Stando alla ricostruzione di Primaldo Coco, Sava sorge intorno al 1378 ad opera degli esodati abitanti di Pasano, Agliano e S. Maria di Bagnolo, e si fa menzione per la prima volta del Casalis Save in un documento del 1417. E’ anche vero che in un Cedolario del 1377-78 è citato, insieme ai casali di Pasano e Agliano, un misterioso Casalis Silve del quale il Coco, poichè non riesce a rintracciare l’ubicazione, frettolosamente deduce che forse “non doveva essere in questi dintorni”: l’assonanza dei toponimi Save e Silve però non può non indurre a dubbi e interrogativi. Ad ogni modo, il paese sarebbe sorto, tra varie vicissitudini, sulle rovine di un antico sito detto Castelli (da non confondersi con l’omonimo casale manduriano: si tratta di un toponimo generico adottato in molte località con presenza di antiche e imponenti costruzioni, e poco ci dice anche intorno al nome originario che poteva celarsi tra i resti di quell’insediamento che precede la Sava più conosciuta e raccontata). Cosa ci fosse ai tempi dei “Castelli” (che il Coco definisce “fortezze con torri merlate”, in parte cadenti già a inizi 1400) e ancor prima in questo luogo, non possiamo affermarlo con certezza e dovizia di particolari: ma ci sono una serie di elementi che possono permetterci una sommaria eppure importante ricostruzione.
La prima testimonianza letteraria intorno all’esistenza di questo antico agglomerato ci perviene dalla “Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto”, una celebre opera di Giacomo Arditi edita nel 1879. Preliminarmente, è bene specificare anche che lo stesso Arditi, pur convinto della fondazione di Sava avvenuta intorno al XV secolo sui ruderi degli antichi Castelli, è testimone di una generale incertezza storico-documentaria: “sulle origini di questo Comune non si accordano punto i pochi che ne han detto e tramandato qualche congettura: chi lo vuole latino, e chi greco, chi gli assesta un’etimologia, e chi un’altra…”. Proseguendo, l’Arditi fornisce degli importanti elementi: “nel predio Castelli, appo l’abitato, sogliono scavando rinvenirsi delle monete di tipo greco […] Qui d’appresso esisteva una volta il casale appellato Castelli, e ne fan fede il nome che ancora dura nella contrada, le due vecchie vie che esistono e che chiamano Vetere o Portoreale, e i ruderi e le monete accennate di sopra. Distrutto Castelli […] i suoi abitanti eressero vicin vicino quest’altro appellato Sava“.
Ma la più importante fonte descrittiva consiste in un manoscritto del 1889 di Achille D’ Elia, oggi andato perduto, e del quale il Coco, venutone temporaneamente in possesso, fornisce una serie di stralci. Il Manoscritto aveva per titolo “Sava e il suo feudo, Storia paesana”. E’ molto strano che quel manoscritto non sia mai stato edito: il D’Elia ha una notevole produzione di pubblicazioni, difatti abbiamo notizia di diverse sue opere date alle stampe sin dal 1884, mentre nel 1889, data del manoscritto, vengono pubblicati ben due saggi a suo nome. A due anni di distanza, nel 1891, ne viene pubblicato un altro. Ma analizziamo ora i frammenti pervenutici dell’opera.
