Viviamo in un mondo pessimo. In un tempo che defenestra le eredità, le identità, i radicamenti. Che senso ha parlare di antropologia se l’antropologia scava nelle tradizioni e nelle radici di un popolo? Che senso ha insistere sui beni culturali quando hanno una parvenza di esistenza se non si pratica una politica tra consapevolezza reale del patrimonio e valorizzazione identitaria?
Cosa sono l’antropologia, l’archeologia le arti se oltre la testimonianza non valorizziamo le identità dei territori? Non esiste una profonda politica dei beni culturali nei diversi territori della nostra Nazione. Il Mediterraneo non è soltanto una striscia d’acqua. È una storia che si è fatta identità. Abbiamo timore di pronunciare questa parola.
IDENTITA’. Ovvero APPARTENEZA. Ovvero RADICI.
L’antropologo ha il compito di una “filosofia della conoscenza” ma anche di una “filosofia di una memoria” che si allontana dalla nostalgia, dal ricordo, dal rimpianto e si inserisce all’interno di una dimensione di futuro.
I territori interagiscono. Sono identità memoria eredità. Rappresentano il portato storico di radici che non sono omologanti essendo scavi di civiltà. Soprattutto quei territori che sono stati greci si portano dentro l’anima di un tessuto culturale sia in termini archeo-antropologici che etno-linguistici. I paesi interagiscano. Mai si annullano.
Dietro una questione amministrativa vive sempre un cordone culturale. Soprattutto in una Nazione come l’Italia mai unita culturalmente dagli Appennini alle Alpi e in una non edificabile Europa che non vuole riconoscere la centralità del mediterraneo alla Patria Italia. Un paese vuol dire non essere soli. Ci ha insegnato Pavese. Ciò significa anche non rendere solo o confuso un paese. I paesi vivono e muoiono nella storia.
Rilanciare la storia di una comunità vuol dire ridare maggiore identità al territorio tra economie e culture. I paesi sono civiltà e non si elidono non si sradicano non si distruggono con atti amministrativi. Sono Antropologia. Ovvero Antropos! Sono quella geografia dell’anima nella quale scorrono il mito e gli archetipi, i simboli e i destini.
Natura e cultura erano certamente un unico tessuto in cui l’esperienza dei popoli trovava dei riferimenti. L’antropologia nasce all’interno delle scienze sociali, ma va subito oltre perché si è imparentata con la necessaria conoscenza di comprendere il pensiero dei popoli attraverso il valore di civiltà.
C’è da dire che l’antropologo in incipit poneva al centro il popolo come uno stato di eredità e di identità di una civiltà che oltre al senso del “primitivo” chiamava nei suoi studi il senso del “selvaggio”.
Primitivo e selvaggio rappresentava un unicum. Più che contro la natura il primitivo – selvaggio rappresentava la Natura. La sopravvivenza della natura era la sopravvivenza dei popoli primitivi. Oggi siamo in un altro tempo. Parlo di tempo. Perché le civiltà vivono di tempo. Non si possono fare comparazione. È cambiata la Natura e la stessa ha incontrato la scienza.
L’antropologia deve necessariamente fare i conti non solo con i territori, come nel caso degli studi demartiniani ormai superati, ma con le scienze applicate. Diventa metodologia di ricerca sul campo, ma tocca anche elementi filosofici, epistemologici pur in un dato empirico. È un modello di antropologia altro rispetto non solo alla fine dell’Ottocento ma rispetto agli anni Sessanta del Novecento.
Oggi l’antropologia se non si lega alla filosofia, ovvero al pensiero logos, resta prassi. Non è solo ricerca di conoscenza dei popoli. È il bisogno di capire si la storia ma anche la metafisica delle civiltà. Si lavora sul campo ma si va oltre il campo stesso. Il dato del tutto, però, sta nella riappropriazione della IDENTITA’!
Una antropologia che indica attraverso la percezione l’evoluzione di una tradizione. L’antropologo deve essere un po’ filosofo, un po’ letterato, un po’ sciamano. La percezione e la intuizione sono oggi elementi fondamentali.
Svegliamoci dal sonno dei deboli. Occorre necessariamente essere EREDITA’ per poter dare un segno politico alla valorizzazione della cultura in quanto bene culturale. La confusione è tanta e non fa, in queste lacerazioni di temperie, più notizia.
Da qui alla grande confusione sul Mediterraneo che lo si contrappone alle eredità storiche in un tempo di invasioni e di occupazioni degeneranti… Civiltà? Siamo in vendita e noi facciamo finta di nulla… Il nostro sonno peserà su intere generazioni… Il nostro Occidente tra questa Europa e queste Americhe è fatto ormai di rovine e le macerie devasteranno il presente e il futuro…
Il mondo pessimo nel quale viviamo nasce nel momento in cui cadono il fascismo il comunismo il tradizionalismo mentre il relativismo diventa la casa e il labirinto del pensiero debole che domina il cammino di queste stagioni… I beni culturali sono identità dei territori in una memoria diffusa. Svegliamoci, allora, dal sonno e sogniamo da svegli se non vogliamo continuare a morire da morti…
Pierfranco Bruni