In letteratura non ci sono elementi scientifici. Ma percettivi. Intuitivi. Emozionali. Ed è così. “Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede!” : Pirandello. La vita è fatta di pioggia che batte a scroscii sui vetri degli occhiali e quando la pioggia smette i vetri restano tutti ombrati. Le ombre camminano e sgusciano dagli angoli. Perché si scrive o si cerca di rappresentarsi? “Si scrive per non morire del tutto, per non morire subito poiché tutto deperisce, ci suggerisce Ionesco.
Una volta, ricordo ora. Non tanto tempo fa visse un personaggio che cercava di vendere la menzogna per verità e la indecenza per decoro. Non so se mi è capitato di leggerlo in Pirandello o in Ionesco o Kafka o Dostoeviskij.
Si parte da questa considerazione che Pirandello ha ben conosciuto: “Per rendere la verità più verosimile, bisogna assolutamente mescolarvi un po’ di menzogna”, è Dostoeviskij che cesella.
Comunque il personaggio c’è o c’era.
Questo personaggio si chiamava Frida.
Pensava di dare lezioni di etica portando come esempio la propria vita. Mai rendere la propria vita un personaggio. Si nasce personaggio. Ed io sono nato tale. Ah come osservo con attenzione Antonio De Curtis (Totò) e i suoi sceicchi o il Totò che dice: “La mia faccia non mi è nuova, ce l’ho da quando sono nato”. Restiamo comunque sempre nelle maschere. In quelle maschere che conoscono la verità: “La verità invece ha un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio”, ammonisce Musil.
Pirandello, Pessoa, Ionesco, Kafka sono una merafisica nell’assurdo delle ironie. De Filippo e Totò son il riso del tragico che non raggiunge il sorriso per la consapevolezza del drama dell’esistere nel cerchio dell’inquieto di Pessoa. Pesos è lo stratega della cercata e ricerca doppia contraddizione: “Chi di noi, voltandosi indietro sulla strada da cui non c’è ritorno, può dire di averla seguita come avrebbe dovuto?” . Perché? La lezione è offerta da Eduardo De Filippo: ““Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare un senso alla vita”.
Allora andiamo Avanti. Una mattina scoppiò un temporale e il mare si infuriò. Le onde portarono via le pagine del suo diario custodito tra le pieghe della notte. Il mattino e la notte si confusero o si scambiarono, volontariamente o meno non ci è dato saperlo, i luoghi, le ore, la luce e l’ombra.Alcuni frammenti di quel diario mi sono arrivati per posta.
Mi lascio influenzare da Mattia Pascal. C’è sempre un Pascal che diventa inquietudine. Perchè poi Pascal? Pascal? Metafore che sintrecciano. Metafore che fingono finzioni. Mattia – matto? Pascal – Blaise Pascal.
Ci sono sempre confessioni. Nella vita come nel teatro perché diceva Eduardo De Filippo: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male” e Pascal, il filosofo: “Tra noi e l’inferno o il cielo c’è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo”.
Frammenti di diario… Sono stati spediti da una città chiamata Idiozia.
Il timbro postale di partenza porta una via: Via della Cattiveria.
Dopo alcuni mesi ho riletto quelle pagine. E ora sono qui. Non mi turbano. Nulla mi turba con la mia eretica nata a D’Avila. Il turbamento è per gli sciocchi.
La verità bisogna conoscerla. Tutta. Ma c’è sempre il tempo. Galantuomo.
È proprio vero?
Blaise Pascal, comunque, ci consegna questa perla: “Noi conosciamo la Verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore. In quest’ultimo modo conosciamo i princípi primi; e invano il ragionamento, che non vi ha parte, cerca d’impugnare la certezza”.
Non ho dubbi però. Tra pirati veri e gli imbroglioni c’è la pioggia. Io non ho mai amato gli imbroglioni. Ho sempre guardato negli occhi e non mi sono mai nascosto.
I pirati sono nella mia vita. Chiamatemi pirata, se vi pare. Se proprio insistite a chiamarmi maestro. Un Pirato Maestro. Lo sono! Per la vita che ho fatto.
So che i personaggi per difendere la propria indecenza sono disposti a barattare il pudore con la lealtà, l’impudicizia con l’onesta. Nuovamente ritornano Pirandello Ionesco Kafka Musil…
Ci sono momenti in cui bisognerebbe smettere il silenzio.
Ci sono momenti in cui bisognerebbe avere il coraggio di guardare negli occhi.
Ci sono momenti in cui soltanto per semplice decenza bisognerebbe non usare il termine decenza.
