Ci sono state città che hanno avuto la capacità di risollevarsi dopo “strazi” economici e culturali laceranti o calamità devastanti, e ci sono città che hanno perso l’incanto e l’amore e hanno trasformato questi due elementi nel lacrimatoio delle false verginità e dell’assenza di un pensiero, che sia pensiero. È inutile girarci intorno al discorso per non essere duri e usare metafore.
Taranto non è in crisi. Taranto non esiste. È soltanto una cartolina in bianco e nero. L’esasperazione occupazionale e le questioni economiche sono reali, ma bisogna avere una classe politica e dirigenziale in grado di sopportare il pensiero pesante, ovvero di sostenere un pensiero pesante in una strategia progettuale.
Cosa che a Taranto manca da un ventennio almeno. Non è soltanto una caduta della politica, e la gestione amministrativa comunale è un esempio emblematico di una mancanza di pensiero progettuale al di là delle questioni interne, personali o non personali, alla amministrazione stessa, è una mancanza di politica.
Ciò lo si nota nei diversi settori. Ma non è solo di Taranto che si parla. Tutto il territorio ionico non ha una progettualità culturale. Penso a Grottaglie che a pochi mesi di nuova amministrazione si naviga in vento d’altura. A Maruggio che ha avuto grandi splendori con la presenza dell’Assessore Molendini ora scivola nel vuoto e c’è il vuoto culturale. Da Laterza a Castellaneta a Manduria. La cultura è una koiné da nuovo vocabolario. Su Grottaglie mi soffermerò analizzando il vuoto e il nulla di una programmazione culturale come mi soffermerò su altri comuni.
Quando si parla di cultura o di progettualità culturale di Taranto non si tratta di moderare la crisi. È questione di reinventarsi una cultura. Una città con una grande memoria, Taranto, una città priva di cultura; nella contemporaneità la cultura non sempre lega con la memoria, ma con il futuro sì, sempre.
Taranto non ha forti personalità culturali che siano capaci di gestire una progettualità in grado di reinventarsi una città. Sì, perché questa città va reinventata. La classe politica non ha idee. Senza una idea determinante su una piattaforma di elaborazione culturale non si esce dal crollo. Non si smettono le polemiche che sono il nulla di una città inesistente. Invisibile, direbbe Italo Calvino. Ma la boria insiste e non so su quali basi. Vedete, io non credo al lavoro di gruppo esteso. Fa solo perdere tempo. È evanescente ed è ormai un fatto dilettante. Credo invece alla volontà e alla capacità e alla professionalità delle persone. Quattro, cinque, persone con un forte spessore politico e culturale prima (se non c’è cultura non si fa politica seria, anzi non si dà politica della cittadinanza alla città) potrebbero innescare una chiave di lettura rivoluzionaria per Taranto. Però si insiste a sostenere una economia dispersiva, una occupazione pre – precaria, a legittimare e delegittimare, nell’arco di giorni, giunte comunali che non hanno un senso sul futuro, a definire università di Taranto una università che è completamente relegata in una nicchia con un guscio che a Taranto ancora non si vede e non si percepisce, con una classe di intellettuali, così chiamati, che non c’è, non che è andata in crisi ma non c’è se non in piccolissimi esempi individuali da manuale, con una mancanza di prospettive per generazioni che vivono l’incertezza dei propri padri. Questo non ci legittima di un lamento antropologico costante. Il dato prioritario è che non si hanno le idee e quando queste idee emergono non sono utilizzabili perché non sono chiare. L’assenza di Taranto come città in prospettiva non la si deve ascoltare soltanto tra le mura greche e le storiche urbanizzazioni. Ma la si percepisce fuori di Taranto.
Il crollo di una città lo si vede dalle macerie reali abitandola costantemente. Chi la abita e abita altri spazi di città si rende conto, immediatamente, che quelle macerie metaforiche sono realtà nella coscienza di una popolazione. Le macerie o rovine non sono assemblabili come un reperto archeologico. Creano il disamore e quinti l’incanto è disincanto. Chi la vive per tre giorni osserva il paesaggio esterno che è unico, ma proprio questo paesaggio non valorizzato ha creato le macerie nella coscienza di un popolo. Non si risolve ponendo un mattone in uno spazio. Bisogna avere il coraggio di radere completamente le macerie e rinascere.
La mia metafora è forte, ma è una metafora. Se una università non ha dato i risultati obiettivizzati (se vi era un obiettivo, quando io ho svolto l’assessore all’università l’obiettivo c’era e come c’era) va cambiata la classe dirigente. Ed è inutile portarsi una medaglietta sulla giacca. Se un Comune è diventato l’ironia pirandelliana va isolato e non che ad ogni cambio di giunta c’è una corsa per diventare assessori in scadenza qualche giorno dopo. Se i cosiddetti uomini del sapere si lamentano, per una soprintendenza che non è stata mai scippata in cambio di un museo internazionale autonomo, è colpa di chi non comprende le modalità di cambiamento delle istituzioni culturali internazionali.
Il lamento e la protesta in questa fattispecie sono sintomi di poca conoscenza delle realtà culturali mondiali. Non si tratta di provincialismo, attenzione, ma di poca conoscenza. Qui le responsabilità non sono solo politiche, ma anche formative, educative, universitarie, istituzionali locali.
Cosa fare? Qui è il punto nevralgico. Io sono a Taranto da quarant’anni e non ho mai speso un’isola del mio tempo a protestare con il lamento o a parlar male del mio vicino o a creare pettegolezzi su chi ha lavorato e lavora. Ma sono stato educato a produrre idee e contenuti e continuerò a farlo senza parlar male del mio vicino. Taranto è l’agorà ormai del pettegolezzo. Allora. Quattro persone o meglio cinque, alla Gino Paoli, si danno appuntamento, senza finire la serata con la cena, brutta abitudine almeno per me che preferisco cenare a casa o con un caffè di orzo, e mettono giù delle idee pesanti su come far rinascere Taranto, su come recuperarla dalla sua assenza nel presente e su come veicolarla, attraverso le vocazioni e le risorse, nei circuiti internazionali su cinque aspetti:
1. la Cultura seria, materiale e immateriale, che porta economia ed immagine e non archivio o catalogazione; 2. il Mare che rappresenta l’immaginario e il reale per un turismo avanzato e non riciclabile; 3. il Terziario (o quarto) con il coinvolgimento di tutta la geo politica del territorio provinciale; 4. il Commercio innovativo e traslocabile con materie prime su prodotti di prima innovazione; 5. riconsiderazione dell’Università (non di un piano universitario ormai smarrito, ma che sarebbe possibile recuperare con le dovute capacità) con una spiccata funzione scientifica e culturale e con professionalità intellettive di primo piano nazionale e internazionale.
Soltanto successivamente si vedranno i benefici dell’occupazione. Perché, cari lettori, se non ci sono idee l’occupazione è soltanto una mera parola e l’economia è un parlarsi addosso tra non esperti.
Pierfranco Bruni