Scriveva Sergio Zavoli: “Oggi abbiamo bisogno di capire perché stiamo vivendo un tempo che, per molti versi, non ci piace”.
Non solo giornalista. L’educatore del bel linguaggio. Non solo il protagonista di quell’immaginario che è stato condiviso del ciclismo in bianco e nero. Il Giro d’Italia. Gli italiani in una Italia diversa. Lo sport come empatia e condivisioni di valori. Non solo l’antico amico di Federico Fellini con il quale si raccontavano i sogni.
Dal documentarista a incarichi in Rai come presidente della vigilanza. Ci fece capire il terrorismo in quella “Notte della Repubblica”, e prima nella “Dittatura”, attraverso il filtro dei brigatisti e le immagini come visioni di testimonianze dure. Lo storico che scrisse insieme ad Arrigo Petacco.
La storia portata in tv sembrava ricalcare il documento degli spazi dei servizi Luce. Un intellettuale che guardava alla politica con la testimonianza della cultura. Non solo uno storico, dunque, ma anche uno scrittore. Un poeta che custodiva le sue poesie come il vissuto intimo di una vita.
Se ne è andato anche Sergio Zavoli.
Un pezzo della cultura televisiva sulla quale ci siamo formati, forse quelli della mia generazione, nel lasciare un segno ha caratterizzato un modo di fare giornalismo con eleganza, stile e competenza. Una grande capacità meditativa.
Ogni parola aveva il peso, non la leggerezza, del pensiero. Quella sua immagine fissa nella telecamera e tra le mai gli occhiali la porto costantemente dentro di me.
Per me è stato molto importante. Anche nel nostro dialogare quando era in Rai e in modo particolare quando decise di pubblicare le sue poesie. La grandezza di un uomo non sta nella appartenenza ad uno schieramento politico. Ma va oltre. Sta, invece, in quello che è, in quello che dice, pensa, ascolta e parla. Ogni parola cadenzata nella pazienza, misurata nella educazione verso l’altro, posizionata nella logica del ragionamento alto. Mai fuori posto. Mai alterato. Mai contrapposto ma sempre posto a confronto.
I suoi Reportage hanno segnato l’epoca di un giornalismo nobile. I suoi libri sono la chiave dell’interpretazione della sua vita. La sua politica di riformista di sinistra ha permesso sempre un confronto diretto con la cultura di destra. Ma la politica la abitava come una stanza in un palazzo di 600 stanze che era costantemente frequentata dal pensiero e dalla dialettica.
Nella sua Lectio del 2007 quando gli venne co ferita la laurea a Tor Vergata disse: “Come trasmettere il senso delle cose comunicate se, per garantirsi il consenso del pubblico, si è fatto largo il costume di privilegiare l’effimero e l’inusuale, il suggestivo e il violento strumentalizzando e banalizzando persino la sacralità della vita e della morte?”.
Ebbe frequentazioni con letterati e letteratura. I suoi libri testimoniano un progetto di cultura e di vita.
Da “Campana, Oriani, Panzini, Serra. Testimonianze raccolte in Romagna”, Bologna, Cappelli, 1959 a “Viaggio intorno all’uomo”, Torino, Società Editrice Internazionale, 1969. Da “Von Braun. L’uomo della luna”, Milano, Longanesi, 1969 a “In nome del figlio”, Torino, Società Editrice Internazionale, 1972. Costituiscono percorsi di esistenza diventati storia per una biografia da scrivere completamente. Poi vennero “Dal Gran Consiglio al Gran Sasso. Una storia da rifare”, con Arrigo Petacco, Milano, Rizzoli, 1973 a “I figli del labirinto”, Torino, Società Editrice Internazionale, 1974.
Da “I giorni tascabili”, Bergamo, Minerva Italica, a “Itaglia mia”, Bergamo, Minerva Italica, 1977. Così “Socialista di Dio”, Milano, A. Mondadori, 1981 che lo portò a confrontarsi profondamente con gli scritti di Ignazio Silone e con quella visione di cristiani senza chiesa o la tanto discussa e importante “uscita di sicurezza” siloniana.
Vi furono tanti altri libri e reportage trascritti in libro. Nelle ultime stagioni abbiamo letto da “Sui banchi della vita”, Bergamo, Minerva Italica, 1984 a “In parole strette”, Milano, Mondadori, 2000. Da “L’orlo delle cose, Milano, Mondadori, 2004, sino a “L’infinito istante”, Milano, Mondadori, 2012. Un viaggiare tra i suoi libri e la sua vita. Testimoniarsi era, per Zavoli, sempre un dovere. Era un amico che non si è mai sottratto. Era nato nel 1923.
Ebbe a dire: “Se è vero che ci sono dei valori che nascono all’interno delle società a seconda del tempo che queste società hanno il destino di vivere, nondimeno ci sono valori che attraversano queste società e che lasciano segni, tracce, destinati a durare perché quei valori hanno un carattere assoluto”.
Ecco! I valori. Un uomo di un’epoca grande nella grandezza dell’uomo grande che era Sergio Zavoli.
Pierfranco Bruni