L’antico agglomerato “Castelli” nell’opera del D’Elia: introduzione
La più importante fonte descrittiva dell’ agglomerato antecendente l’attuale Sava e denominato Castelli, sullle rovine del quale quale viene fondata Sava, consiste in un manoscritto del 1889 di Achille D’ Elia andato perduto ma del quale il Coco fornisce vari stralci nella sua opera “Cenni storici di Sava”. Il Manoscritto aveva per titolo “Sava e il suo feudo, storia paesana”.
Prima del D’Elìa sarà l’Arditi a parlare, seppur fugacemente, dei “Castelli”, e successivamente, oltre al Coco, ne parleranno il Del Prete e il Pichierri che forniranno ulteriori descrizioni.
L’originalità della descrizione del D’Elia sta nel fatto che, oltre alla fotografia e alla ricostruzione precise ed esaustive che lo scrittore offre dell’antico centro abitato, egli finisce con l’identificare questo ormai distrutto sito con la mitica “Sallenzia urbs messapiorum”. Ipotesi, questa, rigettata dal Coco, ma che ritroverà in Gaetano Pichierri un sostegno sulla base di sue ulteriori considerazioni e ricerche.
Sava nasce sulle rovine dell’antico casale
Sava sorge, ad opera degli esodati abitanti di Pasano, Agliano e S. Maria di Bagnolo (in fuga dai loro casali distrutti da continue scorrerie durante le guerre di secessione tra Angioini ed Aragonesi) sulle rovine di un antico casale denominato Castelli. Si fa menzione di Sava per la prima volta, nei documenti scritti rintracciati dagli storici, in un assenso prestato dalla Regina Giovanna II nel 1417 al milite Ciccarello Montefuscolo, per comprare alcune terre annesse al Principato di Taranto tra cui il Casalis Savae. [1]
Dell’antico casale Castelli fornisce per primo alcune notizie Giacomo Arditi:
“Il territorio si appoggia sul sabbione e sul calcare di varia specie; nel predio Castelli, appo l’abitato, sogliono scavando rinvenirsi delle monete di tipo greco […] Qui d’appresso esisteva una volta il casale appellato Castelli, e ne fan fede il nome che ancora dura nella contrada, le due vecchie vie che esistono e che chiamano Vetere o Portoreale, e i ruderi e le monete accennate di sopra. Distrutto Castelli nel sec. XV, o per vecchiezza, o per incidenza delle guerre e dei conflitti allor combattuti tra Spagnuoli e Francesi, i suoi abitanti eressero vicin vicino quest’altro appellato Sava […] “ [2]
Altri dettagli li fornisce il Coco, spostando tuttavia di circa un secolo (in antecedenza) rispetto alla ricostruzione dell’ Arditi l’insediamento nel vecchio e diruto casale Castelli da parte delle genti che abbandonano Agliano, Pasano e Bagnolo. La distruzione e il conseguente abbandono di questi tre casali, avviene difatti, secondo quanto riportato dal Coco, nel 1378. Nella sua descrizione, il Coco cita inoltre l’esistenza dei cunicoli sotterranei esistenti presso i Castelli:
“La maggior parte di questi profughi per sfuggire alla morte vennero a dimorare in un luogo più sicuro messo sul confine del feudo di Pasano o di Aliano dalla parte del Levante, nella contrada chiamata i Castelli, ove poteano in tempi di persecuzioni facilmente salvarsi nei diversi cunicoli sotterranei che vi erano e che tuttora in parte sussistono” [3]
Così prosegue poi nella descrizione dell’esodo dai tre casali ai Castelli:
“Venuta la tregua, alcuni tornarono ad abitare Pasano. Gli altri si stabilirono e cominciarono a fabbricare le loro case accanto ai vecchi Castelli in parte rovinati e cadenti, che, neri e minacciosi posti sul confine del territorio oritano, sulla via Appia Traiana, detta anche Augusta Salentina, servivano di dimora e di difesa alle sentinelle che avevano cura di guardare la foresta oritana da aggressioni che poteano venire dal confinante agro tarantino. Da questo aggruppamento fortuito di case sorse Sava, detto prima Castelli dal latino Castitia” [4]
Il Coco fa derivare la parola Castelli dal latino Castitia nell’accezione di “piccolo agglomerato di case”. Prosegue quindi, facendo riferimento all’origine della attuale Sava fondata sulle rovine di tali Castitia. [5]
