A Maruggio la notizia della caduta del fascismo non provocò alcuna particolare impressione. Non si registrarono tragiche giornate o episodi di violenze e barbarie come nel resto d’Italia o nella vicina Francavilla Fontana. Iniziò lentamente il rientro dei nostri soldati. I reduci giungevano al paese avviliti, stanchi, curvi, scheletriti, alcuni dei quali invalidi. Avevano poco di umano. Arrivavano di volta in volta a piedi o con i più svariati mezzi di fortuna. Evitavano di “farsi scaricare” in piazza per non subire gli insulti e le insinuazioni dei “vincitori”. Si tenevano lontani dagli sguardi pietosi e, talvolta impietosi, di alcuni paesani (antifascisti dell’ultima ora) che consideravano “fascisti” i soldati di ritorno dalla guerra. Il fascismo era morto con il suo capo il 28 aprile 1945, ma la tragedia tutta italiana non era ancora finita.
Scrive lo storico Tonino Filomena nel suo libro “Paese nostro povero ma bello – Gli anni Cinquanta” (Edizioni Pugliesi, 2009): «E’ il 22 giugno 1945. E’ da alcuni giorni che il “capo guardia” di Maruggio non si vede in giro, come di consueto. Dal fondo di un pozzo della sua abitazione o di quello posto alla via Pisanelli (v. foto A.1945), viene recuperato il corpo privo di vita del vigile urbano Pasquale Micelli, 46 anni. Il Pretore del Mandamento di Manduria ha constatato che è morto in seguito ad asfissia per annegamento. Buona parte della comunità maruggese si chiede: “E’ stato incidente, suicidio o istigazione al suicidio?” Le gravi e inquietanti supposizioni coinvolgono le autorità giudiziarie fino a indurle ad aprire un’inchiesta legata alla sommossa di alcuni rivoltosi comunisti avvenuta nei mesi precedenti. Una storia fatta di “pane e bollini” e di un povero sciagurato vigile urbano esecutore d’ordini pestato a sangue e trascinato per le vie del paese.»
Tonino Filomena, negli ultimi anni di vita di Nino Micelli (all’epoca dei fatti figlio sedicenne della povera vittima), osò domandare al suo amico-collega Nino quale “verità nascosta” avesse riposto nel suo cuore, dopo tanti anni, riguardo alla tragica e prematura scomparsa del padre. Il buon Nino lasciò intendere che la morte del genitore fu «il frutto dell’odio e del clima politico di quei mesi del 1945». «Di certo c’è» – scrive Tonino Filomena – «che l’omicidio-suicidio di Pasqualino Micelli è strettamente legato al suo avvilimento morale, alla frustrazione e alle umiliazioni subite, alle illazioni e all’assordante silenzio delle “sue istituzioni” (Comune) e, soprattutto, alla responsabilità morale di chi ha sempre saputo e mai parlato.», alcuni dei quali ancora in vita.
La storia di Pasqualino Micelli taciuta per molte ragioni, è la storia “negata” delle migliaia di vittime innocenti dell’immediato dopoguerra. Dopo 70 anni, a causa di una non più sopportabile cultura dominante, i figli dei «vinti» vivono, come ha vissuto per lunghi anni l’amico Nino Micelli (ex impiegato comunale), la condizione obbligata di “prigionieri del silenzio”.
In questo «sconosciuto 1945» in Maruggio, come nel resto del Paese, ancora oggi si consumano, quale omaggio all’annuale “festa” del 25 Aprile, le piccole ma spregevoli vendette personali, incoraggiate da alcuni rampolli politici. Riprendono le “liti culturali” e i “conflitti di classe”, si riaprono le ferite mai rimarginate dei nostri padri e dei nostri nonni.
C’è chi, ancora oggi, ritenendosi vittima di un “torto subito” da un impiegato (comunale), si sente autorizzato a emettere sentenze. E scatta così la “punizione” da parte del “Tribunale del Popolo”. Per costoro il “25 Aprile è sempre!”.
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