Quando ero fanciullo la morte mi incuriosiva. Il 2 Novembre, “giorno dei morti”, mi piaceva andare al cimitero per accarezzare i bianchi sepolcri ed entrare nel sotterraneo del Cuore di Gesù con i miei compagni di giochi.
Quel tetro luogo scavato nella terra veniva illuminato dai ceri posti dinanzi ai ritratti dei morti. Mi piaceva fissare i volti dei nostri defunti impressi nelle fotografie poste sulle tombe, “parlare” sottovoce con i morti seppelliti. Davanti ai miei occhi innocenti quei volti si animavano e i loro nomi risvegliavano le storie di ognuno. Mi piaceva “leggere” le sepolture individuali e le cappelle di famiglia. Quel grande e fiorito “giardino degli addii” è il luogo della mia memoria, della nostra memoria collettiva.
Mi piaceva la “bellezza” di quel luogo di Eterno Riposo, ma quando cominciava ad avvicinarsi il custode per chiudere il vecchio cancello arrugginito non vedevo l’ora di allontanarmi. Appena fuori avvertivo subito il vociare degli adulti e gli schiamazzi dei bambini. Risorgeva la vita. Ero felice di rientrare a casa, dentro le mie mura domestiche, giocoso e spensierato. Ho continuato a “giocare” nel camposanto fino a quando ho compreso il “senso della morte”. Ho smesso di giocare il giorno in cui la signora Morte ha rapito la mia giovane madre. Quel giorno è morto anche il bambino che giaceva con me, dentro di me.
Col tempo ho capito quanto sia necessario risalire la vita per riascoltare le voci dei nostri cari che vengono dalla stanza accanto, da quella stanza che è dentro di noi. Dopotutto quel fanciullo non è mai morto. Perché il bambino che crebbe con me tuttora ride con me, gioca con me, piange con me. Perché il vecchio di oggi è il bambino che fu. Il bambino di ieri riposa oggi dentro il vecchio qual io sono, per recuperare la Memoria e tornare all’infanzia.
Tonino Filomena