Il Coco riprende la maggior parte delle descrizioni dell’antica “Castelli” dal manoscritto del D’Elia, accettandone la ricostruzione dei fatti, ma rigettando l’ipotesi della identificazione di “Sava-Castelli” con la antica e leggendaria Sallenzia:
“E’ questa labile supposizione dell’autore priva di fondamento storico e sol posata sui ruderi trovati di alto i Castelli. Che i Salentini abitassero nell’omonima penisola fin dai tempi più remoti una città chiamata Sallenzia capitale di questo popolo lo attesta Stefano Bizantino. Che fosse poi in questi dintorni di Sava nessuno lo ha mai asserito […]. Che anzi il Niebuhr […] sostiene che una Sallenzia, come città, non è mai esistita nella Puglia e Stefano Bizantino, se ne parla, ne congettura l’esistenza per darsi ragione del nome dei Sallentini. Contro questa asserzione però sta il fatto di alcuni codici della Storia Naturale di Plinio che citano la città di Sallentum nella Terra d’ Otranto, mentre altri menzionano Soleto. Inoltre di Millennio, re di Salento, parla Giulio Capitolino […] e una Salentum esisteva senza dubbio che il Lucarelli opina fosse nella provincia di Bari […].
Quanto poi riferisce ‘autore circa la forma dei Castelli, la via sotterranea, i sepolcreti e le monete trovate, merita fede avendo io – le stesse cose – sentite narrare da altri testimoni oculari” [6]
Il Pichierri però riprenderà le considerazioni e lo studio del D’Elia, sia per apportare nuovi contributi circa il tracciato della antica “Castelli”, sia per riprendere in considerazione l’ipotesi del D’Elia che rintraccia nella antica Sava la città di “Sallenzia”, identificando in alcuni toponimi dell’agro di Sava (come Fallenza, Minoto, e altri) e nelle tracce archeologiche che queste località hanno lasciato, origini ricollegabili alla pre-colonizzazione dei greci. [7]
Achille D’Elia: “Sava e il suo feudo” – stralci dal manoscritto
Come già riportato, nella sua opera “Cenni storici di Sava” il Coco cita ampiamente lo scrittore Achille D’Elia, riportando nelle note a margine stralci di un suo manoscritto successivamente andato perduto, e intitolato “Sava e il suo feudo, storia paesana”. Il manoscritto era datato 1889, e, stando a quanto riportato dal Coco, si componeva di 3 fogli. A seguire, le parti riportate dal Coco:
“L’oblio che copre la storia di Sava, ameno e ridente borgo in Terra di Otranto, e la dimenticanza, tra questi cittadini, di quel poco che riguardar possa le vicende passate del lor paese natio mi hanno spesse volte tentato a scriverne qualcosa; ma spesso ancora, scoraggiato, ho dovuto smettere l’idea, e per l’assoluta mancanza in queste famiglie, di documenti scritti e per la grande difficoltà, in chi non possa spendere del suo per iscavi, viaggi, ricerche, di ritrovarne altrove degli autentici sul quale fondare il piccolo edifizio storico […]. [8]
La storia di Sava non è gran che negli annali civili di questa provincia; essa è circoscritta alla più esigua cronaca militare di una rocca. Non potrebbe però convenevolmente parlarne chi trascurasse rifarsi e discutere dei Castelli Castrum Munitum Messapici, o Salentini ora distrutti e ridotti in un bel giardino ad Oriente della novella Sava […] [9]
Ch’essi Castelli fossero costruzione vetustissima – non ben accertato se messapica o salentina per mancanza d’ iscrizioni – lo attestano le monete della vecchia Orra quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero; la irregolarità delle forme nei massi tufacei delle fondamenta ancora visibili – d’epoca evidentemente ciclopica e certi cocci di una tal terraglia pesante come ferro del color della ghisa è bastante che il chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto in una breve visita fattavi nell’ultimo agosto (1889) dichiarasse di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messena.
