertura degli affreschi con un materiale protettivo e lastre di polistirolo che separeranno la superficie intonacata dalla terra con cui la tomba sarà ricoperta. Tutto questo nella prospettiva di un suo auspicabile recupero. Eppure il giorno del suo ritrovamento gli entusiasmi degli archeologi della sede centrale della Soprintendenza di Taranto aveva fatto spingere chi gestisce la pagina istituzionale Facebook a prendere impegni che saranno disattesi. «Sarà un vero piacere poter smentire il suo catastrofismo», scriveva il gestore dell’account a chi prevedeva la sorte dell’interramento.Dispensando rassicurazioni ad un altro profetico catastrofista garantendo «il massimo impegno nella salvaguardia di questo importantissimo rinvenimento».
Parole al vento a meno di un miracolo che al momento non è nemmeno ipotizzabile salvo il farsi avanti di un finanziatore, o di un gruppo di sponsor, disposti a farsi carico dell’estrazione della tomba, il suo restauro e successiva esposizione nel museo. Altrimenti resterà uno dei tanti siti e testimonianze archeologiche nascoste o abbandonate di cui la città Messapica è piena.
Nazareno Dinoi su Quotidiano di Taranto
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