Introduzione
Tra il 1976 e il 1978 il sottoscritto, appena ragazzino, partecipò ad una ricerca curata da un locale gruppo di appassionati di storia e tradizione locale, detto “Gruppo Culturale Salentino” che ebbe l’iniziativa di andare a raccogliere nelle case dei contadini, e anche e soprattutto nei campi durante il lavoro, le voci dei canti popolari locali, fissandoli su un registratore. Il nostro compito fu quello di musicare detti canti, basandoci sulle melodie raccolte dalla voce dei contadini, e rappresentarli in una presentazione pubblica avvenuta presso i locali del Convento S. Francesco. Di quei materiali non ho più trovato tracce (nonostante abbia più volte cercato di riottenere i nastri), anche se alcuni anni dopo ne fu pubblicato un libello che ne raccoglieva alcuni: tuttavia mancava nel libro proprio il riferimento più significativo, ovvero la diretta voce degli anziani di paese e dei contadini, fissata su quelle cassette “stereo-4”. Più volte, mandammo in onda quelle registrazioni, e dunque le voci originali dei contadini e delle contadine che le interpretavano, durante alcune trasmissioni della vecchia Radio Sava. Per lo più, i canti raccolti erano canti di lavoro, stornelli, canti detti “dei trainieri”. Poco più tardi un gruppo di giovanissimi come noi, capeggiato da Claudio Massari, fece un altro bel lavoro di ricerca dal quale vennero fuori un’altra serie di canti locali, rappresentati in più occasioni nei teatri e nelle piazze locali: spesso, ci adoperavamo ad organizzare in sinergia rappresentazioni musicali nelle quali mescolavamo la ricerca e la tradizione popolare con elementi di contemporaneità. Nel tempo, ho potuto accumulare una notevole mole di canti della tradizione locale, sia attraverso ricerche di tipo bibliografico che etnografico, che grazie a quelle esperienze e quelle collaborazioni intraprese a fine anni ’70: ne ho parlato in parte in articoli che cito qui di sotto in bibliografia (e a i quali rimando), e mi soffermerò nel riportarne altri stralci o testi completi in prossime occasioni. Quello che invece non ho potuto raccogliere con sistematicità e dovizia di particolari è un quadro esaustivo e dettagliato degli “attori” della locale antica tradizione musicale; tuttavia, questo scritto consiste in un primo tentativo di inquadramento di questi aspetti, dopo aver attinto alle poche fonti a me resesi disponibili, ivi compresa la ricerca di repertorio fotografico (per ora limitatissimo e che tuttavia qui in parte inserisco) che spero si ampli in futuro.
Andrò avanti in ordine temporale: restando sempre in ambito savese, la prima figura della quale siamo riusciti a reperire un minimo di informazioni è quella, singolare anche per la sua storia di vita, di Daniele Mero, violinista per le tarantate nella Sava di fine Ottocento. Anche di questo personaggio ho parlato in un articolo che riporto qui in bibliografia, facilmente rintracciabile sul web. Tuttavia, riassumerò a seguire gli aspetti più salienti dello scritto. Un’altra suggestiva figura è quella del cantastorie-“zzuccatori” Leonardo Schifone.
Dopo aver delineato queste due figure di musicisti locali, riporto stralci di alcune interviste che rappresentano la Sava anni ’40, tra feste di campagna e rituali per il tarantismo.
Infine, una brevissima ricognizione su alcuni aspetti della musica locale (strumenti e “sunatùri”).