Questi Castelli erano in comunicazione sotterranea con un piccolo fortino sito in contrada Specchiodda e forse anco con quello di Uggiano Montefusco, e di Manduria: ciò che prova che essi rappresentar dovessero un intero sistema di fortificazioni di confini dei due regni Messapico e Tarantino. Se appartenessero agli uni, o agli altri mai potrei determinare: inclinerei per i salentini, avendo quel di Taranto dopo le guerre fatte contro i messapi elevato dappertutto sui confini dei propugnacoli di difesa, Castrum Munitum e quindi tratto gran profitto di questi Castelli, guasti dal tempo delle guerre.
Tale sarebbe la versione più modesta che potrebbe darsi alle dicerie corse sui nostri Castelli. Ci sarebbe dell’altro però. Dalla lunghezza della via sotterranea di forma poligonale, visibile anche oggi in casa T. e nel giardino M., ci sarebbe da arguire che essa servisse alle comunicazioni segrete fra i vari forti.
Dai sepolcri messapici – con la facciata del cadavere sempre rivolto ad Oriente – trovati in gran numero a mezzo chilometro dai vecchi Castelli e ad un metro di profondità in quel tratto di terreno che va dal convento di S. Francesco sino alla via provinciale, ci sarebbe da inferirne che qui fosse un sepolcreto da quelli dipendente. Ora ditemi: non potrebbe per un momento venire in mente all’erudito di vecchie cronache che qui davvero – sul confine dei tre regni Messapico, Salentino e Calabro – fosse stata edificata la città di Sallenzia Urbs Messapiorum ? […].
Achille D’Elia e le sue opere
Cosa spinge il D’Elia ad avventurarsi nell’ipotesi identificativa della Sava “Castelli” la antica “Sallenzia Urbs Messapiorum” ? Una mera, labile congettura, oppure una ipotesi più consistente derivante non solo dagli stralci pervenutici dei suoi studi sulle rovine dei Castelli savesi, ma da altre correlazioni e osservazioni del D’Elia che non conosciamo, essendo andato perduto il suo manoscritto ? Dai frammenti riportati dal Coco traspare la personalità e la serietà di uno studioso meticoloso e brillante, non avvezzo certamente a fantasticherie costruite per sprovvedutezza o mero gusto letterario. Cerchiamo allora, non potendo analizzare l’opera del D’Elia nella sua interezza, di capire, per quanto possibile, chi era, culturalmente questo personaggio, ricollegandoci alla sua produzione letteraria. Citeremo molto brevemente altre opere della sua produzione non aventi a che fare con la storia di Sava, ma illuminanti circa il percorso culturale di quest’ uomo. E’ possibile, attraverso una ricerca sul sito www.internetculturale.it , scaricare un paio dei documenti che saranno appresso citati ai fini di una consultazione approfondita.
La produzione letteraria del D’Elìa è abbastanza vasta ed eclettica: spazia da raccolte di versi a trattati di pedagogia e di storia.
Al 1884 risale una raccolta di versi, dal titolo “Cianfrusaglie” (fig.1), scritta in collaborazione con Ferdinando Bonsegna. L’opera, composta di complessive 33 pagine, è divisa in due parti: nella prima raccoglie i versi del Bonsegna, nella seconda quelli del D’Elìa. I componimenti del D’Elia presenti in questa raccolta sono 4, ispirati a fanciulle amate in gioventù. L’opera è edita dalla Tipografia Parodi di Taranto.
Nel 1889 (stesso anno a cui risale il manoscritto su Sava) il D’Elìa edita ben due opere: un trattato di pedagogia linguistica dal titolo “Lingua parlata e lingua scritta : insegnamento della lingua nazionale per mezzo delle conversazioni famigliari” (fig.2), edito sempre per i tipi della Parodi in Taranto, e “La Grande Arte” ( Tip. L. Lazzaretti e f., Lecce).
