L’apertura dell’Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede compie venti anni.Cinema e Inquisizione romana: un discorso da rileggere. Di Pierfranco Bruni
A venti anni dall’apertura dell’ Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede la storia della Inquisizione è un capitolo di una importanza straordinaria per comprendere la civiltà politica delle Chiese. Può essere letta attraversandola da diverse angolature e da diversi modelli interpretativi, ma resta all’interno dei processi culturali non solo ecclesiastici. Dalla storia tout court alla letteratura. Dalle arti al cinema. Dalla teologia alla filosofia. La storia è ideologia. Anche quando penetra la letteratura cinematografica. Soprattutto perché l’impatto diviene immediato.
L’immagine come dimensione di un raccontare la storia. Nel tema specifico ci sono aspetti che sono stati attraversati sia per dare risalto a processi storici veri e propri sia per dare un senso ai nuovi effetti speciali servendosi sempre di riferimenti che hanno alla base l’elemento storico.
In questo particolare percorso la filmografia ha dovuto fare i conti, per la maggior parte delle sue proposte, con la letteratura.
Infatti il cinema realizza il suo scavo all’interno di una definizione di linguaggi. Il linguaggio cinematografico ha una sua profonda eredità che nasce dal linguaggio narrante anche se il linguaggio e il narrato filmico, in più occasioni, non rispetto fedelmente il tracciato letterario.
“Il nome della rosa” del 1986 è uno di quei testi che potrebbe essere preso come esempio, non solo come rottura di schemi tra l’immagine e la trama narrante nel libro, ma soprattutto come interpretazione perfettamente ideologica alla questiono della Inquisizione in una chiave di lettura forzata su riferimenti storici che vengono volutamente traviati.
Credo che sia errato considerare il processo inquisitorio come processo eretico soltanto. “Il nome della rosa” è un romanzo perfettamente ideologico che ha dato vita ad un film ancora di più ideologizzato e questo proprio partendo da un concetto di Umberto Eco che è fuorviante: “Tutte le eresie sono bandiera di una realtà dell’esclusione. Gratta l’eresia, troverai l’emarginato. Ogni battaglia contro l’eresia vuole solamente questo: che l’emarginato rimanga tale”.
Non concordo assolutamente. Eresia ed emarginazione sono due concetti completamente articolati e antropologicamente diversi. L’Eresia nasce da una visione anche metafisica delle culture ed ha come principio portante una visione pre e post religiosa. La Emarginazione è un pendaglio sociologico e quindi, come sempre avviene in una concezione materialistica, diventa una interpretazione ideologica.
Si è eretici non nei confronti di Cristo, bensì nei confronti della struttura della Chiesa. Si tratta di due letture che esprimono posizioni divergenti. Altra è la visione di San Tommaso D’Aquino quando afferma: “Soltanto Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, esiste da tutta l‘eternità. Ciò infatti ritiene come verità indubitabile la fede cattolica, e ogni asserzione contraria va rigettata come eretica. Dio infatti nel creare le cose le ha prodotte dal nulla, cioè dopo che c‘era stato il nulla”.
Ecco qui siamo nella eresia vera e propria. La filmografia dedicata alla Inquisizione ha considerato purtroppo più gli aspetti spettacolari che quelli formalmente fedeli alla storia. Un dibattito che interessa i vari aspetti della Inquisizione come il caso del film “Padrona del suo destino” del 1998 o “L’opera in nero” del 1988.
A iniziare dal 1943 con “Dies irae” si entra in un intreccio in cui la Inquisizione si apre ad intreccio e tocca elementi che non sono italiani, ma spagnoli. Questo aspetto sarebbe da chiarire sino ad uno dei recenti fil dal titolo: “Sangue del mio sangue” del 2015. Ma il discorso è molto più ampio e certamente ritornerò sulla questione nei prossimi mesi con alcuni miei saggi.
E’ naturale, come già sottolineato, che la spettacolarizzazione ha il sopravvento, il cinema è immaginario e immagine, ma proprio approfondendo tali solchi la critica dovrebbe essere puntuale in una interpretazione da condurre su direttrici storiche e documentate.
È su ciò che la discussione resta completamente aperta per giungere ad un mosaico di scientificità. Questo significa che diventa pregiudizio il concetto di inquisizione usato nella letteratura e nel cinema. “Spesso sono gli inquisitori a creare gli eretici”, una visione manieristica che troviamo ancora in “Il nome della rosa”, infatti la frase è di Umberto Eco.
Si contrappone a ciò, felicemente, un concetto di Benedetto XVI che sottolinea: “Bisogna assolutamente suscitare di nuovo la gioia di possedere intatta nella sua realtà la società di fede che proviene da Gesù Cristo. È necessario riscoprire la via di luce che è la storia dei santi, la storia di questa realtà magnifica in cui si è espressa vittoriosamente lungo i secoli la gioia del Vangelo. Se qualcuno, quando si evoca il Medioevo, non trova altro nella sua memoria che il ricordo dell’Inquisizione, bisogna chiedergli dove ha gli occhi: è possibile che tali cattedrali, tali immagini dell’eterno, piene di luce e di una dignità tranquilla, avessero potuto sorgere se la fede fosse stata solo tortura per gli uomini?”.
Una antropologia dei comportamenti è nel vissuto di una tale testimonianze. Oggi bisogna capire per poter chiarire e conoscere per andare oltre gli schemi. Il cinema ci propone una interpretazione che va, comunque, letta.
Credo che anche il cinema dovrebbe partire da questa sottolineatura per poter leggere con più decisione la storia non della chiesa soltanto, ma la storia della cristianità. Victor Hugo ebbe a dire: “La libertà di amare non è meno sacra della libertà di pensare. Ciò che oggi si chiama adulterio, un tempo si chiamava eresia”.
A vent’anni (2018) dall’apertura dell’ACDF (Archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede) dovremmo poter leggere la storia della Inquisizione in tutte le sue prospettive. Prospettive che danno un senso articolato non ad un immaginario ma ad un dato storico.
Davanti ad alcuni versi di Franco Battiato, tratti da “Auto da Fè, n. 2, che dicono: “E’ sceso il buio nelle nostre coscienze, | e ha reso apocrifa la nostra relazione, | vorrei innestare il modo dell’indifferenza, | e allontanarmi da te, | per presentarmi innanzi al tribunale | di una nuova inquisizione: | faccio un’ Auto da Fé, | dei miei innamoramenti, | un’Auto da Fé, | voglio praticare il sesso senza sentimenti”, è da condividere il fatto che le arti cinematografiche e le arti visive offrono la possibilità di una lettura certa.
Su questo versante uno scavo antropologico ci mostra la struttura delle epoche e delle realtà che si sono confrontate con il mondo della Chiesa. Ma forse il discorso si dovrebbe aprire da un concetto molto importante di Vilfredo Pareto: ““Il rimanere fedele alla propria fede si dice perseveranza, se la fede è ortodossa; ostinazione, se è eretica”.
In realtà credo che il cinema abbia giocato un ruolo in negativo nel raccontare – rappresentare i processi inquisitori. Troppe finzioni e poche verità. Macchina dell’immaginario e del trasgressivo, ha mostrato, e rappresentato, storie troppo immediate e cruenti (a mo’ di fiction) con poche verità e tanti effetti che hanno condotto alla suggestionabilità.
Pierfranco Bruni