Il D’Elia lamenta il fatto che nessuno si sia occupato di descrivere in modo preciso ed esaustivo la storia di Sava, e così prosegue: “non potrebbe però convenevolmente parlarne chi trascurasse rifarsi e discutere dei Castelli Castrum Munitum Messapici, o Salentini ora distrutti e ridotti in un bel giardino ad Oriente della novella Sava”. Per il D’ Elia la descrizione dei “Castelli” è fondamentale sia per la storia delle origini di Sava, che per il valore stesso del sito: “ch’essi Castelli fossero costruzione vetustissima – non ben accertato se messapica o salentina per mancanza d’iscrizioni – lo attestano le monete della vecchia Orra, quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero; la irregolarità delle forme nei massi tufacei delle fondamenta ancora visibili – d’epoca evidentemente ciclopica e certi cocci di una tal terraglia pesante come ferro del color della ghisa è bastante che il chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto in una breve visita fattavi nell’ultimo agosto dichiarasse di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messena.” Lo stesso Coco è testimone di rinvenimenti, anche se non ne specifica tipologia e datazione: “sotto l’abitazione del sig. P. S. furono rinvenuti alcuni antichi vasetti in un sepolcro scoperto a caso. Alcune tombe sono state scoperte nella contrada del paese detta “Castelli” mentre si cavavano le fondamenta di alcune case e vi si trovarono non poche monete di valore e oggetti preziosi.”
Il D’ Elia fornisce una precisa descrizione del territorio, delle caratteristiche ancora visibili o deducibili ai suoi tempi, della sua estensione e delle comunicazioni sotterranee che lo distinguono: “Questi Castelli erano in comunicazione sotterranea con un piccolo fortino sito in contrada Specchiodda e forse anco con quello di Uggiano Montefusco, e di Manduria: ciò prova che essi rappresentar dovessero un intero sistema di fortificazioni di confini dei due regni Messapico e Tarantino. Se appartenessero agli uni, o agli altri mai potrei determinare: inclinerei per i salentini, avendo quel di Taranto dopo le guerre fatte contro i messapi elevato dappertutto sui confini dei propugnacoli di difesa, Castrum Munitum e quindi tratto gran profitto di questi Castelli, guasti dal tempo delle guerre. Tale sarebbe la versione più modesta che potrebbe darsi alle dicerie corse sui nostri Castelli. Ci sarebbe dell’altro però. Dalla lunghezza della via sotterranea di forma poligonale […] ci sarebbe da arguire che essa servisse alle comunicazioni segrete fra i vari forti.”
Il D’Elia rintraccia anche l’esistenza di una necropoli dipendente da quei Castelli: “dai sepolcri messapici – con la facciata del cadavere sempre rivolto ad Oriente – trovati in gran numero a mezzo chilometro dai vecchi Castelli e ad un metro di profondità in quel tratto di terreno che va dal convento di S. Francesco sino alla via provinciale, ci sarebbe da inferirne che qui fosse un sepolcreto da quelli dipendente…”.
I camminamenti sotterranei citati dal D’Elia furono utilizzati nel periodo delle incursioni nei casali di Agliano, Pasano e Bagnolo. Primaldo Coco ricostruisce infatti così l’episodio delle incursioni e la fuga verso i “Castelli”: “La maggior parte di questi profughi per sfuggire alla morte vennero a dimorare in un luogo più sicuro messo sul confine del feudo di Pasano o di Aliano dalla parte del Levante, nella contrada chiamata i Castelli, ove poteano in tempi di persecuzioni facilmente salvarsi nei diversi cunicoli sotterranei che vi erano e che tuttora in parte sussistono”. Il Coco prosegue quindi, facendo riferimento all’origine della attuale Sava fondata sulle rovine dei Castelli, che egli ritiene aver avuto la funzione di fortificazioni atte a difendere il confine oritano: “Venuta la tregua, alcuni tornarono ad abitare Pasano. Gli altri si stabilirono e cominciarono a fabbricare le loro case accanto ai vecchi Castelli in parte rovinati e cadenti, che, neri e minacciosi posti sul confine del territorio oritano, sulla via Appia Traiana, detta anche Augusta Salentina, servivano di dimora e di difesa alle sentinelle che avevano cura di guardare la foresta oritana da aggressioni che poteano venire dal confinante agro tarantino. Da questo aggruppamento fortuito di case sorse Sava, detto prima Castelli dal latino Castitia”.
