Scoppia la polemica. Il polverone diventa antropologico e le terre arcaiche si trasformano in una sfrenata modernità, ovvero attualità.
La Notte della Taranta con la presenza di Belen Rodriguez e Stefano De Martino non è più Taranta? Mi sembra troppo ma troppo ingannevole sostenere una tale parvenza. Il solito manifesto contro affiora con la firma di 18 intellettuali ed altri. Con Belen e Stefano si snatura una storia? Si sradicano le radici? Si sgretola un mito e gli archetipi diventano transitori stelle sotto la notte? Ma no. Uno scavo antropologico non perde i suoi connotati per così poco. Una identità salentina non diventa pioggia irresistibile per una innovazione che è anche necessaria. Non sono le loro presenze a slacciare il legame tra culture della memoria e culture delle demoetnoantropologia. Sarebbe così fragile il passato dei popoli da sfuggire alla storia? Ma, dai. La Taranta è un processo antropologico che tocca le viscere delle civiltà e delle contaminazioni ed io che vivo i processi antropologici nella mia eredità conosco molto bene le diversità e le transizioni.
Una cultura muore nel momento in cui la propria “religiosità” ha smarrito il labirinto il focolare e il rimorso. Non alziamo barricate da leggerezza ideologica. La Notte della Taranta vivrà se quelle radici non diventano folclore. Trasformare la Taranta in folclore è uccidere la metafisica della tradizione. Non mi pare che possano essere Belen e il De Martino (un cognome antropologico) a svilire una TRADIZIONE come ontologia laica di un processo letterario, musicale, filosofico, ovvero ancestrale. Siamo figli e gigli della terra e naviganti di mari nel Mediterraneo del pensiero forte.
Basta con questi appelli da intellettuali sessantottini. Troppo inutili. Troppo consumati. Pensiamo a innovare nella vera TRADIZIONE. Solo così è possibile tradurre un codice antropologico in una antropologia del vissuto oggi e non in una archeologia spenta. Sto con Belen e De Martino. Il resto è polvere senza vento.
Pierfranco Bruni