TARANTO – Ma quali tangenti? Piuttosto «regali come segno di riconoscenza per il lavoro svolto». Così, uno degli ufficiali della Marina Militare arrestati ieri a Taranto, giustificava agli inquirenti le mazzette che intascava a cadenza settimanale da tutti i titolari delle imprese fornitrici della base navale di Taranto. «Regali» che corrispondevano al 10% fisso dell’importo della merce o dei servizi e che il capitano di fregata Roberto La Gioia, reo confesso collettore del pizzo, prendeva in consegna e dispensava ad altri sei graduati, suoi superiori o sottoposti e ad un funzionario civile del Ministero della difesa. Tutti destinatari delle laute riconoscenze degli imprenditori con un valore corrispondente al proprio numero di stellette sulla divisa o al ruolo che ricoprivano nell’ingranaggio burocratico deputato all’emissione dei mandati di pagamento alle imprese. Un sistema consolidato negli anni e accettato da tutti i fornitori quale presupposto indispensabile per lavorare con l’ente di Stato. Uno di loro, però, un imprenditore tarantino, non ha retto l’imposizione sterilizzando la chioccia d’oro che per anni ha dispensato ricchezze. Grazie alla sua denuncia ieri le manette sono scattate ai polsi di cinque ufficiali in servizio a Napoli, Roma e Taranto, un sottufficiale e un funzionario civile, entrambi impiegati a Taranto. Questi i loro nomi e rispettivi gradi: capitano di vascello Attilio Vecchi, di 54 anni (in servizio al Comando Logistico di Napoli); il capitano di fregata Riccardo Di Donna, di 45 anni (Stato Maggiore della Difesa-Roma); il capitano di fregata Marco Boccadamo, di 50 anni (Stato Maggiore Difesa-Roma); il capitano di fregata Giovanni Cusmano, di 47 anni (Maricentadd Taranto); il capitano di fregata Giuseppe Coroneo, di 46 anni (vice direttore Maricommi Taranto); il luogotenente Antonio Summa, di 53 anni (V reparto Maricommi Taranto); e Leandro De Benedectis, di 55 anni (dipendente civile di Maricommi Taranto).
Sono tutti indagati di concussione in concorso con il capitano di fregata Roberto La Gioia, di 46 anni, ex responsabile di Maricommi, primo ad essere arrestato il 12 marzo del 2104, ragioniere e dispensatore delle tangenti. L’ufficiale è attualmente sottoposto all’obbligo di firma. Da quel primo arresto i carabinieri del comando provinciale di Taranto che avevano avuto la soffiata dell’imprenditore stanco di versare la mazzetta, sono riusciti a tessere la tela conclusa con gli arresti di ieri. Nello studio del primo indagato gli investigatori coordinati dal pubblico ministero Maurizio Carbone che ha condotto le indagini, trovarono i registri dove il capitano La Gioia contabilizzava il numero delle tangenti con le percentuali e i relativi destinatari che sulla carta erano identificati con delle lettere. Fu lo stesso indagato, interrogato al pm, ad attribuire un nome e cognome ad ogni sigla. Difficile al momento quantificare esattamente il flusso di denaro finito negli anni nelle tasche dei militari infedeli. Al momento della perquisizione nell’ufficio del primo arrestato, i carabinieri trovarono banconote già suddivise in buste per un totale di 36 mila euro. A smascherarlo allora fu una mazzetta di duemila euro che l’imprenditore autore del tranello gli aveva consegnato prima dell’arrivo dei carabinieri che arrestarono il capitano con la flagranza di reato. Le successive indagini hanno poi permesso di fare una mappatura del sistema tangentizio con l’individuazione di almeno una dozzina d’imprese consapevoli di dover rinunciare al 10% degli introiti per soddisfare le richieste dei militari. Non solo soldi in contante, ma, su richiesta, anche elettrodomestici e buoni di benzina. Il senso d’impunibilità dei graduati permetteva loro di indirizzare le richieste di denaro attraverso sms o messaggistica dei social direttamente alle loro vittime.