Il D’Elia intravede nei Castelli un agglomerato di ben altra origine e consistenza (polemizzando con chi li descrive alla stregua di una semplice rocca militare), tanto che finisce addirittura con il congetturare che dietro le rovine di quel sito potesse celarsi la mitica Sallentia descritta da Stefano Bizantino: “Ora ditemi: non potrebbe per un momento venire in mente all’erudito di vecchie cronache che qui davvero – sul confine dei tre regni Messapico, Salentino e Calabro – fosse stata edificata la città di Sallenzia Urbis Messapiorum ?”. Lo stesso Pichierri riprenderà questa ipotesi, identificando nel toponimo “Fallenza” (contrada savese) una analogia con la località descritta dal Bizantino.
Al di là di congetture ed ipotesi, tutte le fonti storiche concordano nel fatto che sarebbe esistita (ed esiste, celata sotto le edificazioni di parte del paese) una rete di cunicoli sotterranei di grandi dimensioni ed estensione, e questo è, in mancanza di altri dati, l’aspetto della questione che più ci interessa e che può fornire certezze e stimoli per future ricerche.
Nel 1973 ritorna sull’argomento Pasquale Del Prete, che concorda, citando lo stesso D’Elia, con la tesi della comunicazione dei camminamenti sotterranei di Sava con Uggiano e con Pasano, estendendo l’ipotesi di un tracciato protraentesi sino alla zona costiera. Cosa ancor più interessante, il Del Prete afferma di essere egli stesso testimone degli ultimi varchi ancora aperti verso i sotterranei. Un percorso assai lungo, se come egli asserisce, le candele accese dai suoi amici si consumavano prima che fosse terminata la “passeggiata sotterranea” e se gli improvvisati esploratori erano costretti a risalire senza mai aver potuto indagare l’intera rete cunicolare: “Ancor viva è nella memoria dei vecchi savesi l’esistenza, nella località denominata “Castelli”, di un passaggio sotterraneo lungo vari chilometri, ostruito, ad un certo punto, in modo da impedirne l’esplorazione. Ho il vago ricordo di quello che raccontavano a me, bambino, nel tentare di indurmi a seguirli, i cugini più grandi, e certamente più avventurosi, che si spingevano in quei varchi a lume di una candela la cui fine era predestinata assai prima che tutto il percorso potesse essere compiuto. Così, alle prime difficoltà, ritornavano a tastoni, a rivedere le stelle, le persone che in Sava, centro agricolo importante abitato da gente poco incline alle avventure ed al perder tempo, tentassero di squarciare il velo di mistero di questi antichi antri non più praticati e di cui si va perdendo la traccia se pure non è perduta del tutto”.
Il compianto Gaetano Pichierri riprenderà alacremente le ricerche sulla “Sava sotterranea”, raccogliendo quante più informazioni possibili, anche di carattere etnografico, in mancanza della possibilità di scavi e indagini sistematiche. Non è possibile in questa sede citare per esteso tutte le informazioni raccolte dal Pichierri, ma dobbiamo immaginare, in base alle sue ricostruzioni e alle notizie fornite dalle fonti sopra citate, un agglomerato sotterraneo che parte dall’attuale centro di Sava (Piazza S. Giovanni, via Dante, via Adua, Piazza Vittoria), e si estende a raggiera verso via Vittorio Emanuele, verso la via per Francavilla, verso il rione così detto “Bari Vecchiu” e la via per Uggiano, verso via Roma, e verso la cosiddetta “Spicchiodda” (attuale sede del mercato settimanale).
Non si tratterebbe di meri “cunicoli” ma di vere e proprie strade sotterranee, carreggiabili (difatti i testimoni oculari hanno raccontato della presenza dei solchi tracciati dai carri) e illuminate, in un tempo antichissimo, da lucerne ad olio poggiate sopra ad appositi spazi ricavati a ridosso dei muri. Viene descritta inoltre la presenza, lungo queste strade, di mangiatoie per cavalli, e varie testimonianze parlano della presenza di pozzi sorgivi, alcuni dei quali corredati di muratura circolare in tufo che ne delimitava e proteggeva l’imboccatura.
