giovedì 26 Dicembre, 2024 - 11:44:28

Pierfranco Bruni da De André a Tenco da Califano a Battiato ha raccontato la letteratura come se parlasse di poesia.

Pierfranco Bruni

ROMA – Pierfranco Bruni racconta i cantautori sul filo della letteratura. Da Califano a Tenco. La canzone d’autore nell’intreccio con la poesia. Può un poeta non sentirsi poeta? Può schernirsi dicendo che non è un poeta perché “non ha che lacrime da offrire al Silenzio” (S. Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale). E si potrebbe continuare a dire che “le mie tristezze sono povere tristezze comuni.

Le mie gioie furono semplici…Io amo la vita semplice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava!” Non è questo in fondo ciò che ha fatto Franco Califano?

Da qui sembra coerente e condivisa l’affermazione di Pierfranco Bruni, apparentemente enfatica e paradossale, che “Era il tempo dei cantautori, quelli che hanno salvato la poesia”.

In realtà la diatriba se le canzoni d’autore sono o non sono poesia risale agli anni ’60, alla nascita e allo sviluppo proprio della canzone d’autore….Ricordiamo, per esempio, Luigi Tenco (più volte nominato, soprattutto nella seconda parte, dal nostro autore)…

Non lo citiamo a caso perché, al di là del fatto che morì di morte violenta (non entriamo in questo momento nelle varie tesi del suicidio o meno), ha dei tratti comuni con F. Califano da un lato e C. Pavese dall’altro (uno scrittore ben noto a Pierfranco Bruni a cui ha dedicato una sua precedente pubblicazione): un senso della vita fortemente concreto ed espressione delle problematiche esistenziali (confronto tra individuo e realtà e individuo e individuo), inoltre un rapporto problematico con le donne e l’amore. Ma ciò che ci colpisce maggiormente a livello formale è la limpidezza linguistica, che al tempo stesso era fonte di profonda poetica, frutto della scelta di parole apparentemente semplici e immediate. Una differenza però la troviamo non nella tematica amorosa, ma nel ruolo della donna e del rapporto del poeta con essa, che realizza in questo sentimento, almeno in Califano, (con “Sulla punta di una matita non sono passati secoli” , Il Coscile), lo specchio della sua visione poetica ed esistenziale; in Tenco e Pavese, invece, si risolve nell’impossibilità di realizzare un amore autentico con la donna.

Sembra, dalle parole dell’autore, che ci sia stato un tempo, quello degli anni ’60, in cui la canzone cantautorale abbia rotto gli steccati tra la letteratura d’impegno, in particolare la poesia ritenuta elitaria, e la “canzone poetica” che provocava emozioni in chi viveva d’emozioni, o come dice l’autore, era l’emozione stessa.

Si può tentare di delineare una sorta di storia del Canzoniere come insieme coerente di poesie che raccontano un percorso poetico, insieme esistenziale e stilistico, partendo proprio da Petrarca, continuando con G. Leopardi e arrivando a U. Saba. Brano dopo brano in questi autori si delinea una vita, quella soggettiva ed unica che ha creato in alcuni casi un io poetico, egocentrico e ossessivamente autoreferenziale, come quello petrarchesco, una sorta di diario in rima; o una visione della poesia come una salvezza dal dolore esistenziale che tentenna sempre tra infinito soggettivo o mentale e ricerca di una valore, comune a tutti gli uomini, per accettare l’infelicità come nella raccolta dei “Canti” leopardiani; o infine un “Canzoniere” più dichiaratamente psicanalitico, che sonda l’anima del poeta e la canta come simbolo della condizione umana, dolente ma in qualche modo dignitosa di fronte alla verità come quello di U. Saba. Su tutti sovrasta la parola musicale che suggerisce o alleggerisce il peso del vivere.

Alla domanda iniziale che viene da una poesia di S. Corazzini: Perché mi dici poeta? La risposta non è razionale ma emotiva in quanto ispirata anche da elementi accessori, come il suono, per esempio, che apre le chiavi del cuore ancora prima della comprensione di un testo, o come un’immagine a volte semplice, immediata che richiama alla memoria di chi ascolta una “propria” immagine, e per questo commuove, ma soprattutto come la verità sottesa alle parole, che arriva all’anima in modo diretto alcune volte passando dallo stomaco, con violenza…

Questo era F. Califano, come dice P. Bruni, “un personaggio della canzone vera” con atteggiamenti che ricordano i poeti maledetti, sopra le righe, provocatorio, ironico, dissacrante, immediato nella sua sfacciataggine ma soprattutto vero. Questo suo modo di essere nascondeva senz’altro una sofferenza del vivere ma anche di fare a pugni con la vita, con la sua aria da combattente che non nascondeva i muscoli; rivolto alle piacevolezze della vita ne assaporava tutti i risvolti, anche quelli negativi, facendo bilanci amari ma pronto a scommetterci ancora.

