N.B.: gli utilizzi delle piante di cui si tratta in questo articolo hanno unicamente valenza documentaria antropologico-folkloristica
La Malva selvatica (Malva sylvestris) è largamente presente allo stato spontaneo nel periodo da maggio ad agosto nelle nostre campagne, negli incolti e lungo i cigli delle strade. Balza subito agli occhi per via dei suoi appariscenti fiori roseo-violacei.
E’ pianta conosciuta e molto impiegata, sin dall’antichità, per le sue proprietà antiinfiammatorie, emollienti, espettoranti, rinfrescanti dell’intestino, lassative.
Aveva largo impiego popolare contro tosse, asma, bronchite, faringite.
Alcuni nomi dialettali salentini della malva: fiurèddu, màrula, marva, màrvala, màrvula, màurla.
Il poeta Esiodo e il filosofo e botanico Teofrasto la citano come cibo e medicina dei poveri nell’ambito della Grecia antica. Pitagora indicava una pietanza usata a scopi nutritivi e per estinguere la sete a base di semi di cocomero, uva passa, malva, porcellana, fiori di coriandolo, cacio grattugiato, polline di farro, crema di latte e miele.
Marziale riferisce che in epoca romana era utilizzata per neutralizzare gli effetti delle nottate trascorse a bere e mangiare smoderatamente.
Plinio la considerava una panacea per molti mali: a scopo preventivo, era utile, secondo il naturalista latino, berne ogni giorno il succo. Nel Rinascimento era soprannominata omnimorba (“per tutti i mali”, appunto). Questo detto si ritrova anche nella tradizione tarantina, laddove si dice “a marve d’ogni male sarve” (la malva da ogni male salva).
A scopo medicinale, la malva era utilizzata, nella tradizione popolare, in infuso (di foglie e fiori insieme), come antiinfiammatorio per problemi della bocca, gola e intestino; come impiastro di foglie fresche, per gli ascessi. A Lecce esisteva il detto: “malva e fichi pe’ la tosse, papàgna pe’ durmire, cicoria e rucula pe’ digerire”.
La Scuola Medica Salernitana la indicava anche come rimedio per facilitare il flusso mestruale.
Nella tradizione popolare, un decotto antiinfiammatorio veniva preparato facendo bollire per 10 minuti: malva, cortecce di limone, d’arancia e di mandarino.
Per curare gli ascessi, nei dintorni di Manduria veniva preparato un impiastro di foglie fresche di malva, oppure un impiastro con: malva cotta, lampascioni crudi tagliuzzati, pane cotto e… sterco di colombo!
Le radici di malva venivano impiegate per guarire dalla tosse, e si riteneva fossero portentose a tal scopo; venivano bollite nel latte e ingerite come una minestra, e in cinque giorni avrebbero risolto il problema.
La tisana dei quattro fiori per curare le malattie da raffreddamento impiegava rosolaccio, malva, farfara, piede di gatto, verbasco, altea, viola mammola.
I contadini utilizzavano le foglie di malva per estrarre i pungiglioni di vespa.
La linfa gommosa della pianta veniva ridotta in poltiglia e utilizzata come crema rinfrescante per il viso.
Per la cura dei foruncoli, si preparava una pomata mettendo insieme foglie di malva e mollica di pane bollite nella “pignata” e amalgamate con olio d’oliva.
Venivano mangiati anche i frutti freschi della malva, appena raccolti, e nei vari dialetti venivano indicati con nomi che richiamano il pane: pagnuttedda, panettu di Sant’Antonio, panèttu, pani ti Spagna, panittùddu, ecc.
In ambito medico-magico, Il solo toccare un dente ammalato con una radice di malva, si credeva potesse far cessare le nevralgie.
La radice veniva avvolta in lana scura e portata come amuleto: si credeva, che così potesse curare le affezioni alle mammelle.
Per guarire dalla gonorrea, si credeva che bastasse legarsi al braccio un sacchettino contenente semi di malva.
La decozione mucillaginosa di Malva era raccomandata per contrastare gli effetti collaterali della ingestione di Cantaridi (Lytta vescicatoria) a fini afrodisiaci (una pericolosa pratica in auge in tutta Europa, Salento compreso, in epoca medioevale e rinascimentale).
La malva trovava impiego nell’ambito della magia e della medicina popolare anche nei preparati afrodisiaci, sebbene spesso non come agente afrodisiaco ma come ingrediente (o come rimedio post-assunzione di afrodisiaci) coadiuvante gli ingredienti principali e finalizzato a contrastare effetti collaterali indesiderati delle preparazioni. Tuttavia, Plinio le attribuiva poteri afrodisiaci diretti, e Senocrate riferiva che i semi di malva non solo erano utili per curare i disturbi femminili, ma avevano anche il potere di aumentare il desiderio sessuale. Sempre al fine di aumentare il desiderio sessuale, si usava legare “tre radici vicino al sesso”.
Foglie di malva e di basilico insieme a petali di rosa appassiti all’ombra, semi di calamo e farina di grano sono riportati in una antica ricetta di una “crema per facilitare l’erezione”. Un bagno tiepido di acqua di Malva in cui immergere il pene è consigliato subito dopo l’utilizzo di altra ricetta “per indurire il pene”, al fine di contrastare gli effetti indesiderati (infiammazioni) della ricetta a forte effetto termico. Un filtro per favorire l’eros in una donna frigida comprendeva un pugno di malva e altri ingredienti insieme alla polvere di cantaride. Semi di Malva vengono impiegati insieme a numerosi altri ingredienti anche nella preparazione di un antico elettuario contro la sterilità femminile.
Come altre piante, la malva gode di fama ambivalente rispetto ai suoi impieghi nell’ambito della sessualità: il Cattabiani riferisce che nel Medioevo e nel Rinascimento si era diffusa anche la convinzione che avesse poteri anafrodisiaci e che favorisse una condotta calma e sobria.
In un libro attribuito ad Alberto Magno, il De secretis mulierum, è riportato che la malva ha la magica proprietà di svelare se una fanciulla è vergine o meno: a tal scopo, la fanciulla doveva essere costretta ad urinare sulla pianta, e se la pianta fosse seccata, quello sarebbe stato il segnale che la fanciulla non era più vergine.
Nella poesia ottocentesca, la malva è simbolo dell’amore materno e della mansuetudine (in corrispondenza, secondo il Cattabiani, alle sue proprietà medicinali).
Altra curiosità (che sebbene possa essere interpretata come di tipo magico è spiegabile e spiegata in botanica e fisiologia vegetale attraverso una reazione tipica delle piante detta fototropismo), la malva è tra le piante dette eliotropiche, poiché orienta i suoi fiori sul corso del sole.
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
Domenico Nardone, Nunzia Maria Ditonno, Santina Lamusta Fave e favelle, le piante della Puglia peninsulare nelle voci dialettali in uso e di tradizione, Centro di Studi Salentini, Lecce, 2012
Giuseppe Cassano Ràdeche vecchie Proverbi moti frasi indovinelli dialettali credenze e giochi popolari tarantini, Stab. Tipografico Ruggieri, Taranto, 1935
Salvatore Pezzella, Magia delle Erbe, Vol.1, Edizioni Mediterranee, 1993
Gianfranco Mele, Maurizio Nocera, La magia nel Salento, Fondo Verri Edizioni, 2018
Enrico Malizia, Ricettario delle streghe, Edizioni Mediterranee, 2003
Alfredo Cattabiani, Florario. Miti, leggende e simboli di fiori e piante, Mondadori Editore, 1996