Dalla zona dell’attuale centro storico si dipanavano dunque i camminamenti, che mettevano in comunicazione con punti strategici situati agli estremi del nucleo abitato (i “fortini” citati dal D’Elia). L’antica città era dotata anche di un sepolcreto, che partiva dalla sinistra (guardando verso Taranto) della attuale via Vittorio Emanuele, e, attraversando le varie vie trasversali (via Bonsegna, via S. Cosimo, via S. Francesco, via Caraccio), giungeva sino alla parallela via Roma toccando anche via S. Filomena.
In varie epoche i sotterranei savesi sono riemersi e sono stati richiusi: ad esempio intorno agli anni ’60, un uomo percorre sotterraneamente, attraverso un cunicolo scoperto nello scantinato di una abitazione, un tratto che corrisponde dalla attuale via Adua sino a via Vittorio Emanuele. Nel 1971, in occasione dei lavori di costruzione di una banca in Piazza Vittoria, il martello perforatore sprofonda nel vuoto al momento della messa in opera del caveau, e da lì emergono i sotterranei nei quali i maestri muratori discendono per le verifiche tecniche del caso, giungendo sino ad un fonte da dove riempiono anche una bottiglia d’acqua come prova.
Intorno al 1987 un camion sprofonda nei pressi della Mater Domini e si riapre parte del sotterraneo che viene subito ricoperta. Molte altre sono le testimonianze di persone che vi discendono in tempi diversi, da via Dante, via Adua, via Vittorio Emanuele, via Fiume. L’antica chiesa di S. Elia, situata un tempo nella attuale via Fiume e citata come extra moenia (fuori dalle mura) in un documento del 1684, testimonierebbe secondo il Pichierri che i grandi massi ciclopici di cui parla il D’Elia fossero i resti di una imponente cinta muraria oltre la quale poi avvenne l’edificazione della chiesa stessa.
Analogamente, si hanno numerose testimonianze di rinvenimenti fortuiti di tombe nella zona della cosiddetta necropoli. Alle descrizioni più o meno dettagliate degli oggetti rinvenuti non si affiancano le testimonianze tangibili dei reperti poiché essi vengono trattenuti o trafugati: Gaetano Pichierri riesce però a fotografare uno Skyphos a vernice nera, datato al IV sec. a. C., rinvenuto in via S. Filomena. Da notare che nel Museo Archeologico di Oria e dei Messapi, situato nel Palazzo Martini a Oria, sono presenti esemplari simili a quello savese.
Un’altra testimonianza è data da un importante ritrovamento del 1856, consistente in un tesoretto di monete tra le più antiche in assoluto fra quelle ritrovate nel tarantino, tanto che viene citato in vari testi numismatici: nel 1863 dal Sambon, nel 1889 da Evans, nel 1972 dallo Stazio, fino alla recente citazione (2013) nel Notiziario del Portale Numismatico dello Stato.
Alcuni elementi vengono forniti anche da Giuseppe Lomartire che cita rinvenimenti di tombe avvenuti nel 1969 e nei primi del ‘900, mentre Giglio Caraccio riferisce che da fonti orali avrebbe appreso dell’esistenza di cunicoli che dal Castello baronale si estendevano sino alla città di Oria, in parte percorsi da testimoni sino all’altezza di via Giusti.
Ulteriori testimonianze, purtroppo unicamente sotto forma di aneddoti e racconti tramandati, le ho raccolte di recente e le pubblicherò in altra occasione (insieme a queste, quella di due uomini che non vogliono rivelare la loro identità e che riferiscono di essere scesi loro stessi nei sotterranei).
