Si è stati civiltà Magno Greca, prima di tutto, e lungo i tratturi o le rotte di queste genti si sono segnati i passi. I castelli, per fare un esempio, rappresentano un’epoca intermedia (mi riferisco alla realtà normanna e federiciana) rispetto alla vera struttura monumentale rinascimentale e barocca. Ma un territorio va “risistemato” nella sua complessità. Credo che occorrerebbe superare i progetti – confine. Non si può più prendere, nel campo dei beni culturali, un periodo della storia e analizzarlo. Questi sono modelli scolastici che andrebbero, nella traduzione di una lettura sul territorio, completamente superati. Anzi sono già superati.
Un territorio conscio di conservare risorse storiche (archeologiche, monumentali ma anche antropologiche e linguistiche) deve essere “visualizzato” e interpretato in tutte quelle espressioni che hanno permesso di documentarsi con delle matrici identitarie. Se si pensa di focalizzare l’attenzione solo su una struttura, pur avviando un processo in sintonia con tutta una realtà territoriale, non considerando le diverse tappe che hanno formato una civiltà all’interno di una comunità, credo che sia ormai un dato errato.
I percorsi normanni, svevi, barocchi e così via non si reggono storicamente e strutturalmente isolati da un contesto e da una temperie che vivono sul territorio. Bisogna operare in una visione di omogeneità. È intorno ad un progetto etico che si può ridefinire il ruolo dei beni culturali all’interno dei territori. Soprattutto nel Sud questa consapevolezza deve portare ad un nuovo modo di confrontarsi con la storia e con quel patrimonio che resta, comunque, radicamento di un popolo e di una civiltà. Nelle aree meridionali i beni culturali sono una risorsa e una vocazione. Sono quella ricchezza che si integra con i paesaggi (anch’essi beni culturali: mare e montagna), con la natura, con la geografia del territorio stesso.
I territori sono i veri depositari dei testamenti delle epoche e delle civiltà. Focalizzare una tale questione significa, tra l’altro, definire un’idea portante di cultura all’interno di ciò che è stato un vissuto e che dovrà essere futuro attraverso gli strumenti dell’organizzazione, della progettualità, dei saperi. La comparazione tra archeologia ed etno – antropologia è fondamentale: si tratta di un solo esempio. I beni culturali sono reale prospettiva all’interno di quattro presupposti principali: liberalizzazione nella gestione dei musei, attenzione fondamentale al bene culturale non solo come dato di ricerca ma come elemento valorizzante di un territorio, maggiore dialogo tra cultura e politiche di investimento, interazione tra i vari campi degli studi.
Bisogna fare in modo di recuperare il Mediterraneo delle etnie nelle archeologie. Questo è il punto, perché le etnie storiche hanno un senso nello sviluppo che i popoli hanno dichiarato lungo i secoli. Secoli che sono state e sono epoche.
Il Mediterraneo è fatto di epoche e parla attraverso le epoche , ma le epoche sono una espressione di interpretazioni e di letture puramente etniche. Da questo punto di vista la chiave di lettura antropologica resta, nonostante le crisi religiose e ideologiche, il dato centrale per entrare tra le onde dei marti vissuto e decifrare una storia che, comunque, è sempre la nostra storia.
Senza una valenza antropologica neppure la storia avrà senso.
Pierfranco Bruni