Tra Ottocento e inizi Novecento: Daniele Mero, il violinista cieco per le tarantate, e Leonardo Schifone, il cantastorie epico
Nel 1812, i giovani savesi Pasquale Prudenzano (1788-1867) e Daniele Mero (1792-1878) si arruolano nella Grande Armata Napoleonica e partono per Mosca con un contingente di soldati del Regno di Napoli. Entrambi faranno ritorno in patria ma uno dei due, ferito in guerra, vi ritornerà cieco. Si tratta di Daniele, il quale da quel momento dedicherà la sua vita a suonare il violino per le tarantate. Questi pochi dati, li apprendiamo attraverso uno scritto di Carmelo Spagnolo Rochira del 1934, intitolato “Una visita di Gioacchino Murat nel Salento”. La vicenda è raccontata anche da Giuseppe Lomartire in un suo articolo del 1982, apparso sulla rivista “Rassegna salentina” e intitolato “Due savesi con Napoleone in Russia”, mentre risaliamo all’identità certa del nostro violinista attraverso una recente ricerca di Rossetti e Corrado, intitolata Savesi in Russia 1812/1941-43 e ragazzi “russi” a Sava. La figura del violinista cieco per le tarantate è ricorrente nella nostra tradizione:
è il caso di Francesco Mazzotta di Novoli, citato anche dal De Martino ne La Terra del Rimorso, di “Pascali lu ciecu” di Lizzano che, si racconta, fosse divenuto cieco proprio a causa del morso di un ragno, del violinista tarantino “Ciotola” che nell’ 800 era una conosciutissima figura nell’ambito dei musicisti locali per le tarantate.
Altra singolare e originalissima figura apparsa nella locale tradizione musicale di inizi Novecento, è quella del cantastorie Leonardo Schifone detto “Nardu lu sciarpu”.
“Nardu” fu autore di diversi componimenti, che descrivevano fatti, avvenimenti e tragedie avvenute nei luoghi. In un’epoca in cui i giornali assolvevano solo in parte alla diffusione della cronaca, a causa del fatto che poca gente era scolarizzata, erano i cantori a “informare” il popolo, o a ricostruire i fatti di cronaca più salienti ed eclatanti. Così, lo Schifone scrisse e cantò dell’omicidio Marotta, che ebbe ampia eco anche sui giornali dell’epoca. Si occupò poi della faida tra “Milampi e Spuntuni”, le due fazioni politiche che tra fine ‘800 e inizi ‘900 si contendevano le sorti del paese di Sava: l’apice di questa faida fu un tristissimo fatto di sangue, che il cantastorie immortalò in versi, in un lunghissimo e toccante componimento intitolato “Alla prima ti lu marzu”. Una biografia più dettagliata di questo personaggio la ho inserita in un precedente articolo, citato qui in bibliografia, e al quale rimando per approfondimenti.
Sava, anni ’40: tra serenate, feste campagnole e tarantate
In quel di Truddu Luengu, contrada savese, un singolare rituale estivo e festaiolo si teneva ricorrentemente sempre in quegli anni, con protagonisti altri giovani e “sunatùri” dell’ epoca, e di questo mi racconta Mimina, oggi ultraottantenne: “facevano queste feste… con i suonatori… i preparativi iniziavano giorni prima, “puntavano” il giorno della festa, e incominciavano a preparare tutto. C’erano mio zio, Aldino Fabbiano con la chitarra, “Ndinu” col mandolino, a volte c’era addirittura Don Guido col “piano”: il piano lo trasportavano, non so come, e lo nascondevano “intra allu pajaru”. Mia zia “scannava nu jadduzzu” per gli invitati e i suonatori, e si faceva questa festa… ma a volte il nonno li scopriva e arrivava con il fucile, arrabbiato, e sparava in aria per farli andare via tutti, e smettevano…”.
Tarantismo a Sava e nei paesi limitrofi
Da alcune interviste raccolte di recente ad anziani del paese, apprendo che negli anni ’40 esisteva in loco ancora il fenomeno del tarantismo con protagonisti tarantate e “sunatùri”. In via Dante, una tarantata offriva spettacolo di sé durante le sue crisi al vicinato e a un pubblico composto da adulti e bambini: all’interno di una stanza con la classica volta “a stella”, la donna, accompagnata da una piccola orchestrina in cui spiccavano tamburello e cupa-cupa, si lanciava nella danza. Mi racconta il sig. Giovanni, a quell’epoca un bambino:
“ intorno a lei erano sedute persone che partecipavano insieme ai suonatori a fare un frastuono, al centro la donna che ballava con movimenti e un fazzoletto in mano”.