Non citerò a questo punto brani di canzoni già citate dal nostro autore anche perché senza la musica sarebbero sterile cosa e solo una ripetizione del già detto, ma mi soffermerò a questo punto solo su alcune suggestioni legate ai titoli dei paragrafi che sintetizzano in maniera efficace il percorso di vita e poesia di Califano proprio citando titoli o versi delle sue canzoni.

Il primo: Franco Califano e “gli appunti sull’anima”; la parola “appunti” ci ricorda che gli attimi, gli incontri segnano più di una costruita strategia di vita, così l’incontro del nostro con il cantante che sente amico…

Il secondo: Bisogna sentire e vivere “il tempo piccolo” delle esistenze; nella dimensione dell’umano quotidiano il lungo tempo dell’esistenza può allungarsi o abbreviarsi a seconda del peso dell’esperienza vissuta, il tempo, cioè, si dilata se vissuto intensamente, se non è “occupato”, senecanamente parlando, ma impegnato nella totalità del sentire così da essere malinconia, dimenticanza, oblio e noia, mai chiusura…

Il terzo: La sua “passione nei secoli”; lo studio della parola in Califano, come l’efficace ritornello “Tutto il resto è noia”, non nasce da giochi letterari ma da entusiasmi sfiammati in rituali stanchi, dall’eccitazione che sa già di lontananza, che si colora dell’amaro del distacco che sa inevitabile, dalla mancanza di sforzo di accettare la fine come armonica conclusione delle passioni, che si ripetono nel tempo come una normale avventura esistenziale…

Il quarto: Il Mediterraneo dei viaggi in Califano; un tema caro al nostro autore, quello del viaggio, di un viaggio con un possibile e auspicabile ritorno perché include una meta oltre che un percorso ed è un percorso che ci porta da Oriente ad Occidente, metaforico e reale, in cui convogliare crocevia di linguaggi che diventano canto…

Il quinto: Di passioni e di amori; come può un amore trasformarsi in poesia e in più in poesia da cantare? E’ di solito un amore finito, ma non amaramente perché ha alimentato la gioia di raggiungere l’ineffabile, la perfezione ed è possibile che essa risieda proprio nella stessa finitezza dell’amore; è l’inappagato desiderio che continua a rinascere ogni volta e che per questa sua necessaria ripetitività sembra essere eterno; è la sfrontata ricerca della verità di cui non si ha paura ma anzi si aspetta con ansia che si ripeta ancora…

Il sesto: Franco Califano e il mistero dell’amore come dono; anche in questo caso valgono le riflessioni già espresse per il paragrafo precedente.

E si continua poi con “…saprò essere il tuo poi…”, “Non sono passati mica secoli”, “Io per amarti” ti porterò una collana di stelle, in cui P. Bruni parla di Califano come di un viaggiatore tra le emozioni e sono quelle del padre, di una donna, dell’amore per l’amore, del suo raccontarsi nell’accento “primitivo” del vocabolario, e infine Una preghiera: Dio fai in modo che lei rimanga nella mia vita, che contempla il tema fondamentale di tutta la produzione di Califano, l’amore condensato nello sguardo: “Il Dio pregato porta gli occhi negli occhi e salva sempre”; è il Califano più recente che ancora sempre e fino all’ultimo dedica la sua vita all’amore, all’amore come ricerca, come abbandono, come dimensione dell’essere, come richiamo continuo alla nostalgia, al bisogno di vivere ancora con l’infinità del desiderio, la magia che solo gli uomini sanno creare e di cui, quando non c’è, sentono dolorosamente la mancanza.

E’ questo l’unico tema del viaggio poetico di Franco Califano e se egli è stato poeta è perché è riuscito a non farsi schiacciare dalla malinconia, ma ha saputo temperarla con l’ironia che lo salva dal compiacimento del dolore per vivere pienamente e senza timori…

Usando per l’ultima volta le parole dello stesso Califano, citate da Pierrfranco Bruni, “io vivo soltanto per essere me” e … “Tutto il resto è noia”. Ma Bruni da De André a Tenco (il quale resta riferimento), da Califano a Battiato ha raccontato la letteratura come se parlasse di poesia.

Angela Lo Passo

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