Provinciale fino alla nausea. Ci sono cose di questa città che riescono ancora ad indignare parecchio, senza rischiare di passare per snob. Considerazioni non sui massimi sistemi, la politica, l’economia, il lavoro che manca, l’ambiente ferito, ma sulla perduta sobrietà dei tarantini.
Accade che, entrando in un negozio per bambini del centro per scegliere un completo destinato ad un novenne prossimo alla comunione, sacramento fondamentale nella vita di ogni buon cristiano, ci si imbatta nei mercanti fuori dal tempio, tanto per restare sul tema. Provate, e vi capiterà che la commessa, prima di mostravi giacca e pantalone mignon dai costi esageratamente super, apra la sua bella agenda e vi chieda: «data e chiesa?». Il tono resta più o meno lo stesso del «patente e libretto» di un brigadiere al posto di blocco. Data e chiesa da appuntare, spiega la solerte dipendente con tono ricercatamente complice e sguardo tronfio-snob, per garantire – a tutela del cliente s’intende – l’esclusiva (addirittura) sul modello venduto. E questo a garanzia del fatto che il pargolo adorato non indossi – non sia mai – lo stesso outfit di un coetaneo. Chissà che trauma per Gesù: due bambini vestiti con la stessa camicia. Assolvendo il negozio, perché il mercato lo fa la domanda e non l’offerta, non è solo l’abito che fa la festa trash. Dietro ogni cerimonia del genere, spesso, naviga una flotta di parrucchieri, truccatori, fotografi, ristoranti da banchetto simil-matrimoniale. E il senso del sacramento si perde in mille rivoli neopagani. Si pensi piuttosto al valore ecumenico e profondo della comunione. Si rifletta sull’armonia spirituale tra noi e Cristo che il sacramento ci regala. E non sugli smartphone di ultima generazione da impacchettare per far felice un bimbo che, bene che vada, della sua iniziazione ai misteri religiosi ricorderà una pomposa festa senza sapere nemmeno perché l’ha ricevuta.
Maristella Massari su Gazzetta del Mezzogiorno del 22 marzo 2015
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