Mimina, una anziana donna savese, mi racconta invece di “Nunna Teresa”, la tarantata di via S. Cosimo. Anche qui, pochi, stringati e sbiaditi particolari, e siamo sempre nella Sava anni ’40: “la donna ballava… gridava…si buttava sul letto”. Tra i musicisti che eseguivano il rituale “terapeutico”, Ndinu lu Pammaru, un mandolinista che animava anche feste campagnole. Di questi ed altri aspetti del tarantismo locale ho parlato più dettagliatamente nel mio articolo “Echi e aspetti del tarantismo in Sava e nel territorio limitrofo”, apparso di recente nella rivista cartacea Il Delfino e la Mezzaluna (n.8, 2019).
Il De Martino nella sua opera “La Terra del Rimorso” fa un breve cenno al tarantismo nel territorio manduriano e savese, ma per rimarcare quanto scrisse già lo storiografo e studioso di folklore leccese Luigi Giuseppe De Simone nel 1876. In un articolo dal titolo Il ballo (la Taranta, la Pizzica-Pizzica, la Tarantella), il De Simone ci descrive la figura del violinista cieco di Novoli, Francesco Mazzotta, il quale gli riferisce che a Melendugno, Sava, Manduria, Martina, S. Giorgio, Lizzano ecc. “manca la vera tradizione dell’arte”. Questo perchè, sempre secondo il Mazzotta, Novoli sarebbe stata una sorta di patria elettiva del tarantismo e della musica per le tarantate, mentre nei sopracitati paesi la tradizione si sarebbe persa fino a ridurre ad un solo motivo le arie terapeutiche: e, per questo motivo, il Mazzotta si rifiutava di portare la sua musica in soccorso delle tarantate e dei tarantati di questi paesi. Invece, al di là del campanilismo del Mazzotta, non solo la tradizione del tarantismo e delle musiche per il tarantismo in questi territori era ancora viva tra metà e fine Ottocento, ma rivestiva anche una notevole complessità rituale.
Nota curiosa, il De Simone cita, nel suo articolo, un canto che è il seguente: “Mariola Antonia! Mariola te lu mare! / Taranta Mariola pizzica le caruse tutte quante ! / Pisce frittu e baccalà e recotta cu lu mele, maccaruni de Simulà.
(la tarantata risponde, esclamando): Ohimme! Mueru! Canta! Canta!”
Rispetto a tale canto, un motivetto analogo mi è stato accennato in Sava : “… pesci frittu e baccalà, e ricotta cu lu meli, Ton Pascali cu la mujèri…”. A.B., savese di oltre 60 anni, mi ricorda una strofa del motivetto, una ulteriore variante, in una versione identica a quella raccontata dal De Simone: “pesci frittu e baccalà, e ricotta cu lu meli, maccarruni ti semula…”.
Diciassette anni dopo lo scritto del De Simone, sarà un manduriano, lo storico e studioso delle tradizioni Giuseppe Gigli, a offrirci una descrizione dettagliatissima dello scenario legato al rito del tarantismo locale. La descrizione che ci lascia il Gigli documenta l’esistenza di un fenomeno, attorno al 1893, che è lungi dal poter essere considerato come un fenomeno affievolitosi e rimaneggiatosi dal punto di vista rituale e musicale. Dopo il Gigli, un altro manduriano, Michele Greco, affronta con un dettagliato scritto il tema del tarantismo, e siamo nel 1912.
Michele Greco ci riporta un frammento della taranta manduriana riportato dal Greco è il seguente: “(Addò t’è pizzicata la taranta)…addò t’è pizzicata cu sia ccisa / Intra alla putèa ti la camisa…”
Verso il finire degli anni ’80, ho potuto raccogliere, dalla voce di una donna di Sava, Giuseppa Calò (classe 1928), una versione savese della tarànta che ho pubblicato in altre occasioni: tale versione non si discostava molto nelle arie da alcuni canti pervenutici dai paesi di Lizzano e S. Marzano, e assomigliava molto nel testo a quella raccolta dal Greco in Manduria.
