Una strategia ad orizzonti aperti e identitari. Questo è l’obiettivo per rilanciare Taranto e la Magna Grecia nel campo delle culture. Piccoli esercizi attivistici non hanno futuro e non puntano ad un investimento articolato tra appartenenze mediterranee e geoculture internazionali. Progettualità e professionalità sul campo con esperienze vaste e profonde. È questa la strada alla quale il nuovo Mic deve poter guardare. Dai territori alle aree allargate.
Taranto ha bisogno di un progetto sulle culture a mosaico. Cosa vuol dire? Immediatamente entro in merito. Potenziare l’asse archeologico classico con eventi esportabili in un raccordo tra didattica sui beni culturali nei vari settori e valorizzazione dei campi dei saperi che sono di competenza del Mic. Il Progetto non è una programmazione, sia chiaro e leggibile su questo.
Ricontestualizzare la biblioteca archeologica e renderla presente sul territorio con le unicità che presenta in un sistema di archeologia internazionale. Finora c’è stato un tentativo di internazionalizzare il bene culturale. Vedere dei manifesti del museo a Taranto è soltanto cercare di creare immagini. Nient’altro. È costruire. Inventare. Rendere una idea spendibile economicamente nei mercati esteri. Ciò è distante. Ma di potrà fare.
Fortificare la soprintendenza del mare con attività sia di ricerca che di promozione inerente sia l’archeologia del mare, ma ritornare ad una archeologia di terra con progetto anche questo spendibile e non irrealizzabile.
Risistemare le aree archeologiche in città e nel territorio rendendole vive e partecipate con la valorizzazione tout court dell’area di Manduria, Saturo e la ripresa della costante attività museale con e oltre lo spettacolo e la spettacolarizzazione. Le economie? Si trovano ma meno spettacolino di piazza.
Legare tutto ciò al rilancio e alla funzione dell’Archivio di Stato come punto di riferimento della storia identitaria del territorio e della Nazione.
Ma un fatto importante potrà nascere dalla focalizzazione di un riferimento etnodemoantropologicico collocato, chiaramente, dentro il museo nazionale. L’antropologia come etno e demiologia può essere una chiave innovativa per una riscoperta delle culture vere sulle sponde di Taranto attraverso riferimenti di identità nati nella Magna Grecia. Penso ad una Antropologia della Magna Grecia il cui centro potrà essere proprio Taranto.
Più ricerca e più indotto antropologico per un rilancio anche della cultura letteraria del Mediterraneo. Un museo ormai deve essere comparativo, ma con una stretta collaborazione con la soprintendenza e l’archivio e la manifesta presenza della biblioteca archeologica. Ciò è nello spirito innovativo delle normative del Ministero.
Ovvero. Fare in modo che il bene culturale non sia visto come una divisione di realtà vicine, ma eterogenee.
Più sinergie e maggiore collaborazione tra i vari campi delle culture, tali definite, dentro i beni culturali. Ciò che bisogna attenzionare con interesse è il mondo dei beni antropologici che non possono più essere scissi da quelli archeologici, museali e archivio/biblioteca. Punti che potranno risollevare la Taranto culturale perché pensare ora ad intese Taranto Bologna (così per dire) non condurranno a nulla.
Pensiamo ad una cultura realmente mediterranea con le radici greco latine senza illudersi di essere mediterranei con i peperoncini appesi al balcone.
Non dimenticare mai che oggi il bene archeologico è anche antropologie delle arti in una ricerca tra tutela, salvaguarfia, valorizzazione e fruizione. Capisaldi per chi sul bene culturale vuole investire. Non si possono più ideare programmi senza una progettualità ad incipit di un argimentare culturale. Occorre essere severi, culturalmente attrezzati, scientificamente con esperienze consolidate. Fare spettacolo è certo dentro la cultura. Ma le archeologie, le antropologie, le arti e il kk do dei libri e degli archivi è oltre la spettacolarizzazione. La grammatica dei beni culturali deve essere il vocabolario per una nuova gestione delle culture.
Pierfranco Bruni