Un ultimo giro di parenti, un salto al negozietto dietro l’angolo per fare scorta di prodotti tipici e poi via verso altre realtà. Questa è la scena che siamo abituati a vedere in questi giorni al Sud, sopratutto nei centri più piccoli. Una perpetua emorragia demografica che sta spopolando in modo particolare le aree interne del Mezzogiorno. Non si parte più con la valigia di cartone, tra le lacrime dei genitori e la macchina stracolma di ogni ben di dio sul porta pacchi, ma si va via in maniera silente con uno zaino, l’ipad e tanti ricordi nella testa che legano quei volti di passaggio a questa terra da sempre martoriata offesa ma soprattutto amata. Una linfa vitale che va via dal sud lasciando in piedi sogni e speranze. Al primo posto tra le motivazioni che spingono i giovani ad andare via non è più la ricerca del lavoro ma la formazione. Difatti, il flusso in continua crescita è alimentato dalla fuga di cervelli verso le università del centro-nord e negli ultimi anni anche all’estero. Una volta intrapresa la strada dello studio è molto difficile che i neolaureati ritornino al sud sopratutto tenendo conto dei nuovi tragici dati. Difatti sul piano lavorativo i dati sulla disoccupazione, nel nostro Paese, sono sempre più gravi e allarmanti. Il tasso di disoccupazione, in Italia, supera oramai i 9 punti percentuali. Ma, chi sta pagando maggiormente i danni, dovuti a questa crisi economica, e di conseguenza lavorativa, sono gli abitanti delle regioni meridionali. Il 30% dei giovani laureati al sud non ha un lavoro e dove le cose vanno meglio lavora solo un ragazzo su tre. Per non parlare dell’occupazione femminile. Basti pensare che il 70% delle donne che abitano nel Mezzogiorno non ha un lavoro. Da una parte ci sono i dati, che segnalano un problema di occupazione sempre più pressante: a luglio Istat ha rilevato un aumento del divario territoriale tra le due metà del Paese, con tassi di disoccupazione che vanno dall’8,4 per cento del Nord (+0,3 punti percentuali) al 20,3 per cento del Sud (+0,5 punti percentuali). Dall’altra però ci sono le persone che combattono per non abbandonare al proprio destino le terre del Sud, per individuare e percorrere ogni possibile strada di rinascita e di sviluppo, prendendosi cura di nuovi progetti e di nuove culture. Una emorragia che non ha fine e che negli ultimi anni ha visto modificare anche tanti aspetti mettendo in discussione anche i dati appena citati. Le immatricolazioni, infatti, sono in calo del 10% al Nord, del 25% al Centro e arrivano addirittura al 30% nel Mezzogiorno. Sono dunque i giovani del Sud quelli che fuggono dalle università. Proprio i giovani di quelle regioni in cui la crisi economica morde di più e in cui la sola risorsa possibile su cui puntare è la cultura. Sono i giovani del Mezzogiorno che stanno rinunciando a considerare la formazione come un’opportunità. «È stata la crisi economica che ha determinato una divaricazione di percezione: nell’anno 2005/2006 – si legge in un rapporto pubblicato da L’Unità . infatti, i giovani meridionali iscritti all’università aveva raggiunto quello dei giovani settentrionali (674mila contro 679mila). Nei sei anni accademici successivi, i giovani settentrionali iscritti sono leggermente aumentati (fino a 685mila), mentre il numero dei giovani meridionali è crollato a 613.000 (meno 9,2%)». Questa fuga dei giovani meridionali dalle università modifica i termini dell’antica e mai risolta «questione meridionale». Che ora non è più solo economica e sociale. Ma è sempre più una questione, appunto, culturale. Che non è una dimensione eterea. Al contrario, è una dimensione che ha effetti concreti. Continuando ad analizzare i dati, infatti emerge, che tra i pochi giovani meridionali che si iscrivono all’università, uno su quattro (il 25,4% del Mezzogiorno continentale e il 25,0% delle Isole) sceglie un ateneo fuori dalla propria regione. Contro il 9,0% dei giovani del Centro, l’8,8% dei giovani del Nord-Est e l’8,0% dei giovani del Nord-Ovest. Una quota parte importante dei giovani meridionali che si iscrivono fuori regione, va a studiare nelle università del Centro e del Nord. Dunque a lasciare il Sud non sono solo i laureati (170.000 negli ultimi dieci anni, secondo un recente studio di Unioncamere) che non trovano lavoro dalle loro parti, ma anche gli studenti. Ci sono dunque due fughe dei giovani meridionali. Una dagli studi superiori. L’altra dalle università del Sud verso le università del Centro e del Nord. Entrambe stanno determinando l’erosione della classe dirigente futura. Ma l’emorragia dei giovani è tale che, si calcola, una regione come la Basilicata potrebbe subire un vero e proprio calo demografico, con una popolazione che potrebbe diminuire di 50.000 unità su 574mila (quasi il 10%) nei prossimi anni. Tutto questo il Sud non può permetterselo. Ma neanche l’Italia può permettersi un Mezzogiorno sempre più deprivato di giovani, di cultura e di classe dirigente. Numeri che si tramutano in realtà, della mia classe 1982 dove affollavamo i banchi della prima elementare nella grigia scuola di paese in 26 piccoli cittadini del futuro solo 5 sono rimasti qui al sud. Gli altri 21 giovani del sud sono frazionati tra impieghi al nord, studi interminabili e arruolamenti. Anche questa dell’esercito è un’altra via di fuga con dati che ci dovrebbero far pensare. Basta aprire un giornale e nelle cronache di solito i soldati morti all’estero sono tutti del sud. Non è un caso, non è una fatale coincidenza è solo lo specchio della realtà. Il Sud Italia fornisce alle Forze Militari il 68% dei candidati ai concorsi, contro il 12% del Centro e il 18 % del Nord. Le statistiche riguardanti le singole regioni, poi, parlano chiaro; è proprio la Campania la regione che detiene il maggior numero di candidati, con più di 13mila richieste. A seguire troviamo la Sicilia e la Puglia. Un sogno di sud condiviso che si intraprende nella quotidianità e si spezza alla prima partenza per poi riprendere il filo del discorso nuovamente e cercare di costruire con nuovi colori nella speranza che anche loro non siano protagonisti di nuove partenze. Un sud che ha bisogno non solo di fondi e sicurezza ma sopratutto di dare a tutti la possibilità di scegliere se restare o andare via e non l’obbligo di dover trovare un sereno futuro solo ed esclusivamente altrove.
Andrea Gisoldi su social.i-sud.it
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