sabato 23 Novembre, 2024 - 14:50:15

Quella sera ho passeggiato con mio padre nel tramonto di un cielo rosso

Ho passeggiato con mio padre di Pierfranco BruniUna sera passeggiando con mio padre.C’erano rumori di battaglioni, fumi che venivano dal fronte, voci che avevano accenti mai grevi e, in lontananze, ombre che sembravano cammelli. I colori andavano verso le atmosfere coloniali. Scenari d’Africa Orientale. Mio padre si era portato con sé il cane.

Si chiamava Chiurchillo. Mi ha spesso raccontato che, in quei mesi, era stato il suo compagno fedele e si aggirava tra gli spazi del battaglione. Di quegli anni non sono rimaste tracce, ma memorie.
“Vedi, i ricordi passano, mi disse, e lasciano il rosso tramonto dei mari d’Africa, ma sono le memorie che restano. Le memorie segnano i passi della nostra storia e la trasformano. Anzi la cambiano. Cambiano la storia in destino. Il destino non è una frontiera pesante. Ho ritrovato quegli anni rileggendoli nelle pagine di Giuseppe Berto. Uno scrittore di anni sei più grande di me. Si è fatto le campagne d’Africa. Tra le sue pagine c’è comunque tutta una giovinezza. Il tempo scorre. Trascorre  come se fosse una ragnatela tra le onde dei Mediterranei. Avevo 15 anni quando Berto partì volontario per l’Africa d’Oriente. Ma piú adulto quando si arruolò con il battaglione delle Camicie nere, nella seconda stagione. Ho ritrovato i miei anni ripercorrendo tra le sue pagine pezzi di destini. È certo che tutta la mia giovinezza resta legata a quei contesti. Soltanto quando mi trovai di fronte a ‘Il cielo è rosso’ ancora di più a ‘Guerra in camicia nera’ ebbi la consapevolezza di una giovinezza intrecciata ad una idea di Patria. Sono anni di destini. Eravamo tutti fascisti. Gli antifascisti di dopo erano e sono stati più fascisti di noi che  siamo rimasti tali anche quando il Fascismo non c’è stato più. Ma le contraddizioni fanno la vita”.
Ho passeggiato una sera con mio padre nel viale del giardino e spiegandomi come si coltiva una rosa e come si  fa rinascere una pianta di limone ormai spenta mi ha tracciato il sorriso e il silenzio di una giovinezza fatta di avventure e di guerre coloniali. Ma non so se sia giusto, ancora oggi, usare il termine “coloniale”. Ma si tratta soltanto di un piccolo dettaglio.
Coltivando una rosa e salvando un limone mi portò sotto la palma alta che sta al centro del giardino. Piú alta persino della casa. Arrivando in paese già in lontananza svetta e si può raggiungere soltanto seguendo, appunto, l’indicazione della cima della palma.
Mi disse che quella palma proveniva dall’Africa d’Oriente. Una profonda radice mediterranea nella terra che è stata greca e poi romana. Di Berto aveva poi letto altri libri. Anzi, mi confessò di aver letto tutti i suoi libri soffermandosi soprattutto su quelli in cui lo spazio delle loro giovinezze si sono incontrate con la misura di valori condivisi. Ma l’ho spesso visto rileggere “Guerra in camicia nera”. Ho trovato una edizione antica, forse la prima, conservata tra i suoi libri mai messi da parte. Tanti libri. Accanto vi era un manuale di agricoltura e di piante tropicali e un altro testo particolare in cui si parla di come sopravvivere ai soli del deserto Mediterraneo di Tunisi.
Può sembrare strano. Ma nulla potrà condurci nella stranezza. E poi non esiste la stranezza. La generazione di mio padre, la generazione di Berto prima, la generazione dei ragazzi che poi fecero Salò e se non fecero Salò erano ancora impegnati nelle guerre tra i fronti e le prigionie hanno il vissuto di un sorriso nobile e di una ironia tragica nei loro destini che hanno sempre amato al di là del bene e del male. Con il coraggio delle scelte e nel rischio di un vissuto che soltanto l’orgoglio e la dignità lo ha reso sempre vitale e forte nella non mai arrendevolezza.
Mio padre aveva ritrovato nelle pagine e nel raccontare di Giuseppe Berto non solo le storie di una giovinezza o una giovinezza nel vento delle Afriche tra la metà degli anni Trenta e metà dei primi anni Quaranta del Novecento, ma un destino che non ha smesso di viaggiare nella sua vita. Poi ha nuovamente incontrato Berto quando lo scrittore ha deciso di dialogare con il mare di Calabria e da Capo Vaticano osservava le luci, accendersi e spegnersi, tra i tramonti e le albe, che puntano alla Sicilia e questa aspetta i riflessi e le intermittenze di Tunisi.
In fondo la vita è proprio un giro di danza. È vero. Quel giorno passeggiando con mio padre ho letto il suo bisogno di custodire una giovinezza legata ad un cielo rimasto sempre rosso e ad una camicia raccolta, ben piegata e chiusa in una busta, in un cassetto del comò della camera da letto. Mia madre, anche dopo la morte di mio padre, non ha toccato nulla. Ho rovistato e tra le pieghe della camicia rimasta intatta, anche se molto rigida nel tessuto, è conservato un’altra copia della prima edizione di “Guerra in camicia nera”, appunto di Giuseppe Berto. Gli anni vanno via, le epoche si tagliano attraversando stagioni e queste si innervano nelle epoche ma la memoria resta sempre un lungo viaggio. Sempre da ascoltare. Sempre da custodire. Sempre da non dimenticare.
Una sera passeggiando con mio padre nel giardino della palma d’Africa ho ascoltato la sua voce nelle pause e negli spazi delle parole, ma la pazienza e un passo lento, tra una aiuola e l’altra, sono il vero senso dei silenzi che non smettono di indicarmi orizzonti.
Quella sera, passeggiando con mio padre, il cielo era diventato, nel finire sul mare, di un colore che tendeva al rosso tramonto degli Orienti nei Mediterranei.

di Pierfranco Bruni

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