Noi #terroni siam così: pieni di orgoglio per la terra che ci fa sudare, pieni di rabbia per la terra che ci fa tremare.
La critichiamo tra di noi, ma la difendiamo da chi l’accusa.
L’ abbandoniamo per disperazione, ma ce la portiamo nel cuore e in capo al mondo, dove i profumi dell’infanzia non conoscono distanza.
Noi terroni abbiamo i tempi lunghi, le pause caffè, le spaghettate notturne con amici e sconosciuti.
Siamo disordinati e frettolosi, ospitali e sorridenti.
Guardiamo albe e tramonti con gli occhi di un bambino e i capelli bianchi, assaporiamo i frutti della nostra terra, sana e generosa, inventiamo ricette scopiazzate, addolciamo la vita con un sorriso inaspettato, ci rialziamo con dignità.
Ci rifugiamo dal solleone nei trulli immacolati, raccogliamo pomodori, pascoliamo pecore, ci arrabbiamo in dialetto, cuciamo abiti per un neonato anche se abbiamo 90 anni, sediamo sui marciapiedi per allontanare la vecchiaia.
Accarezziamo la pasta che cresce sotto le nostre mani callose, festeggiamo un goal in serie C come fosse la nazionale, andiamo a lavorare con il costume nella borsa perché il nostro mare non può aspettare, prendiamo a calci i muri delle Chiese ma solo con un pallone, rispettiamo i riti e le tradizioni, e un Santo lo consideriamo quanto un Dio.
Di una sedia facciamo un passo carrabile efficiente, di una risata l’arma vincente.
Offriamo il nostro cibo con la certezza di un bis, scriviamo canzoni immortali e balliamo sotto il sole e con la pioggia.
Conserviamo ogni oggetto perché un domani può servire, spediamo provviste ai nostri figli trasferiti al Nord, ci convertiamo per sempre all’abito scuro se a investirci è stato un lutto inaccettabile, non salutiamo il vicino di casa se ha lo stereo a tutto volume, ma diventiamo parenti se ci conosciamo su Cannaby Street.
Sventoliamo tende fatte a mano, aggrappate a vecchie mollette, osserviamo dai balconi le generazioni che ci succedono, sappiamo piangere e ridere nello stesso momento.
Siamo artisti della parola e genitori di battipanni.
Urliamo dalle finestre se il piatto è sulla tavola mentre i nostri bambini giocano a nascondino, che “se il pranzo si raffredda è da buttare e i bambini che muoio di fame ci rimangono male”.
Seguiamo processioni come se sulla croce fosse morto un figlio nostro e non il nostro Padre, appendiamo al muro rosari consumati, piangiamo i nostri defunti tutti i giorni, custodiamo gli abiti da sposa delle nonne, i giochi dei figli ormai genitori, ereditiamo valori che tramandiamo, sogniamo ad occhi aperti, nuotiamo nel mare più bello, brindiamo ai nostri successi.
Siamo buoni, ma non fateci arrabbiare; non “toccate” i nostri cari, non abbattete i nostri ulivi, non piantate fotovoltaici, non infangate la nostra terra, non offendete i nostri santi, non sputate nei nostri piatti.
Siamo un popolo orgoglioso.
Siamo una famiglia troppo unita.
Siamo il camino dell’Italia.
Siamo la casa dei profughi e degli stranieri.
Siamo tanti e siamo unici.
Ma voi, ingrigiti dal cielo e dallo smog, invertebrati che festeggiano la nostra tragedia, che cazzo ne sapete di tutta questa anima che si chiama SUD.
Annalisa Tatarella su Facebook
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