In mancanza di dati e analisi approfondite, non possiamo affermare con certezza in cosa consistessero esattamente i sotterranei savesi, e a quali e quanti diversi usi fossero stati adibiti nel corso dei secoli. Sicuramente servirono anche come vie di fuga o rifugi nel corso di incursioni e guerre, e, se è esatta la tesi che risalirebbero – anche solo in parte – al periodo messapico, furono riutilizzati e forse modificati e ampliati in epoche a seguire. Più volte Gaetano Pichierri nel corso delle sue appassionate ricerche lanciò alle istituzioni appelli per una campagna di scavi, appelli che restarono sempre inevasi: qualcuno giudicò come onerosa e addirittura impossibile l’impresa suggerita dal Pichierri, oggi però sappiamo che in molte città, compresa la vicina Lecce, sono in corso d’opera progetti che stanno riportando alla luce, con criterio e con strabilianti risultati, i resti dei locali sotterranei.
Gianfranco Mele
Note
Questo articolo, qui revisionato e ampliato, è apparso per la prima volta in versione cartacea su “Il Giornale di Sava – la rivista delle Terre del Primitivo” nel dicembre 2015, con il titolo “Sava – “Li Castieddi e i camminamenti sotterranei, le affascinanti testimonianze di una Sava inedita, antica e nascosta”. Un altro, diverso documento sullo stesso tema, contenente ulteriori informazioni e dettagli, è apparso nel luglio 2015 sul sito web dell’ Archeoclub di Carosino ed è rintracciabile al seguente link: https://terredelmesochorum.wordpress.com/2015/07/19/sava-castelli-la-citta-sotterranea-e-la-necropoli-documenti-tracce-e-testimonianze-di-un-antico-centro-abitato-precedente-la-sava-del-xv-secolo/
BIBLIOGRAFIA
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Caraccio, Giglio: Sava, cronistoria della cittadina ionica per i suoi seicento anni, Schena Ed., Fasano, 1987
Coco, Primaldo: Cenni storici di Sava stab. Tipografico Giurdignano, Le, 1915 – ried. Marzo Editore, Manduria, 1984
D’Elia, Achille: Sava e il suo feudo, Storia paesana (manoscritto), 1889
Evans, Arthur J.: The Horsemen of Tarentum – a contribution towards the numismatic history of Great Greece, London, 1889
Lomartire, Giuseppe: Sava nella storia, Cressati, TA, 1975
Mele, Gianfranco: Sava-Castelli, la città sotterranea e la necropoli. Documenti, tracce e testimonianze di un antico centro abitato precedente la Sava del XV secolo, in: Terre del Mesochorum – storia, archeologia e tradizioni nell’area ionico tarantina luglio 2015
Mele, Gianfranco: Sulle tracce di Sallenzia: le ipotesi di Achille D’Elia e Gaetano Pichierri concernenti l’agro di Sava (TA) in Academia.edu, 2015
Mele, Gianfranco: Sava e il suo feudo : il contributo di Achille D’Elia alla storia antica locale (con a margine, cenni sulla produzione letteraria dell’autore) in Academia.edu, 2015
Del Prete, Pasquale: Il Castello federiciano di Uggiano Montefusco, Archivio Storico Pugliese,Bari, Società di Storia Patria per la Puglia a. XXVI, 1973, I-II
Pichierri, Gaetano: Sul ‘ camminamento ‘ sotterraneo di Sava: testimonianze – in: “Omaggio a Sava” a cura di Vincenza Musardo Talò, Del Grifo Ed., Le, 1994
Pichierri, Gaetano: Nella città sotterranea per sfuggire ai saraceni in “La gazzetta del Mezzogiorno”, anno XCVII n. 234, 27 agosto 1984
Pichierri, Gaetano: Aree nuove per parcheggi nuovi in: “La Gazzetta della Puglia” anno II, n. 6, giugno 1989
Pichierri, Gaetano: I confini orientali della Taranto greco-romana, pagine inedite e pubblicate postume in “Omaggio a Sava” a cura di Vincenza Musardo Talò, Del Grifo Ed., Le, 1999
Sambon, L.: Recherches sur les anciennes monnaies de l’ Italie meridionale, Neaples, Cataneo, 1863
Stazio, Attilio: Per una storia della monetazione dell’antica Puglia, in: Archivio Storico Pugliese, 28, 1972