L’interno del retro di copertina del trattatello di pedagogia riporta la nota di 3 opere di “prossima pubblicazione” (fig.3): “La lingua e il sentimento nazionale” che uscirà due anni dopo, un trattato di geografia dal titolo “Dalla scuola all’Italia”, e “Miniature” (di queste ultime due non abbiamo trovato tracce).
Nel 1891 esce dunque il primo dei te annunciati trattati, con il titolo “La lingua e il sentimento nazionale nella scuola media : con due lezioni pratiche ed un saggio critico su due odi di Orazio” (Taranto, Tip. Ruggiero Parodi).
Considerata la produzione di Achille D’Elìa in quegli anni e la sua collaborazione con ben due case editrici (Parodi di Taranto e Lazzaretti di Lecce), considerato altresì che proprio nel 1889, anno di datazione del manoscritto “Sava e il suo feudo” l’autore edita due opere e ne vengono annunciate altre all’interno di un suo stesso testo, risulta assai strano che il manoscritto su Sava non abbia mai visto la luce attraverso la riproduzione a stampa o che l’autore abbia potuto scartarlo. A questo interrogativo preferiamo non fornire ipotesi di risposta, ma attendere che un giorno, da qualche parte, emerga una spiegazione o forse… una copia del manoscritto o una sua versione edita a stampa e “nascosta” all’interno di una qualche pubblicazione con altro titolo.
- Cfr. Coco, Primaldo Cenni storici di Sava stab. Tipogragico Giurdignano, Le, 1915 – ried. Marzo Editore, Manduria, 1984 – pp. 63-64; vedi anche: Lucchi, Laura Annalisa, SIUSA, Sistema informativo unificato per le Sopraintendenze archivistiche, 2005 ↑
- Arditi, Giacomo La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’ Otranto, 1879, pp. 548-549 ↑
- Coco P., op. cit., pag.63 ↑
- Ibid., pp. 63-64 ↑
- “L’origine, adunque, di questo paese deve stabilirsi sulla fine del secolo XIV. Già di esso si fa menzione in un assenso prestato dalla Regina Giovanna II nel 1417 al milite Ciccarello Montefuscolo, per comprare la Baronia di Uggiano col suo Castello, col Casale di Erchie e con i feudi di S. Vito e di S. Stefano e con altri tenimenti nei dintorni di Casalvetere. In questo documento certo interessante per quella baronia, leggesi “de ipsa Baronia Ogiani sita et posita in provintia terre Idronti subscriptis finibus designatis videlicet casale et castrum seu fortellitium ogiani cum ipso feudo sancti viti iuxta territorium Mandurini, territorium Casalis Novi, iuxta territorium Casalis Balneoli territorium Casalis Save et alios confines”. Pare che fosse allora stato abitato per un trentennio o poco più. Per nuove incursioni lo troviamo disabitato verso il 1454 e poscia riabitato verso la seconda metà del secolo XV. “ (Coco, P., Cenni Storici di Sava, pag. 64). ↑
- Ibid., nota a pag. 60 ↑
- Pichierri, Gaetano, “Omaggio a Sava” Del Grifo ed., 1994, a cura di V. Musardo Talò: in quest’opera che consiste in una edizione postuma di scritti e saggi del Pichierri raccolti in un unico volume, si affrontano ricorrentemente e in diversi capitoli le questioni citate. ↑
- A questo punto la trascrizione del Coco si interrompe con un sunto-annotazione del Coco stesso: “Continua l’autore racogliendo quanto ne dicono il Giustiniani nel noto Dizionario e l’Arditi nella sua Corografia, il Valente e altri che non nomina”, scrive il Coco tagliando corto su questa parte dell’opera del D’Elìa. ↑
- Qui il Coco interrompe nuovamente la trascrizione scrivendo lapidariamente che il D’Elìa “finisce riferendo poche altre tradizioni locali”. ↑