Ma come face calde, cè caloor, vien do che se sta chiù frische. Risalgono dal passato le parole d’ordine che si spargevano alla controra sotto il solleone.
In quel tempo, per dirla evangelicamente, la principale occupazione delle giornate estive era la difesa dal caldo, la conversazione intorno al caldo, le bevande e le consumazioni per lenire il caldo, la stasi e il rinvio dell’attività per via del caldo, l’insonnia e l’inappetenza a causa del caldo. Tutto il caldo minuto per minuto. C’erano le vestali del caldo, che venivano chiamate Facaldone. Erano donnone dalle gambone abbondanti, il viso paffuto e arrossato dalla calura e segni di sudore lungo il corpo, in particolare sulla panzona e sotto le ascellone. Appena le vedevi soffrivi anche tu il caldo, erano contagiose allo sguardo, emanavano calore a distanza. Le vedevi come quartare a presidiare l’entrata, sedute con le coscione divaricate, con un fazzolettone intriso di sudore costantemente passato sulla faccia e sotto il collo, soprattutto in prossimità della pappagorgia, centralina arrossata del sudore. Non voglio immaginare cos’era il prodotto interno lordo, sotto le mennone. Le Facaldo erano di solito sedute a pianterreno ai bordi di una tenda appena mossa dal vento, sulla soglia di vecchie case; o di sera alle panchine della villa comunale a prendere u’ frische sotto gli alberi. Le più abbienti occhieggiavano dalle persiane e dai balconi munite di granita e di ventaglio. Se le case erano a pianterreno si diceva vai «dentro a nonna», se al primo piano vai «sopra a zia». Ma erano le testimonial calienti dell’afrore e del calore primitivo.
Le difese contro il caldo erano scarse e insufficienti nei paesi del Sud non ancora baciati dalla rivoluzione elettrica. Si andava dai piedi nel bacile d’acqua fresca ai fazzoletti impregnati d’acqua e passati costantemente sul collo; dalla vita intorno alle fontane che già al solo sguardo facevano star meglio, alle carovane famigliari che passavano giorno e notte al mare, tra tendoni improvvisati, piedi in acqua e cocomerate sulla spiaggia. Vedevi individui paralizzati come salamandre, pietrificati in una posizione innaturale e ti chiedevi il perché: zitto, ha trovato uno spiffero di vento, un po’ di corrente, e se la godeva in religiosa stasi.
I balconi funzionavano alla grande dal tramonto a notte inoltrata, sovraccarichi di gente ai limiti del crollo. Ricordo notti passate al balcone in attesa del benedetto vento delle ore piccole che giungeva come una benedizione su corpi esausti dall’insonnia e madidi di sudore. E quando arrivava ricominciavi a credere in Dio e in tutti i santi.”
Marcello Veneziani da Ritorno al Sud
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