Strumenti e suonatori nella musica popolare locale
Oltre agli strumenti “classici” del caso (violino e tamburello) si inseriva la cupa-cupa, che in area savese è stato uno strumento molto usato nell’ambito della musica contadina, e, ovviamente, strumenti come mandolini, chitarre e organetti.
Uno strumento popolare dalla metà Ottocento fino agli anni ’30-’40 è la cosiddetta chitarra arpa, caratterizzata da due palette una delle quali reggeva corde sospese e senza tasti.
Riguardo ai “sunatùri” delle epoche passate in area locale, e alle loro storie di vita e biografie, abbiamo pochi riferimenti, tra i quali, come si è detto, il violinista cieco della Sava di fine Ottocento, il cantastorie Schifone (fine ‘800 – inizi ‘900), il mandolinista “Ndinu lu Pammaru” negli anni ’40 – 50.
Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80 in Sava c’erano ancora molti musicisti anziani, appartenenti per gusti musicali ed anagraficamente a generazioni precedenti quella “beat”, e che avevano tuttavia “evoluto” il loro repertorio e i loro gusti musicali nella direzione di polke, mazurke e tanghi: via via, avevano sostituito mandolini e cupa-cupa con chitarre e fisarmoniche e, a seguire, batteria, basso, chitarre elettrificate. Era più facile, dunque, ascoltare dagli strumenti di costoro una quadriglia o un tango argentino che una “pizzica” o uno stornello. Nella foto in apertura di questo articolo (con didascalia “Sava, c.da Trullo Lungo, anni ’70: musicisti locali”), una scena che rappresenta il periodo di “passaggio” dai precedenti stili musicali a quelli successivi: la persona che regge la chitarra è il musicista più anziano del gruppo, il sig. Peppino Andriani da Taranto, sposato a Sava: lo accompagnano una cupa-cupa e un tamburello, ma Remo, il signore che suona il tamburello, e che è molto più giovane di Peppino, da lì a poco avrà un suo gruppo dedito a liscio e ballabili, e nel quale saranno presenti strumenti più moderni come basso elettrico e batteria. Peppino invece era più legato a strumenti e musiche più tradizionali, che eseguiva con maestria chitarristica: era lui il concertatore della piccola orchestrina, e nella sua casa estiva di Trullo Lungo ospitava i suoi amici musicisti per concertare il loro repertorio: ricordo di aver assistito alle loro prove da bambino, e ricordo perfettamente la presenza, oltre che della chitarra di Peppino, di mandolino, fisarmonica e cupa-cupa.
Gianfranco Mele
BIBLIOGRAFIA
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Giuseppe Rossetti, Roberto Corrado, Savesi in Russia 1812/1941-43 e ragazzi “russi” a Sava, Gruppo Culturale Savese, 2005
Giuseppe De Simone Il ballo (la Taranta, la Pizzica-Pizzica, la Tarantella), in “La Rivista Europea” 1876
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Anna Caggiano, La danza dei tarantolati nei dintorni di Taranto, in “ Il folklore italiano: archivio trimestrale per la racolta e lo studio delle tradizioni popolari”, anno VI, Fasc. I-II, genn. – giu. 1981 – p. 73
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Gianfranco Mele, Sava nei primi del ‘900: la faida tra “milampi” e “Spuntuni”: (con a margine ritagli da articoli originali della stampa d’epoca), in www.academia.edu, 2016
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Gianfranco Mele, La tradizione del canto popolare in alcuni paesi della provincia di Taranto, La Voce di Maruggio, maggio 2019
Gianfranco Mele, Leonardo Schifone, cantastorie a Sava tra fine Ottocento e inizi Novecento, La Voce di Maruggio, maggio 2019