Da Luigi Pirandello a Totò. Oggi 20 ottobre a Napoli apriremo, attraverso una dialettica comparata, una vasta discussione che lega la visione del teatro di Luigi Pirandello, a 80 anni dalla morte che cade il prossimo 10 dicembre, e i 50 anni dalla morte di Totò, ovvero Antonio de Curtis, il cui anniversario cadrà l’anno prossimo. Napoli al centro di due modelli letterari e teatri. Sulla rivista “Il Cerchio” in distribuzione in giorni questo dibattito costituisce l’inizio di una articolata dialettica.
Teatro, poesia, lingue e cinema. Proprio sulla lingua e sui linguaggio, come Progetto Etnie del Mibact, portiamo avanti un confronto a tutto tondo sul legame tra letteratura, lingue e recita. Una maschera oltre l’ironia. Un personaggio complesso, Totò. Un attore mai attore sul senso tout court del termine, ma personaggio che recita la vita. O meglio che lascia che la vita si rappresenti nella sua sfaccettatura con le maschere e con gli specchi. Come nel Pirandello che traccia ironia e recita sulla dimensione dell’ ironia.
Non c’è l’umorismo filosofico pirandelliano nel suo dire e nel suo essere come umorismo di sorrisi vani. L’umorismo nella ironia tragica del quotidiano, cfr. anche Petrolini, vivere è già oltre il riso – sorriso, ma è anche consapevolezza del senso inquieto del vivere.
Pirandello: “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro?”.
Intorno alla figura di Totò, al personaggio Totò, ci sono dimensioni teatrali, letterarie e chiaramente cinematografiche. Ma Totò nasce nella letteratura. Ovvero nei linguaggi e nella gestualità di un pirandelliano modello in cui sembra incrociare Ionesco e Kafka. O meglio l’assurdo e l’enigma.
È un dato letterario di non poca rilevanza sino a toccare uno scrittore italiano che è sulla linea del “gioco” fittizio e reale della vita – letteratura: Tommaso Landolfi.
È chiaro che Totò incarna la “napoletanità” nella gestualità di Eduardo Scarpetta. Ma Napoli è il centro della recita trecentesca e barocca e rivoluzionaria.
La napoletanità è la “bufera” della metafora nerudiana della maschera di Troisi, ma è anche l’eccezionale messa in scena del salotto Serao e delle gesta di Eduardo Scarfoglio, inquieto esploratore dei mondi sommersi e viaggiatore elettrizzante – estetizzante con D’Annunzio, che confonde la scena, la ribalta, il retroscena.
Totò, comunque, conosce l’incastro sottile e letterario che si vive tra il Pirandello della maschere muse nude e Eduardo De Filippo nel suo equilibrio di un riso terribilmente ironico inquieto.
Come Pirandello non è essenzialmente teatro dell’umorismo ma dell’ironia tragico, Totò rappresenta il sorridere nella consapevolezza della tragico nella solitudine delle vite. Tra Pirandello e Totò si vive una sorprendente e meticolosa riflessione sul senso della estraneità. Pirandello: “La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi”. Incisivi i versi di Totò:
“’A verità vurria sapè che simme
‘ncopp’ a sta terra e che rappresentamme:
gente e passaggio, furastiere simme;
quanno s’è fatta ll’ora ce ne jammo!”.
Credo che bisogna partire da un “ritaglio” di fondo che è quello letterario.
Non c’è uno spartiacque definito tra Pirandello De Filippo Totò e Eduardo Scarpetta. È la recita propriamente mediterranea sicula – campana alla quale aveva dato un forte contributo Giovanni Boccaccio nel suo abitare luoghi e personaggi napoletani con una Fiammetta popolano. La Sicilia e Napoli si stringe intorno al teatro e ai linguaggi in una piazza – agorà che è espressione di un Mediterraneo delle culture.
Totò in fondo conosce molto bene questi ruoli e queste appartenenze e rende il tutto in una intelaiatura in cui il linguaggio e la fisicità dei gesti restano fondamentali.
Totò crea un linguaggio rompendo tutti schemi semantici. La sua è propriamente una lingua non solo popolare ma ironico -aristocratica. Può sembrare strano ciò. Ma il popolare e il nobiliare sono parte integrante di quella “livella” che è la filosofia del quotidiano.
Per questo credo che non si può prescindere da una visione letteraria in cui la lingua e il linguaggio dei gesti e delle forme sono rappresentazione di una estetica dei personaggi, del personaggio Totò e dell’uomo Antonio de Curtis.
La malinconia di Totò: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza.”. Totò si confrontò in modo geniale con “La patente” di Pirandello. Una grande esperienza sia cinematografica che profondamente letteraria.
Totò era nato a Napoli il 15 febbraio 1898 e morto a Roma il 15 aprile del 1967. Pirandello vive in Eduardo De Filippo e attraversa Salvatore Di Giacomo. Il Di Giacomo del pianoforte nella notte è il vocabolario che si vive nella malinconia di Totò e si attraversa proprio nella poesia di Pirandello.
Pierfranco Bruni