Anche in questa ultima fatica letteraria di Pierfranco Bruni dal titolo Luisa portava in una mano una scarpetta di lana (Tabula Fati) gli elementi ci sono tutti per affascinare nella drammatizzazione dell’anima attraverso un esperienziale e memorabile viaggio nell’umano e nel disumano.
Pagine che penetrano, con impareggiabile immedesimazione, quelli che sono i temi elettivi maggiormente indagati dall’acume analitico bruniano, ossia tragedie aventi per protagonisti l’Amore e le Donne. Figure di sensuale femminilità che vivono con incondizionata devozione un sentimento totalizzante, vittime di una politica contaminata dal cieco pregiudizio dell’ideologia.
Così in Claretta e Ben, così in Luisa portava in una mano una scarpetta di lana. Un libro che racconta, con la straziante suggestione di un romanzo, l’angosciosa vicenda storica dei due divi del cinema Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, trucidati dai partigiani a guerra ultimata in quanto accusati di collaborazionismo fascista. Sembrerebbe che l’ordine a procedere «venne direttamente dal C.L.N.A.I. nella persona di Sandro Pertini» (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Luisa_Ferida). Accuse che decaddero successivamente, tant’è che fu riconosciuta alla madre di Luisa la pensione di guerra dal Ministero del Tesoro a dimostrazione della totale innocenza della figlia.
Fatti. Eventi storici.
Ma Bruni sa che dietro la patina dell’ufficialità, che porta a una legittimità che conduce quasi sempre a una pericolosa indotta accettazione, vi è sempre una luce di verità che deve essere ricercata. L’unica in grado di garantire all’uomo la salvezza, preservandolo dalle sue stesse atrocità. Perché ciò che da sempre è oggetto della ricerca fenomenologica di Pierfranco Bruni, è il mistero che si cela nell’amore così come nella crudeltà umana.
Cosa spinge una donna innamorata a seguire il suo amato sapendo che rischierà la vita? Cosa induce uomini che si considerano “giusti” a infliggere la morte a una donna nel cui grembo sta sbocciando la vita? In virtù di quale legge si può decidere che la morte vale più della vita? Cosa porta l’uomo a sostituirsi a Dio?
L’insondabile. L’inconoscibile. Quella parte oscura della natura umana che può avvicinarci al divino oppure scaraventarci negli abissi più infernali.
Un libro in cui l’amore contrasta l’odio attraverso la nobile figura di un padre che abita il Tempio della memoria in cui la testimonianza diviene un valore che dà senso al tutto. Quello stesso amore che intinge di appassionante bellezza gli struggenti dialoghi tra Claretta e Ben dai quali emerge un tradimento che giunge da chi “ha avuto di più”, a differenza della devozione che spesso vive nel cuore di chi “ha ricevuto meno”. Un meccanismo inversamente proporzionale che rientra in quell’insieme di leggi esistenziali imperscrutabili che Bruni esplora con l’illuminato ingegno dello scienziato che non accetta stilemi precostituiti.
Clara e Luisa. Due donne vittime di una fatale crudeltà che nulla ha a che vedere con la politica tantomeno con la giustizia. È riduttivo incolpare la guerra che, secondo il sentire comune, amplifica le oscurità più recondite dell’essere umano “esasperandole”. La guerra scoperchia semplicemente l’esistente che si cela tra le pieghe di una natura imperfetta. Luisa, Osvaldo, Claretta sono vittime innocenti di una crudeltà inaudita che oltrepassa qualsiasi ragione. E così anche in questo, come in tutti i suoi libri, Bruni non si ferma mai dinanzi all’incomprensibile ma lo analizza fino a rintracciare la ragione di ogni mistero che, ancora una volta, si rinviene nell’assoluta dedizione e nella autenticità delle passioni.
Per non oltraggiare il candore dell’innocenza. Per non dimenticare di essere umani.
Stefania Romito