Ci sono momenti in cui si può perdere il decoro per uno scatto di rabbia. Ma la verità è sempre un’altra
Si è nobili se si ha il coraggio di confrontare i dubbi con ciò che gli altri pensano che sia verità. Ci vuole poco a toccare il fondo. E lo si tocca quando non c’è serenità o quando non si comprende il termine di onestà, vergogna, amore e disamore, aristocrazia del sapere e il sapere della volontà.
Ci sono sempre tentativi di provocazione, ma la saggezza è ascoltare senza mai cadere nella tempesta dell’ira.
La verità è un mosaico. E ognuno di noi ha una storia o è una storia.
Guardiamoci intorno e dentro. Ci sono tradizioni che si ereditano e vergogne che si comprano e che si attraversano e si vendono senza avere consapevolezza.
Ci sono limiti invalicabili.
Da una parte la decenza e dall’altra la nobiltà. La nobiltà non si improvvisa e la recita ha sempre un doppio. I sonagli tintillano sui berretti.
Bisogna restare sereni per conoscere, perchè le bugie fatte passare per tentativi di verità o per mezze verità o per verità di comodo, distribuiscono segni di disonore.
Il disonore è umiliante per sé, per le famiglie, per i figli, per i padri, le madri, i nonni, le generazioni che verranno.
Tutto il resto non sta nel gioco del giusto o del ridicolo. Nascondiamo tutto nella giara.
Per decenza bisognerebbe semplicemente fare silenzio. Se non si conosce non si ha il diritto di parlare. Si ha il dovere di tacere: se c’è serenità e serietà. Quando questi due emisferi mancano il inguaggio della superbia diventa rabbia, tempesta, vento. Ma attenzione. Non solo si vende ciò che si ha ma chi distribuisce sabbia raccoglie macigni.
Dice un antico proverbio sufi: “Se la parola che stai per pronunciare non è più bella del silenzio, non dirla”. E questa parola ha tante verità che non bisognerebbe dimenticare.
Io so un altra verità che solo a pronunciarla diventa inferno. E diventando inferno si tocca la disperazione dell’anima, perchè dietro questa disperazione dell’anima, perchè dietro questa verità che io conosco c’è un inganno terribile che cammina lungo gli anni e ha toccato il demone. Poi il sottosuolo. Pirandello diventa così Dostoewskij. Come si uscirà da questo “caos”. Attraversando il labirinto…
Io conosco questa verità fatta di inganno. Si è sempre nessuno centomila e uno. Ovvero Ulisse, gregge, solitudine… Perchè “La vera solitudine, stabilisce Pirandello, è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi” .
Solo i demoni possono entrare nel sottosuolo dell’anima e senza metafisca. Custodisco il silenzio di mio padre e la cura di mia madre. Sono I gigantic che conoscono la montagna e il mare.
C’è una differenza tra il mistero e il segreto. lo sono entrato in questo segreto e ho trovato la chiave.
La vita la si vive quotidianamente. Cosi è.
Cercare il silenzio per non dare ai fatti la rivelazione dell’inganno.
L’inganno è non solo rivelante ma anche rilevante. Ogni oltre sortilegio.
C’è il dito e c’è la luna. La solita storiella.
L’imbecille guarda il dito. Il saggio la luna. Dunque, si gira!
Cosi è, certo. Anche se non vi pare! Io non so se sto tra I vecchi e I giovani. Ma sono un Gattopardo e resto comenque nella mia solitudine, in un passaggio di epoche, a guardare le stele come don Fabrizio.
Già, Pirandello è anche in Tomasi di Lampedusa! L’inganno e la maschera per un un Tomasi di Lampedusa che afferma: “La facoltà di ingannare se stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri “.
Comunque restiamo alla ricerca del personaggio. Quindi siamo sulla scena di un teatro che è sempre la vita. Ancora un ricordo di Eduardo De Filippo: “Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!”.
Personaggio non si diventa. Si nasce.
Ed io lo nacqui!
Metaforizzo così la famosa frase di Antonio De Curtis – Totò: “Dove l’ignoranza urla, l’intelligenza tace. È una questione di stile: Signori si nasce… Stronzi pure!”.
Siamo nel pirandellismo puro che ha guidato questo mio scritto senza mai perdere di vista i fantasmi e le fantasie.
Il gioco è nella morte della tragedia in malinconia. È certo che personaggi si nasce.
Che fine ha fatto Frida? Ora legge il libro dell’inquietudine di Pessoa.
“…un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così”, dice Pirandello. Perché “La verità reale è sempre inverosimile”, ci ricorda ancora Dostoevskij.
Pierfranco Bruni