Scontato l’imbarazzo dell’amministrazione della Marina Militare che ieri ha diffuso una nota in cui si esprime «sostegno all’azione della Magistratura» promettendo maggiore controllo al suo interno «finalizzato a prevenire e contrastare il fenomeno della corruzione».
Il «gruppo caramelle»
E’ il 20 febbraio del 2014. Il reparto della base navale della Marina Militare di Taranto diretto dal capitano di vascello Roberto La Gioia, (collettore delle tangenti che verrà arrestato un mese dopo), è soggetto di un’ispezione del Ministero della Difesa. L’ufficiale La Gioia si trova nel suo ufficio quando apre una conversazione su Whatsap con il capitano di fregata Marco Boccadamo, anche lui indagato, tra gli arrestati di ieri con l’accusa di concussione. I due ufficiali sono preoccupati per la presenza degli ispettori di Roma ma nonostante tutto ostentano sicurezza. «Preparatevi al meglio mi raccomando … e ricordate di far parte sempre del gruppo caramelle», scrive Boccadamo al collega La Gioia. Poi, entrambi, si raccomandano il silenzio: «…curate ogni minimo dettaglio e lingua chiusa tra i denti». Per il gip Pompeo Carriere che ha scritto e firmato l’ordinanza, con quella conversazione ritrovata nel telefonino di La Gioia al momento del suo arresto, «i due si scambiavano commenti salaci concordando sulla condotta omertosa da tenere al cospetto degli ispettori, a fronte di possibili rilievi».
Ancora più duro il giudizio del gip sull’attività infedele svolta dai militari indagati, quando, ponendoli alla stregua dei peggiori criminali descrive così le loro losche attività. «Un vero e proprio pizzo imposto sia alle singole imprese che all’intera economia locale sostanzialmente alla stregua dell’agire della malavita organizzata, ma con, in peggio e in più – continua il magistrato -, l’aggravante dell’essere tali deplorevoli condotte poste in essere da dipendenti dello Stato che hanno giurato fedeltà alla Repubblica e all’osservanza delle regole». Il gup Carriere riconosce poi, quale vittima principale del sistema, il tessuto imprenditoriale ed economico del territorio. Gli indagati, si legge ancora tra le 61 pagine dell’ordinanza, sono stati protagonisti «di fatti di concussione continuata di notevole gravità, posti in essere con ferrea determinazione a delinquere, invariabilmente nei confronti di tutti gli imprenditori assegnatari di appalti di servizi e forniture … con conseguenti gravi ripercussioni di carattere sociale ed economico … in tempi generali di crisi nazionale e locale ed ancor più nel contesto tarantino in cui la sofferenza delle imprese è ancor più accentuata».
In questa inchiesta è stata proprio la classe imprenditoriale ad avere dato un forte supporto agli inquirenti. Oltre all’imprenditore che con la sua prima denuncia e la trappola della mazzetta con i duemila euro «tracciati» ha scoperchiato il velo sul malaffare, altri undici titolari di piccole e medie imprese del tarantino hanno confermato l’elargizione del 10% sugli importi delle forniture quale presupposto per continuare ad avere commesse dall’ente militare. Il pm Maurizio Carbone ha raccolto la testimonianza di un imprenditore che, non avendo la possibilità di versare in banconote contanti, ha pagato la tangente richiesta con 800 euro in buoni di benzina. Chi non pagava il pizzo poteva scordarsi futuro nuove forniture e le procedure per il pagamento del materiale già consegnato prendevano tempi biblici. L’ordinanza del gip non quantifica il numero di chi, non pagando il pizzo, ha trovato in futuro le porte chiuse del reparto navale. Ma solo una minima parte, sottolinea il giudice: «com’è accaduto – si legge – a quei pochi imprenditori che hanno rifiutato di continuare a soggiacere a tale ricatto.
Nazareno Dinoi sul Corriere della Sera / Corriere del Mezzogiorno
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