Un esempio di buona sanità pubblica. Riceviamo e pubblichaimo questa letta di una lettrice.
Ho avuto Paura!
Stavo vivendo in uno stato di grande preoccupazione, perhé il mio papà, di 82 anni, non stava bene.
Avevamo provato, con mio fratello e mia madre, a curarlo a casa con l’aiuto dei nostri amici medici, ma ad un certo punto è stato necessario andare al pronto soccorso di Castellaneta e quella sensazione di paura è cresciuta enormemente: avere a che fare con il nostro servizio sanitario pugliese, di cui si parla spesso male (social, mass media, chiacchiere da bar), aveva messo me e i miei in forte agitazione. A dire il vero, però, il mio giudizio sull’ospedale San Pio – per esperienza vissuta – non aveva nulla a che fare con quelle dicerie.
Alcune settimane prima, sempre per mio padre, eravamo stati in ospedale per un intervento, programmato da tempo e risoltosi in meno di due ore, grazie al dott. Giuncato. Già in quella occasione non mi fu difficile apprezzare, oltre alla perizia professionale del dottore, anche la sua grande sensibilità umana e, soprattutto, il suo sorriso accattivante con cui ci congedò. Domenica 18 u.s., quando ci recammo al pronto soccorso, come era comprensibile, fui assalita da una grande sensazione di ansia che mi fece dimenticare quel sorriso.
“Il paziente entra da solo” – è stato il primo comandamento ricevuto, figlio di regole severe e non discutibili, “…la chiameremo noi appena avremo aggiornamenti”, – è stato il congedo dato non senza gentilezza dall’infermiera di turno. Ovviamente tutta la notte svegli a fissare il telefono; poi alle 4 di mattina il dott. Domenico Losavio, di turno quella notte, ci rassicurò dicendo che aveva gestito lo stato emergenziale, facendo tutto ciò che c’era da fare al pronto soccorso e che avrebbe ricoverato mio padre in medicina generale per ulteriore accertamenti. La voce del dott. Losavio era stanca per le ore di lavoro frenetico (fatto ai limiti delle proprie forze a causa della scarsità di personale), ma non priva di quella vena di dolcezza che riesce anche nei momenti più difficili a dare sollievo a chi l’ascolta. Non potevo fare altro al telefono che dirgli grazie, anche se lo avrei voluto abbracciare…
Dopo alcuni giorni, passati tra esami ed attese, quando la situazione generale di mio padre era migliorata ed era stato possibile sottoporlo all’esame di Tac con contrasto, il primario dott. Termite con delicatezza e tono rassicurante, parlando con me e mio zio, disse che le condizioni generali di mio padre erano notevolmente migliorate dal giorno del ricovero , anche se la tac aveva rivelato la presenza di due noduli nel fegato che andavano rimossi quanto prima, tanto che egli stesso aveva predisposto ogni cosa, concordando col reparto di radiologia interventistica del SS Annunziata di Taranto, il suo trasferimento per il trattamento del caso. E, dopo due giorni, grazie ad un delicato intervento di termo ablazione eseguito dal dott. Vittorio Semeraro che, sebbene giovanissimo, è ritenuto una autorità nel campo, il problema noduli venne superato e nella stessa giornata mio padre fece ritorno all’ospedale di Castellaneta per continuare i necessari controlli prima di essere dimesso.
Nel reparto di medicina generale del San Pio, abbiamo trascorso 24 giorni, facendo i conti con le regole rigide, come quella di consentire ad un solo parente di far visita ai pazienti e dalle ore 13.00 alle 14.00. Ora siamo pronti ad affrontare tutto quello che ci attende con maggiore serenità e ciò non sarebbe stato possibile se mio padre non avesse trovato in quel reparto, le cure, le attenzioni e l’assistenza che hanno reso possibile il suo ritorno a casa. Per questo, non mi stancherò mai di esprimere la mia gratitudine e quella di tutta la mia famiglia, al dottor Termite ed ai suoi collaboratori, medici e para medici, per quello che hanno fatto per mio padre, agendo, come sono soliti fare con tutti i pazienti, con dedizione, con passione e spessissimo con scarsità di personale e di mezzi. E adesso che siamo fuori dall’ospedale, posso dire con estrema sincerità, di aver capito e d anche condiviso il perché della rigidità di quelle regole che, tuttavia, offrono a tutti, senza alcuna distinzione, la possibilità, sia pure di una sola ora al giorno, di stare assieme ai propri cari.
Se ognuno di noi riflettesse un po’ di più riguardo alle responsabilità di chi dirige un luogo come un reparto ospedaliero dove ci sono persone deboli che hanno bisogno di trattamenti e cure particolari, forse non troverebbe affatto incomprensibili quelle regole che spesso vengono scambiate per imposizioni. Così facendo, forse ci accorgeremmo un po’ tutti che la nostra sanità non è poi come la si vuol dipingere. E che se si considera che tante disfunzioni, le lunghe liste d’attesa, la penuria di mezzi e la mancanza di personale, non dipendono da loro, smetteremmo di prendercela coi medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che di quelle disfunzioni, sono vittime e che le responsabilità appartengono a chi vive nei palazzi del potere, assai distanti dalle comunità e dalle loro esigenze, cominceremmo a passare proprio dalla parte di tutti gli operatori sanitari per fare battaglia comune, spostando la direzione dei nostri bersagli, delle nostre critiche e delle nostre accuse, sugli obbiettivi giusti. In tal modo anche noi cittadini non saremmo più fruitori passivi e spesso critici dei servizi della nostra sanità, ma diventeremmo artefici dei cambiamenti desiderati.
Paola Patarino
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